La Humanae vitae e la moderna questione sociale

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

Newsletter n.822 del 12 Settembre 2017

+ S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi

Data la discussione attuale nella Chiesa sulla morale sessuale, sul matrimonio e sulla famiglia, riproponiamo questo testo dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, presidente del nostro Osservatorio, scritto nel 2008 ma attuale ora più di allora. In esso si stabilisce un nesso molto stretto tra gli insegnamenti di morale sessuale dell’enciclica di Paolo VI e l’impegno sociale e politico alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. L’anno successivo 2009 l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, al numero 15, avrebbe riconosciuto la profonda dimensione sociale della Humanae vitae. Questo testo di Mons. Crepaldi è stato pubblicato come Introduzione al libro di Michel Schooyans “La profezia di Paolo VI. L’enciclica Humanae vitae (1968)” nella Collana del nostro Osservatorio presso le edizioni Cantagalli di Siena

mons. Crepaldi

La ricorrenza del 40mo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI (pubblicata il 25 luglio del 1968) è da celebrarsi anche come momento importante nella storia della Dottrina sociale della Chiesa. Quali sono i legami tra un’enciclica che parla di riproduzione, di controllo delle nascite, di sessualità e la Dottrina sociale della Chiesa?

Le argomentazioni di Michel Schooyans costituiscono già una risposta a questa domanda, ma dato che ormai, 40 anni dopo la Humanae vitae, questo nesso è letteralmente esploso, al punto che nessuno ha più alcun dubbio che le tematiche della vita abbiano un posto centrale nella moderna “questione sociale”, vorrei fare qualche riflessione a proposito. Spero che da quanto dirò si potrà capire meglio non solo la presenza di questo libro nella nostra Collana, ma anche, più in generale, come non si potrà più, in futuro, considerare questo tipo di problematiche come estranee o marginali alla costruzione della società secondo l’obiettivo del vero bene comune.

Il rapporto tra sessualità umana e società è stato a lungo piuttosto trascurato, sicché oggi diventa difficile a molti addirittura coglierlo. Eppure è di fondamentale importanza. Alla base della società sta una coppia, un uomo e una donna che si accolgono reciprocamente e, donandosi, si aprono alla vita. Non stanno semplicemente due individui asessuati. La polarità maschio-femmina è una dimensione fondamentale della relazionalità umana, dell’essere dell’uomo che è relazione.

Per la Dottrina sociale della Chiesa la socialità nasce dalla persona umana, ma la persona umana è, come ha detto con felice espressione Benedetto XV, “uni-duale” [1]. Da qui la grande importanza antropologica e sociale della sessualità. L’incontro sessuato tra maschio e femmina, non è però solo “eros”, è anche “agape” fin dall’origine, anche se i due amanti non ne sono pienamente consapevoli. Questo perché l’amore, che si esprime anche nella sessualità, ci mostra quanto è a noi indisponibile. Per questo l’amore è una relazione profonda non di tipo strumentale.

L’amore “accade”, non lo si può programmare e quindi l’altro non è mai strumentalizzabile. Benedetto XI afferma che l’innamoramento «Non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo si impone all’essere umano» [2]. Giustamente è stato osservato che «In questo “imporsi” si verifica un interessante dinamismo: il soggetto amante si trova a riconoscere la mossa amorosa come totalmente propria, coinvolgente e, in qualche modo, totalizzante la propria esistenza e la propria soggettività, ma nello stesso tempo non disponibile a sé nel suo accadere, e tanto meno nel suo realizzarsi» [3].

L’amore viene dal di fuori, viene da altro, irrompe e, quindi in esso si fa esperienza della gratuità, della vocazione che veramente rende libere le due libertà che si legano l’un l’altra. Questa gratuita libertà, questa indisponibilità non può, conseguentemente, non essere aperta alla vita. Ecco l’origine delle due caratteristiche dell’unione sessuale secondo l’Humanae vitae: quella unitiva e quella procreativa, che non possono essere disgiunte perché questa è la logica dell’amore umano.

La logica contraccettiva introduce un elemento strumentale dentro l’accadere dell’amore e trasforma l’uomo e la donna, uniti gratuitamente da qualcos’altro e quindi “coppia”, in due individui. L’atto sessuale è separato dall’apertura all’accadere dell’amore e alla vita e, quindi, dall’apertura all’incondizionato. Quanto succederà molti anni dopo con l’inseminazione artificiale extracorporea [4], che separa la sessualità dal concepimento, minando le basi stesse della famiglia e trasformando la sessualità in tecnica, era in qualche modo già stato avviato con la contraccezione.

Se però, la coppia aperta ad una vocazione d’amore non strumentale, viene sostituita con due individui allora l’esperienza della gratuità e dell’esistenza dell’indisponibile viene espunto dalla esperienza primordiale della società. Tutti i successivi legami sociali che da quella cellula originaria promanano non saranno più intesi come “accoglienza” dell’altro, ma come giustapposizione strumentale. Se all’origine non c’è un amore che “accade” come vocazione, quale è appunto l’amore tra uomo e donna, ma un rapporto pattizio e tecnico tra due individui, anche tutti gli altri rapporti sociali, a cascata, perderanno quella logica per assumere quest’altra.

La tecnica e il patto prendono il sopravvento, la sessualità viene intesa solo o prevalentemente in questo modo, sostanzialmente egocentrico e solipsistico. Se si tratta di due “individui” e non di una “coppia”, l’incontro sessuale è asessuato: eterosessualità, omosessualità e transessualità si equivalgono. Vengono meno l’accoglienza e la complementarietà. Sul piano procreativo ciò comporta il  diritto delle donne ad “avere un figlio da sole” Non si dà nessun vero incontro, perché il vero incontro “accade” come vocazione, come progetto su di noi che ci si svela.

Di fronte a queste considerazioni si può comprendere perché il Magistero insista in modo particolare su due tematiche: la prima è la tecnicizzazione della procreazione che separa il concepimento dall’atto coniugale e, trasformando il figlio generato in prodotto, priva la coppia stessa di una delle finalità fondamentali della famiglia, costituire il luogo umano dell’accoglienza; la seconda è la distinzione uomo-donna, ovvero la differenza sessuale [5].

Quanto al primo punto è evidente come l’inizio del processo si abbia proprio con la pillola contraccettiva e come la Humanae vitae, esaminando l’intera questione alla luce della ragione e della fede, abbia visto lontano. E’ difficile negare – come mostra molto bene Michel Schooyans – che un unico filo rosso collega la contraccezione, l’aborto, l’inseminazione artificiale extracorporea, la selezione eugenetica embrionale e fetale ed altri fenomeni di disprezzo della vita. Non si vuol dire che si tratti di atti dalla medesima gravità, ma certamente sono espressioni di una stessa logica interna.

Quanto al secondo punto, é oggi in atto una battaglia culturale [6] attorno alla parola genere (gender) che spesso viene adoperata al posto della parola sesso per indicare non una vocazione naturale della persona ma una scelta culturale o, come anche si dice, un “orientamento sessuale”. Su questo importante punto la Congregazione per la Dottrina della Fede ha emanato nel 2004 una Lettera sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, ove si afferma tra l’altro: «Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. L’oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli» [7].

Lo stesso Benedetto XVI ha ribadito le «verità antropologiche fondamentali dell’uomo e della donna. L’ugualianza in dignità e l’unità dei due, la radicata profonda diversità tra il maschile e il femminile e la loro vocazione alla reciprocità e alla complementarietà, alla collaborazione e alla comunione» [8] e ha aggiunto che «Quando l’uomo e la donna pretendono di essere  autonomi e totalmente autosufficienti, rischiano di restare chiusi in un’autorealizzazione che considera come conquista di libertà il superamento di ogni vincolo naturale, sociale o religioso, ma che di fatto li riduce ad una solitudine opprimente» [9].

L’insistenza del magistero su questi due punti – procreazione e identità sessuale – mira a contenere la pressione degli aspetti attuali del nichilismo, visto come rifiuto di una vocazione, di una Parola sull’uomo e sul mondo. L’amore tra uomo e donna è risposta ad una vocazione che irrompe, fuori di ogni strumentalità umana. Se questo viene a mancare nel punto di inizio si trasforma il senso stesso della famiglia e, da essa, dell’intera convivenza sociale. La famiglia è il primo luogo ove si vive la vocazione ad un bene comune, contenuto come impegno morale da assumere liberamente e “insieme”.

E’ nella famiglia che la vocazione ad accogliere gli altri come aspetto fondamentale dell’accogliere se stessi diventa prassi quotidiana. E’ nella famiglia che la disponibilità ad accogliere un progetto su di noi che ci precede e ci com-prende, pur essendo assolutamente non realizzabile senza la nostra libertà, si rende visibile e praticabile. Nella famiglia si fa esperienza dei legami naturali, non in quanto naturalistici e nemmeno come semplicemente culturali o storici – ambedue dimensioni indegne della dignità della persona – ma come vocazione [10], che rifiuta l’arbitrio e richiede la libertà, traccia un progetto ma non lo impone e chiede che venga liberamente accolto.

Nel Messaggio per la giornata mondiale della Pace di quest’anno, Benedetto XVI tocca precisamente questo punto. Con una bellissima espressione egli dice che «la famiglia nasce da un “sì” responsabile e definitivo di un uomo e di una donna e vive nel “sì” consapevole dei figli che vengono via via a farne parte. E’ necessario che questa consapevolezza diventi convinzione condivisa anche di quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana. Occorre saper dire il proprio “sì” a questa vocazione che Dio ha iscritto nella stessa nostra natura» [11].

Viene qui posto un nesso chiarissimo tra la vocazione naturale alla famiglia, che ci chiama ad un “sì” libero e responsabile ad accogliere un progetto su di noi stessi non solo come individui ma come famiglia, e la vocazione a dire il nostro “sì” ad un’altra vocazione, ad un altro progetto su di noi che consiste nel far parte della grande famiglia umana. Se l’uomo non riesce a cogliere la famiglia come vocazione naturale, come potrà accogliere l’appartenenza alla più vasta famiglia umana come un’altra vocazione naturale da assumere responsabilmente? Nella prospettiva non della vocazione ma del prodotto, ossia se la famiglia è produzione convenzionale e contrattuale, anche la società nel suo complesso non potrà che essere intesa come una «aggregazione di vicini» ma non come una «comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia» [12].

Un altro punto che ci fa dire che la Humanae vitae ha una grande rilevanza sociale è il tema della tecnica, che secondo me è il principale problema della nostra cultura e della nostra società. Esiste il pericolo della “tecnicizzazione” di sfere di vita che, così considerate, anziché venire governate dall’uomo ci sfuggono e il nostro potere si trasforma in impotenza. Il sogno di Prometeo o, per venire più vicini nel tempo, di Francesco Bacone, volendo mettere nelle mani dell’uomo il segreto dell’onnipotenza, in realtà spoglie quella mani, consegnando l’uomo alla tecnica come “anonima nudità del puro fare”.

Il problema della tecnica, che il magistero ha considerato soprattutto nell’ambito del rapporto con la natura tramite il lavoro e in quello della manipolazione della vita, travalica oggi questi stessi due ambiti e si pone come problema sociale globale. Anche il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa considera il problema della tecnica all’interno del rapporto uomo-natura e delle biotecnologie [13]. Esso lascia però anche intuire che il discorso della tecnica va ampliato ben oltre il tema della natura, quando lo collega al problema della cultura (n. 461), della povertà (n. 482) o all’ecologia umana (n. 464).

Oggi quella della tecnica è la vera e propria “questione sociale”. Del resto, se seguiamo l’impostazione della Humanae vitae e poi della Evangelium vitae, essendo in positivo la vita stessa la massima questione sociale, in negativo anche la tecnica lo diventa proprio a partire dalla tecnicizzazione della procreazione. E’ lì, infatti, che l’uomo diventa originariamente un “prodotto”, il che, come dicevo, è l’essenza stessa della nudità della tecnica.

La Humanae vitae di Paolo VI non conduce riflessioni espressamente rivolte alla dimensione sociale e politica, come farò invece la Evangelium vitae di Giovanni Paolo II. Essa si mantiene su considerazioni previe, di carattere antropologico (sia filosofico che teologico) e di carattere morale. Così facendo essa andava però anche all’origine della società ed è per questo che merita attenzione anche da parte della Dottrina sociale della Chiesa che può trovare in essa conforto e conferme. Quanto è successo ai tempi della Humanae vitae e quanto è successo dopo, fino ai nostri giorni, ci dice che veramente, come suona il titolo di questo libro, quella di Paolo VI fu una “profezia”

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[1] Benedetto XVI, Discorso ai Partecipanti al Convegno internazionale “Donna e uomo, l’humanum nella sua interezza”, 9 febbraio 2008.

[2] Benedetto VI, Deus caritas est, n. 3.

[3] G. Marengo, “Amo perché amo, amo per amare”. L’evidenza e il compito, Cantagalli, Siena 2007, p. 43. Cf anche A. Scola, Il mistero nuziale, PUL-Mursia, 2 voll., Roma 1997-2000.

[4] Secondo Benedetto XVI con l’inseminazione artificiale extracorporea «è stata infranta la barriera posta a tutela della dignità umana» (Benedetto XVI, Discorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede del 31 gennaio 2008).

[5] Cf A. Scola, Uomo-donna. Il caso serio dell’amore, Marietti 1820, Genova 2002. Un approfondimento della polarità uomo-donna nel più ampio contesto dell’antropologia cristiana in A. Scola, Antropologia cristiana, in The Pontifical Academy of Social Sciences, Conceptualization of the Person in Social Sciences, Vatican City 2006, pp. 7-24. Una utile disamina della questione della identità e del genere si trova in: “I Quaderni di Scienza e Vita”, n. 2, marzo 2007: “Identità e genere”.

[6] E. Montfort, Diritti della famiglia e ideologia del gender, «Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa» IV (2008) 2, pp. 43-48.

[7] Congregazione della Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo (2004), n. 2.

[8] Benedetto XVI, Discorso ai Partecipanti al Convegno internazionale “Donna e uomo, l’humanum nella sua interezza”, 9 febbraio 2008.

[9] Ibidem.

[10] Mi sono soffermato su una visione della natura come vocazione in G. Crepaldi, Ecologia ambientale ed ecologia umana. Politiche dell’ambiente e Dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2007, pp. 17-26.

[11] Benedetto XVI, Famiglia umana comunità di pace, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 1 gennaio 2008, n. 6.

[12] Ibidem.

[13] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, capitolo X, nn. 451-487, pp. 248-266