La Terra Santa senza più cristiani

I cristiani sono ormai ridotti a una minoranza veramente piccola, quasi insignificante rispetto al resto degli abitanti della Terra Santa. La Chiesa Madre di Terra Santa diventa ogni giorno più povera e “rachitica”, con le prevedibili conseguenze negative che ciò comporta per tutto il mondo cristiano.

di Artemio Vítores ofm

I mezzi di comunicazione ci inondano ogni giorno di notizie di attacchi terroristici e rappresaglie, frutto del clima di assurda violenza che ha preso piede in Terra Santa. L’israeliano vede nel palestinese un nemico che lo vuole sopprimere, a sua volta il palestinese vede nell’israeliano uno che non solo lo odia ma che ha usurpato la sua terra, l’ultimo arrivato che lo ha privato della patria e della libertà. Da qui le sofferenze della gente, la fame, le distruzioni, le violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo vale naturalmente per entrambi i popoli, anche se, data l’attuale disparità di forze, le conseguenze peggiori sono per i palestinesi. Tutti i tentativi di mediazione fatti finora, tanto dal mondo politico internazionale quanto dai capi religiosi, sono in pratica falliti.

La forte diminuzione del numero dei cristiani in Terra Santa

In questo complesso di problemi ve n’è uno che i mezzi di comunicazione, tanto locali quanto stranieri, passano sotto silenzio o al quale non danno il rilievo che sarebbe necessario dare: l’esodo dei cristiani. La Terra Santa senza cristiani! O meglio: i cristiani sono ormai ridotti a una minoranza veramente piccola, quasi insignificante rispetto al resto degli abitanti della Terra Santa.

La Chiesa Madre di Terra Santa diventa ogni giorno più povera e “rachitica”, con le prevedibili conseguenze negative che ciò comporta per tutto il mondo cristiano. C’è anche da tenere presente il fatto che la visione cristiana dell’uomo, che è universale ed egualitaria (siamo tutti uguali perché figli del medesimo Padre e perché il Cristo è venuto ed è morto per tutti), farebbe un gran bene alla causa della pace, perché alla sua luce si comprenderebbe meglio l’importanza del rispetto per ogni persona umana e per la vita, vincendo la tentazione dell’esclusione dell'”altro”.

Purtroppo, a causa della diminuzione crescente del numero dei cristiani, la visione cristiana della vita e della persona umana ha ben poche possibilità d’influire. Se non si affronta seriamente il problema della presenza cristiana nella culla del Cristianesimo, questa diventerà presto una presenza solo “simbolica”. L’esodo, infatti, continua e anzi va accelerando, tanto in Israele quanto soprattutto nei territori palestinesi.

I dati forniti dalle ambasciate parlano chiaro: sono sempre di più coloro che chiedono un visto per emigrare in un Paese straniero. Tre sono i fattori che concorrono a far sì che la comunità cristiana diventi una parte sempre più esigua della popolazione del Paese: l’immigrazione di massa degli ebrei, l’alta natalità dei musulmani e l’esodo dei cristiani.

Ecco alcuni dati: secondo il dott. Bernard Sabella, dell’università di Betlemme, dal 1948 circa 230.000 arabi cristiani hanno lasciato la Terra Santa, dalla guerra del 1967 è emigrato il 35% della popolazione cristiana palestinese e si ritiene che nel 2020 i cristiani rappresenteranno solo l’1,6% della popolazione totale. Questo fenomeno appare evidente soprattutto nei tre principali centri della Bibbia e del Cristianesimo: Gerusalemme, Betlemme e Nazaret.

La popolazione cristiana di Gerusalemme è scesa dal 25% al 2% tra il 1840 e il 2002. In questo stesso periodo gli ebrei sono passati da 4000 a 400.000 grazie all’immigrazione, mentre i musulmani sono passati da 4600 a 143.000 grazie a una natalità che, come succede nella maggior parte dei paesi musulmani, riesce a raddoppiare il loro numero ogni 25 anni.

Al contrario si è registrata un’emigrazione molto consistente di cristiani soprattutto a partire dalla guerra del 1948: da quell’anno sono passati da 25.000 a 14.000. E la “prima Intifada” ha portato con sé una ripresa dell’emigrazione, dall’andamento lento ma continuo: lo dimostra il fatto che nel 1994 i cristiani erano scesi a meno di 12.000. Betlemme era nel 1863 una città quasi completamente cristiana con 4400 cristiani a fronte di 600 musulmani. Ancora nel 1922 c’erano 5838 cristiani e soltanto 818 musulmani. Ma nel 2002 nella Città di Davide troviamo soltanto 12000 cristiani, mentre i musulmani sono ora 33.500.

Questo rovesciamento della situazione è dovuto, oltre che all’alta natalità dei musulmani, a due altri fattori: i campi di rifugiati che sono sorti intorno a Betlemme dopo la guerra del 1948 e la loro crescita demografica, e l’immigrazione a Betlemme di migliaia di musulmani da Ebron. A tutto questo si deve aggiungere l’emigrazione lenta ma costante dei cristiani di Betlemme durante tutto il secolo XX.

I tre fattori indicati sopra hanno congiurato per determinare un forte ridimensionamento della comunità cristiana di Nazaret. Intorno al 1897 Nazaret era una piccolo centro urbano abitato per due terzi da cristiani: circa 4000 di fronte a circa 2000 musulmani. Nel 1947 la popolazione era raddoppiata arrivando a 12.000, in maggioranza cristiani.

Ma la fuga a Nazaret di tutti gli abitanti della vicina Seforis, bombardata dagli israeliani, fece crescere la popolazione della città quasi all’istante da 12.000 a 40.000. Guarda caso, gran parte dei nuovi arrivati era di fede islamica. Qualche anno dopo Israele creò, a est della città araba, una borgata ebraica – Nazaret “Illit” – che è cresciuta enormemente in questi ultimi anni. A tutto ciò si è aggiunta l’emigrazione cristiana: anche qui lenta ma costante. E così la Nazaret cristiana del 1900 si è trasformata nel 2002 – dati ufficiali alla mano – in una città di 140.000 abitanti, dei quali 70.000 sono ebrei, 38.000 musulmani e 32.000 cristiani.

È difficile quantificare l’esodo dei cristiani dai territori sotto l’Autorità palestinese in questi ultimi anni, specialmente dall’inizio della “seconda Intifada”, che scoppiò alla fine di settembre dell’anno 2000. Neanche i parroci dispongono di dati affidabili, poiché a volte si tratta di un’emigrazione clandestina.

Però c’è, eccome, ed è in continuo aumento soprattutto a causa della crisi del turismo, che a sua volta è dovuta in massima parte alla scomparsa dei pellegrini cristiani. Come esempio valga questo: solo dalla “Casa Nova” di Gerusalemme (la foresteria francescana) sono emigrati all’estero in questi ultimi mesi quattro giovani dipendenti, probabilmente per sempre.

In verità tutti noi che viviamo in Terra Santa siamo a conoscenza di casi di persone che se ne sono andate, anche se non in modo ufficiale. Secondo dati dei comuni di Betlemme, Bet Giala e Bet Sahur, in questi ultimi mesi hanno lasciato ufficialmente le predette città 412 persone, in maggioranza cristiani: 100 da Betlemme, 40 da Bet Giala e 272 da Bet Sahur.

Ma, come abbiamo appena detto, molte altre persone sono partite allaŠ chetichella. Tutte queste persone, che in gran parte sono giovani, emigrano all’estero per cercare un futuro migliore. Lasciano gli anziani e le persone meno capaci, che come tali non potranno dare molto alla Chiesa che è in Terra Santa.

Questa situazione sta facendo emergere un altro fattore negativo: molte giovani cristiane della zona di Betlemme devono trovarsi il marito tra i giovani musulmani, pur sapendo anche che i loro figli non potranno essere educati nella religione cristiana. Per capire bene il fenomeno della continua diminuzione del numero dei cristiani in Terra Santa c’è anche da tenere presente il fatto che le famiglie cristiane, benché abbiano meno figli di quelle musulmane, hanno pur sempre in media 3 o 4 figli, il che dovrebbe comportare una crescita abbastanza sostenuta della popolazione cristiana. Tanto più che la mortalità infantile è quasi scomparsa. Pertanto, se i cristiani continuano a diminuire di numero a Gerusalemme, a Betlemme, a Nazaret e negli altri centri della Terra Santa, ciò è soprattutto a causa dell’esodo, dell’emigrazione.

Le cause dell’emigrazione dei cristiani

Perché dunque emigrano i cristiani della Palestina? La diminuzione si deve soprattutto alla situazione insostenibile derivante dall’ormai cinquantennale conflitto arabo-israeliano, all’impossibilità di condurre una vita degna di questo nome. Mancano oggi più che mai le condizioni indispensabili come l’abitazione, il lavoro, la sicurezza ecc. per poter credere in un futuro vivibileŠ L’attuale situazione politica spinge soprattutto i cristiani a lasciare il Paese, tanto più che Israele facilita in vari modi questa fuoriuscita. Un rapporto dell’agenzia pontificia CNEWA su “L’emigrazione cristiana dalla Palestina” ci dice che le cause principali dell’esodo sono le seguenti:

1. Il “problema casa”: Questo è un problema soprattutto per le giovani coppie, poiché i bassi salari non permettono loro di comprare e neanche affittare una casa o meglio un alloggio; a Gerusalemme, poi, i prezzi delle abitazioni sono astronomici, dato che di abitazioni disponibili ne sono rimaste pochissime. Inoltre Israele ha confiscato circa il 60% della terra dei palestinesi per costruirci insediamenti ebraici; e quando il terreno c’è, le autorità frappongono mille difficoltà e ostacoli alla concessione del permesso di costruzione. Questo vale anche per la ricostruzione o la riparazione delle abitazioni. Un dato: solo nella zona di Betlemme, Bet Giala e Bet Sahur ben 2992 case sono state distrutte o danneggiate in questi ultimi mesi.

2. Il lavoro che non c’è: L’attuale crisi socio-politica ha lasciato senza lavoro molti cristiani e ridotto notevolmente il salario di coloro che il lavoro ce l’hanno ancora. I dati dicono che il potere di acquisto dei palestinesi è diminuito di circa il 65% e che i loro salari sono la metà di quello che erano da ormai due anni.

3. Futuro incerto: Gli abusi e le restrizioni imposte dall’esercito israeliano, soprattutto nelle zone di Betlemme e di Ramallah, e dall’altra parte il fatto che non ci sono tuttora dei cristiani in seno al governo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) concorrono alla mancanza di prospettive per i cristiani, che perciò si sentono spinti a emigrare per cercare qualcosa di meglio.

4. Pericoli di morte: L’occupazione da parte dell’esercito israeliano ha portato con sé non solo la distruzione di tanti edifici, ma anche gravi pericoli per la propria stessa vita dovuti agli attacchi indiscriminati della macchina bellica israeliana. Come se ciò non bastasse, soprattutto nella zona di Betlemme gli estremisti musulmani hanno spesso occupato e usato le case dei cristiani per sparare agli israeliani, di modo che i cristiani hanno dovuto subire anche le rappresaglie di questi ultimi. E non viene risparmiata loro neppure la distruzione vandalica e impune delle loro proprietà da parte dei coloni e di altri abitanti degli insediamenti ebraici.

5. Un’istruzione senza avvenire: Non c’è avvenire per i professionisti e gli specialisti, molti dei quali appartengono alla comunità cristiana. Si deve porre in rilievo la situazione disastrosa in cui si trovano gli istituti scolastici palestinesi, che sono costretti a rimanere chiusi per lunghi periodi, quando non vengono addirittura attaccati od occupati dall’esercito. Più di 2000 studenti palestinesi sono stati feriti finora, 137 uccisi e la maggioranza soffre di disturbi di carattere psichico.

Molti genitori, essendo rimasti senza lavoro, non possono pagare le rette scolastiche. I due Collegi di Terra Santa a Betlemme, che hanno complessivamente 1942 allievi (due terzi dei quali sono ragazzi cristiani, il resto è costituito da musulmani), vanno avanti ancora solo grazie a considerevoli somme di denaro che escono mensilmente dalle casse della Custodia di Terra Santa. Non è molto migliore la situazione degli arabi cristiani che vivono in Israele.

6. Carenza dei servizi: I servizi medici, l’acqua, l’elettricità e altri servizi del genere, che prima la popolazione palestinese riceveva da Israele, con l’inizio della “seconda Intifada” sono stati praticamente interrotti.

7. Crisi d’identità: I cristiani si sentono chiusi tra i due gruppi maggioritari, il Giudaismo e l’Islam, per entrambi i quali religione e politica s’identificano. I cristiani si sentono sollecitati ad accettare un modello di società e di vita che non è il loro, o meglio non è quello proposto dal Vangelo. Questo fatto produce una tensione evidente tra musulmani e cristiani. Spesso i musulmani considerano i cristiani come una sorta di ebrei o di “sionisti”, più spesso come una longa manus della politica dei Paesi occidentali, in particolare degli Stati Uniti, che essi identificano senza ombra di dubbio con i cosiddetti “Paesi cristiani”.

8. La piccola comunità cristiana in stato d’isolamento a opera d’Israele: Non parliamo solo di centri urbani come Ramallah, ma anche di luoghi che erano meta di pellegrinaggio per migliaia di cristiani, sia locali che provenienti da tutto il mondo. Un fossato circonda da più di un anno tutta la città biblica ed evangelica di Gerico e impedisce di entrarvi; lo stesso accade a Emmaus, il luogo dell’incontro di Gesù con i due discepoli la sera della domenica di Pasqua.

Difficoltà enormi rendono quasi impossibile entrare e uscire da Betania e, malgrado le assicurazioni dell’esercito, anche i pellegrini e i turisti stranieri devono mettersi in coda e armarsi di tanta pazienza se vogliono andare e visitare Betlemme. I palestinesi che riescono a oltrepassare i posti di controllo militari lo fanno a piedi e ingoiando tanti bocconi amari. Aspettano per ore sotto un sole implacabile e devono a volte incassare dei colpi bassi: insulti e peggio.

I cristiani che abitano nei centri suddetti e che normalmente hanno il lavoro a Gerusalemme, soprattutto presso istituti o case appartenenti a enti ecclesiastici, cioè presso scuole, conventi, alberghi per pellegrini ecc., ricevono il necessario permesso di transito ormai con il contagocce e possono considerarsi fortunati se è valido per un mese, perché spesso lo è soltanto per cinque giorni! In queste condizioni è molto difficile andare avanti. Ancora: i cristiani che vivono nei territori palestinesi non hanno praticamente la possibilità di visitare Gerusalemme e gli altri Luoghi Santi. Risultato: una grande ignoranza delle loro radici cristiane.

9. Difficilissimo ottenere il permesso di residenza: È una situazione, questa, che pone seri problemi ai responsabili delle comunità cristiane di Terra Santa, tanto cattoliche (Custodia di Terra Santa, Patriarcato Latino ecc.) quanto ortodosse. Le comunità cristiane locali sono quasi al cento per cento di lingua e cultura arabe, di conseguenza tutte le attività parrocchiali, educative, assistenziali ecc. sono sotto la direzione di religiosi di questa lingua e cultura, quali palestinesi, arabi israeliani, libanesi, giordani, siriani ed egiziani.

Se fino a un anno fa non era molto difficile per un religioso straniero di nazionalità araba ottenere la residenza temporanea in Israele, ora non è più così, infatti a parecchi è stata negata. Le stesse restrizioni sono imposte anche ai seminaristi e agli studenti di teologia che non hanno passaporto israeliano. Tutto ciò porta con sé grandi pericoli per il Cristianesimo e la Chiesa in Terra Santa, perché le piccole comunità locali corrono il rischio di restare senza pastori. A poco serve protestare quando si ha di fronte il muro di una certa burocrazia.

I cristiani abbandonati a se stessi

Che cosa si può fare? I governi occidentali, indotti da una falsa visione della libertà religiosa se non dal solito laicismo, non solo continuano a non fare nulla, ma peggiorano la situazione. “Noi non aiutiamo i cristiani – amano dire -, aiutiamo i palestinesi”. E non si rendono conto del fatto che in Oriente la religione resta un fattore estremamente importante. Siamo – è vero – di fronte a un conflitto politico, ma non dobbiamo neppure dimenticare che questo conflitto è “impastato” di religione e che questa terra tanto contesa è essenzialmente una “terra promessa”.

Il potere si basa qui più che altrove sul possesso della terra o di quanto vi è costruito sopra. Ecco perché ebrei e musulmani fanno a gara a chi acquista più case e abitazioni a Gerusalemme, che pagano anche quattro volte il loro valore reale. È una competizione non solo di carattere politico ma anche religioso. Gli edifici che ogni comunità possiede a Gerusalemme avranno un peso enorme nella futura discussione sullo status politico e religioso della Città Santa.

Il non tenere nel debito conto questa realtà fa sì che gli aiuti dell’Occidente vanno a finire soprattutto ai musulmani, che sono la maggioranza e detengono il potere; ai cristiani arrivano al massimo le briciole. Si può quindi dire che i governi dei paesi occidentali – i quali non possono negare le loro profonde radici cristiane – stanno aiutando i musulmani a rafforzarsi ulteriormente, a tutto svantaggio della minoranza cristiana, che così si vede ulteriormente spinta a prendere la via dell’emigrazione.

Questo non accade alle altre due comunità: gli aiuti degli ebrei di tutto il mondo e in particolare di quelli americani a Israele sono evidenti a tutti; ugualmente lo sono i capitali che tanto i governi dei Paesi islamici quanto una miriade di società di beneficenza fanno giungere ai soli correligionari. I cristiani sono praticamente abbandonati al loro destino. Ben pochi si preoccupano di loro, almeno a livello ufficiale. A volte è proprio il caso di dire: “Vi dico che, se questi [i discepoli] taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,40). Ebbene, è giunto il momento in cui non si può più restare zitti, poi sarà troppo tardi.

La costruzione di case: un freno all’esodo

La vita di un discepolo di Gesù Cristo in Terra Santa non è mai stata facile e probabilmente non lo sarà mai. Ci sono qui anche troppi condizionamenti di carattere sociale, politico, religioso e di altra natura. È necessario fare almeno qualcosa per frenare l’emorragia, l’esodo dei cristiani dal Paese di Gesù. “Dategli voi stessi da mangiare” (Lc 9,13), direbbe anche in questo caso Gesù ai suoi discepoli.

E’ ciò che hanno fatto da sempre i francescani in Terra Santa. Ecco alcuni esempi del loro impegno a favore dei cristiani locali: scuole gratuite, borse di studio per i giovani universitari che intendono studiare nel proprio e per il proprio Paese, posti di lavoro nei loro centri (officine, istituti scolastici, conventi, santuari ecc.), una molteplicità di aiuti sociali (per esempio, durante questi due anni di “Intifada” gli impiegati delle Case Nove francescane hanno continuato a ricevere il 75% del loro stipendio, benché i suddetti alberghi per pellegrini rimangano chiusi per mancanza di clienti) e, oggi in modo speciale, la costruzione di case.

Quest’ultima opera sociale non è, per la verità, nuova. Si è cominciato nel XVI secolo e per una ragione molto semplice: nel periodo in cui i turchi hanno governato la Palestina, dal 1517 al 1917, i cristiani erano esclusi da qualsiasi lavoro rimunerativo e, di conseguenza, erano nell’impossibilità di comprare o affittare un’abitazione qualsiasi.

Per qualunque famiglia del mondo, ma ancora di più per una che vive in Oriente, la casa è un elemento da cui dipende direttamente la sua permanenza in un dato luogo (si può così capire meglio il significato delle demolizioni di case da parte degli israeliani). I francescani si resero presto conto dell’importanza del “problema casa” e perciò cominciarono a comprare o affittare abitazioni per poterle dare ai membri della comunità cristiana, mettendo in tal modo radici soprattutto a Gerusalemme.

Attualmente la Custodia francescana di Terra Santa dispone nella Città Vecchia di Gerusalemme, a beneficio dei cristiani locali, di 392 appartamenti, di cui 357 sono di sua proprietà e 35 presi in affitto, tutti dati in affitto ad altrettante famiglie. La maggior parte delle quali famiglie ha in realtà l’alloggio gratis o tutt’al più versa una somma simbolica. In questi ultimi decenni si è fatto molto per ammodernare queste abitazioni.

Tutto questo però non è sufficiente. Pertanto, in questi ultimi anni la Custodia francescana di Terra Santa ha destinato buona parte delle sue risorse finanziarie, frutto delle offerte dei pellegrini e dei fedeli di tutto il mondo per la Terra Santa, alla costruzione di nuove case. Così a Beit Hanina, quartiere di Gerusalemme nord, sono stati costruiti 42 appartamenti per altrettante famiglie cristiane; a Betania, il villaggio di Marta, Maria e Lazzaro, “gli amici di Gesù”, 20 famiglie cristiane abitano in altrettanti appartamenti inaugurati una quindicina di anni fa; a Er-Ram, che si trova tra Beit Hanina e Ramallah, vi sono altri 18 nuovi appartamenti, tutti naturalmente già assegnati e occupati.

E ci sono altri progetti, come la costruzione di 35 appartamenti a Betlemme, che è già iniziata con la posa della prima pietra, avvenuta il 6 gennaio di questo’anno, giorno della festa dell’Epifania. Ma il progetto più ambizioso – riguarda infatti la costruzione di 72 appartamenti – è quello che è già in via di realizzazione a Betfage, nelle immediate vicinanze del santuario che ricorda l’inizio dell’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme e da dove, quindi, parte l’annuale processione della Domenica delle Palme.

È un progetto ambizioso e che è stato, e probabilmente sarà, molto difficile portare avanti. È stato difficile portarlo avanti, giacché alla Custodia di Terra Santa sono occorsi 15 anni e il superamento di molti e vari ostacoli burocratici per ottenere il permesso di costruzione, il che contrasta con la facilità con cui Israele costruisce dove e come vuole.

E sarà ancora dura soprattutto per il costo: il preventivo supera i 10 milioni di dollari USA. Il progetto, che porta il nome di “Quartiere San Francesco”, è già in fase di attuazione, come si è detto: tra non molto saranno pronti i primi appartamenti. Può sembrare strano che dei figli del Poverello si occupino di costruzione di appartamenti, preventivi di milioni di dollari, ecc.

Gli è che essi hanno capito presto, si può dire già nel XIII secolo, quando arrivano in Terra Santa e ricevono dalla Santa Sede l’incarico di salvaguardare i Luoghi Santi, che questo è il modo migliore per evitare l’emigrazione in massa dei cristiani e la conseguente scomparsa della “Chiesa fatta di pietre vive” dalla Terra Santa.

I santuari che ricordano i luoghi “per i quali è passato Gesù ” diventerebbero, se venisse a mancare la presenza intorno a essi di una comunità cristiana viva, né più né meno che dei musei di ricordi. Per compiere una missione di così grande importanza per i credenti di tutto il mondo, i francescani non fanno assegnamento sull’aiuto dei governi che “voltano gli occhi dall’altra parte”, come è accaduto nei 38 giorni in cui è durato l’assedio alla basilica di Betlemme.

Da buoni figli di san Francesco, essi hanno confidato e continuano a confidare nella Provvidenza divina, che si serve molto spesso delle persone più umili e semplici per compiere le cose più grandi: com’è sicuramente anche quella di riuscire a porre un freno all’esodo obbligato dei cristiani dalla Terra Santa. I francescani sanno che ciò che fanno è forse solo una goccia d’acqua in confronto al mare delle necessità esistenti in Terra Santa, però sanno anche che è pur sempre una speranza tangibile che danno a tanti fratelli in Cristo.