Due sacerdoti danno alle stampe un nuovo manuale di morale

La Croce quotidiano 9 settembre 2017

Il redentorista canadese Réal Tremblay e il dehoniano italiano Stefano Zamboni danno alle stampe un nuovo manuale di “Teologia Morale fondamentale”, cioè un test in cui si spiegano i principi morali universalmente condivisi, alla luce dei contenuti della Rivelazione (Edizioni Dehoniane Bologna)

di Giuseppe Brienza

La Teologia Morale spiega i principi morali universalmente condivisi, alla luce dei contenuti della Rivelazione. Si tratta quindi o, almeno, si dovrebbe trattare, di principi accettati per Fede. Questa disciplina, insegnata nelle università e nei centri di formazione cattolici, si distingue in “Teologia Morale fondamentale” e “speciale”, e verte non solo sui contenuti dei dieci comandamenti, ma anche sulle virtù che si richiedono per viverli, cercando quindi di analizzare ogni questione o problema sociale, giuridico o economico, a partire dalla legge morale divina.

La strutturazione di una disciplina scientifica come la Teologia morale, dopo quanto detto sopra, si capisce che non potrà mai dirsi del tutto compiuta o definitiva. I profondi mutamenti culturali, scientifici e tecnologici intervenuti negli ultimi decenni, insieme allo sviluppo delle varie branche della teologia morale fino a oggi, hanno condotto quindi ad una nuova impegnativa esposizione sistematica nel manuale “Figli nel figlio – Una teologia morale fondamentale”, da poco uscito per le Edizioni Dehoniane, a cura di due religiosi, il redentorista canadese Réal Tremblay e il dehoniano Stefano Zamboni (EDB, Bologna 2016, pp. 432, € 44,60).

Padre Tremblay è professore emerito di morale fondamentale all’Accademia Alfonsiana di Roma, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia, Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e autore di approfonditi saggi di teologia come “La Croce gloriosa, punto di partenza della riflessione morale”, “L’Eucaristia, prolungamento della Croce gloriosa”, “L’antropologia filiale” e, infine, “Una morale filio‑ e patro‑fanica”. P. Zamboni è invece docente di Teologia morale all’Accademia Alfonsiana di Roma e alla Pontificia Accademia “Marianum” di Roma. Tra le sue pubblicazioni: “Chiamati a seguire l’Agnello. Il martirio, compimento della vita morale”, “Libertà. Provocazioni bibliche”, “Ritrovarsi donandosi. Alcune idee chiave della teologia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI” e, infine, “Teologia dell’amicizia”.

Nella sua accurata “Presentazione” il dehoniano Luigi Lorenzetti, direttore emerito della “Rivista di Teologia morale”, illustra il perché il nuovo manuale cerca di operare una vera e propria “rifondazione della teologia morale” (cfr. “Perché un nuovo trattato di teologia morale fondamentale?”, pp. 13-22). Scrive al proposito P. Lorenzetti: «La plausibilità di tentare la stesura di un nuovo trattato è motivata da quattro fattori: 1) i profondi mutamenti culturali e sociali che sono intervenuti; 2) la considerazione dell’esposizione sistematica postconciliare, da un lato, e delle varie fasi del rinnovamento della teologia morale fino a oggi, dall’altro; 3) le nuove ricerche biblico-teologiche e le conseguenti implicazioni etiche che attendono di tradursi in una riflessione organica sia a livello di morale fondamentale sia di morale speciale; 4) l’opzione cristocentrica che, voluta dal concilio Vaticano II, raggiunge nell’enciclica Veritatis splendor (1993) una forte impostazione suscettibile di ulteriori approfondimenti» (p. 14).

Nella Parte prima del volume, fra l’altro, si segnala l’approfondita opera di P. Tremblay volta ad offrire una rilettura completa della tradizione morale cristiana “in prospettiva filiale” (pp. 29-112). Il dehoniano si sofferma quindi al cap. 7 sul significato oblativo della redenzione ( cfr. “La Croce gloriosa, realizzazione e fondamento del disegno divino di filiazione”) e sulla visione dell’uomo “a immagine e somiglianza di Dio (cfr. “Dalla persona umana capax Dei in Filio alla persona filiale” – cap. 8).

La questione antropologica è quindi affrontata nella Parte seconda del libro, intitolata “Radicati nel Figlio. Fondamenti cristologici e antropologia filiale” (pp. 113-190), oltre che nella terza, “Il dinamismo etico dell’antropologia filiale” (pp. 191-332). In quest’ultima si segnala in particolare un capitolo, curato da Stefano Zamboni, sul delicato tema del peccato e della conversione (cfr. “Allontanamento e ritorno alla casa del Padre” – cap. 15).

È la parabola “del figlio prodigo”, meglio detta “del padre misericordioso” (Lc 15, 11-24), a mostrare nella maniera più efficace la permanente possibilità dell’uomo di ritornare a Dio dopo il peccato e, al tempo stesso, i caratteri propri di quel “processo” di conversione lui necessario. La separazione e poi ricongiunzione dell’anima a Dio, infatti, come spiegato nel racconto evangelico, passa ordinariamente attraverso le medesime fasi: dall’abbandono della “casa paterna” a causa del fascino di una libertà illusoria, alla miseria nella quale l’anima si viene a trovare dopo il ripudio dell’amore di Dio, alla riflessione sui beni perduti con e, infine il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevoli davanti al Signore. Solo a questo punto inizia il cammino del ritorno, che trova sempre e inevitabilmente l’accoglienza generosa e la gioia del Padre.

«Il figlio che si allontana dal padre – scrive Zamboni – si ritrova deluso, affamato, umiliato, in un paese lontano. Egli ha sperimentato l’alienazione del peccato, si è reso conto che il suo desiderio di indipendenza lo ha degradato, riducendolo a una condizione quasi animale, tanto da desiderare persino le carrube date ai porci (Lc 15, 16). È proprio l’esperienza della degradazione, insieme al ricordo che nella casa del padre anche i salariati stanno meglio di lui, a determinare il ritorno in sé (Lc 15, 17) del figlio: un reditus in se ipsum, che non scaturisce ancora dall’esperienza della misericordia paterna – che egli proverà pienamente solo in seguito – ma che gli deriva dalla “nostalgia” di una dimora, nella quale anche solo la condizione di salariato è migliore di quella del “paese lontano”» (p. 321).

È il vero volto di Dio quello che si mostra in tutto il suo fascino nel comportamento del padre della parabola: «egli vede il figlio quando questi era ancora lontano; lo riconosce dunque come figlio, nonostante la degradazione in cui questi era caduto. […] È la misericordia paterna a ristabilire il figlio nella sua condizione filiale, a donargli nuovamente l’accesso all’eredità paterna, che pure egli aveva sperimentato, mostrandogli che il legame con il padre, la gratuità del suo donarsi, permette di godere davvero l’eredità, simbolicamente espressa dal banchetto di festa, segno escatologico della “vita”, alla quale il figlio minore si era privato l’accesso, essendo “morto” (Lc 15, 24) mediante il peccato» (p. 322).

Nella Parte quarta del manuale, “La vita filiale” (pp. 333-424), segue un’altra interessante riflessione sull’ulteriore e fondamentale dimensione della filiazione divina che si riscontra nella Comunione eucaristica, con i capitoli curati da P. Tremblay (cfr. “L’Eucaristia, approfondimento e sviluppo della vita filiale” – cap. 17), Stefano Zamboni (cfr. “Alcuni tratti della vita filiale” – cap. 19) e, di nuovo, Tremblay (cfr. “Figli sempre di nuovo” – cap. 20). Concludono quindi questo impegnativo ma chiaro volume un breve “Indice tematico” (pp. 425-426) e l’accurato “Indice dei nomi” (pp. 425-432).