Il paradosso religioso di Messori

resurrezioneArticolo pubblicato su Il Foglio del 19 aprile 2003

La fisicità della Resurrezione finisca per essere di questi tempi l’aspetto che rischia di essere un po’ trascurato, in tempi di cristianesimo ridotto a puro spiritualismo e di religiosità fai da te.

Roma _ “Se Cristo non è risorto”, dice Paolo nella prima ai Corinzi, “allora vana è la nostra predicazione, e vana è la vostra fede”.Per la Pasqua, vogliamo parlare della Resurrezione – “scandalo e follia” secondo Paolo – con Vittorio Messori, che tra i tanti suoi libri di straordinario successo in tutto il mondo ne ha dedicato uno proprio a “Dicono che è risorto”. E vogliamo farlo mettendo al centro dell’attenzione proprio la “corporeità” dell’evento. Perché abbiamo come un’impressione, e cioè che la fisicità della Resurrezione finisca per essere di questi tempi l’aspetto che rischia di essere un po’ trascurato, in tempi di cristianesimo ridotto a puro spiritualismo e di religiosità fai da te.

“Partiamo da quello che per me è un presupposto”,esordisce Messori. “Il cristiano è un materialista. Non si accontenta di salvare la sua anima, vuole salvare anche la sua carne. Diceva Jean Guitton ‘sono cristiano e voglio tutto’, anche salvare il mio corpo. L’annuncio giudeo-cristiano, secondo cui l’uomo è chiamato a una salvezza eterna nell’unità inscindibile di materia e di spirito, di sangue e carne, è assolutamente unico nella storia delle religioni. Assistiamo però da alcuni decenni a uno slittamento inquietante verso lo spiritualismo, per il quale il corpo non avrebbe importanza, ciò che vale davvero essendo lo spirito, il significato, il simbolo.

Questa deriva verso la spiritualizzazione investe anche l’elemento centrale della Resurrezione di chi, come dice san Paolo, è il primogenito di tutti i risorti. E’ proprio il ‘cuore fisico’ della Resurrezione a essere insidiato dalla riduzione spiritualista”. Ma quali sono le ragioni, di questa deriva?

“I motivi sono sostanzialmente due. Il primo è l’inquinamento del cattolicesimo da parte della Riforma, secondo la quale il Verbo non è si è fatto carne, il Verbo si è fatto carta. Il cuore del protestantestimo è un libro, il suo akmé la canonizzazione del tipografo. Questo elemento centrale del protestantesimo lambisce anche certo cattolicesimo, ed entrambi pongono al centro di tutto la parola. Al contrario, il cuore del cristianesimo è fatto di carne e di sangue, è l’Eucarestia. Non a caso proprio ieri il Papa ha firmato un’enciclica dedicata a questo tema. Un documento in cui non c’è niente di nuovo, grazie a Dio, si riesuma il termine tridentino della transustanziasione, si riafferma che l’Eucarestia è vera carne e vero sangue. Una riaffermazione che allo spiritualismo non piace, poiché fa dell’Eucarestia un vero e proprio pasto antropofago”.

Ed è così forte, questo inquinamento protestante?

“Esso ha finito per coinvolgere molti teologi cattolici mediterranei, che sono sempre molto in soggezione di fronte ai loro colleghi che parlano tedesco. Per la Riforma tutte le opere umane sono blasfeme, la ragione è la prostituta del diavolo, e tra le opere della ragione da rifiutare c’è ovviamente anche il tentativo di dimostrare che il Vangelo ha un preciso radicamento storico. Tutto ciò è blasfemo per la Riforma. ‘Se la Resurrezione fosse storica, la fede diverrebbe superflua’, diceva Rudolf Bultmann, il protestante principe dei demitizzatori. Secondo questa impostazione la fede deve essere paradosso, follia, rinnegamento vero e proprio della ragione. Quindi la Resurrezione di Gesù non va intesa in senso storico, ma come un mito salvifico, un ideale al quale tendere”.

E qual è la seconda ragione del riduzionismo che si imbarazza a parlare del corpo del Risorto?

“E’ la cultura oggi egemone. Che non è affatto materialista come comunemente la si intende e rappresenta, ma è assolutamente spiritualista. Solo qualche vecchio parroco può tuonare contro il materialismo che intriderebbe la contemporaneità. In realtà a vincere è lo spiritualismo della tentazione gnostica. Il simbolo del nostro tempo è infatti la bomboletta di deodorante. E l’anoressica”.

Kate Moss figlia di Marcione? Non ci avevamo mai pensato.

“Precisamente. Il nostro tempo è segnato e minacciato dalla gnosi, dal catarismo, dal rifiuto della carne. Basti pensare al trionfo del cibo ‘light’, all’ignobile campagna contro i fumatori ispirata a proibire i vizi e promuovere le virtù secondo la più tipica pulsione puritan-protestante, tipica della mentalità americana. E poi la crociata contro la pinguedine, e via proseguendo…”.

Sembrano effetti dell’avanzamento della medicina preventiva. No?

“In realtà dietro queste campagne ci sono chiari segni della mentalità gnostica. Meno carne c’è, meglio è. La carne è al bando, i suoi afrori, odori, sudori, sapori. Tutto questo è l’Occidente oggi, contro la sconcezza della materialità del corpo. L’icona del nostro tempo è un’anoressica di trenta chili, e ci vogliamo poi stupire se alla fisicità della Resurrezione si dà meno peso?”.

Va bene l’influenza protestante e gnostica. Ma anche un signor teologo cattolico, come Teilhard de Chardin, criticava Jean Guitton affermando che quand’anche avessero ragione coloro che affermano che Gesù non è mai esistito e tanto meno resuscitato, nulla gli sarebbe importato o avrebbe incrinato la sua fede di gesuita contento di esserlo. C’è dunque anche una colpa interna al recinto cattolico, nella svalutazione fisica del Cristo risorto.

“Nel mio libro cito la grande inchiesta che Le Monde fece per la Pasqua del 1976. Chiese ai teologi cattolici che cosa sarebbe avvenuto alla loro fede, se fossero state rinvenute le ossa di Gesù e dunque la prova che il sepolcro era rimasto pieno. Fu impressionante che la maggioranza di quei teologi cattolici risposero che la loro fede non sarebbe stata scalfita, e per altri anzi sarebbe stata rinvigorita”.

Gnostici anche loro?

“Per molti teologi cattolici, ciò che conta è la Weltanschauung alla quale hanno ridotto la fede, non la realtà della Resurrezione. La gnosis non è soltanto odio per la materia. E’ riduzione della realtà a ideologia, a pura conoscenza. Per secoli la cattedrale era laddove c’era la cattedra del vescovo. Tramontata la sua centralità essa è stata sostituita dalla cattedra dell’accademico. Il cristianesimo guadagnerebbe molto dall’abolizione dei due terzi delle cattedre di teologia, perché da molte di esse è stato ridotto anch’esso a pura conoscenza, dottrina, una materia come le altre. Ma se lo si riduce a mera dottrina, parlare di corpi, sangue e carne diventa imbarazzante. Mentre è preferibile un Gesù considerato puro maestro di morale. Si rifletta sul fatto che la parola stessa ‘cristianesimo’ appare soltanto nel XVIII secolo, è allora che la fede si trasforma in un ‘ismo’, ‘christianisme’ alla francese, nel momento dell’apparente trionfo delle ideologie. Al contrario, il cristiano non è colui che crede in un sistema, in una ‘sofia’, in un codice etico. E’ colui che crede in una persona, il Dio fatto Uomo, e se ne nutre addirittura attraverso l’eucarestia”.

Ma rispetto al 1976 Giovanni Paolo II con il suo vigoroso magistero non ha contribuito a ridare carne e sangue al Cristo? Non ha tentato di liberare il Risorto dai dubbi di Ernest Renan, di cui era finito per certi versi prigioniero?

“Renan oggi insegnerebbe in un’università cattolica, e sarebbe considerato da parte di certi cattolici un tradizionalista. Nella sua ‘Vita di Gesù’ egli non ha alcun dubbio che Gesù sia esistito, che sia nato a Betlemme e morto in croce dopo aver percorso Giudea e Samaria. Renan si limita a scrostare quel che dicono i Vangeli dal sovrannaturale. Ma per il resto accetta tutto, e oggi sarebbe dunque considerato un tradizionalista. Attualmente sarebbe difficile trovare un esegeta cattolico disposto a sottoscrivere con Renan che in defintiva le cose siano andate davvero come dicono i Vangeli. Parecchi studiosi cattolici negano infatti non la sovrannaturalità raccontata dai Vangeli, dubitano della loro storicità materiale. Giungono a dire nei loro libri che forse le prove dell’esistenza di Gesù non è che siano poi così cogenti. E che naturalmente tutto ciò non mette in discussione la loro fede, per carità”.

Ma questo Papa, non li ha affrontati con energia?

“In fondo quella di Giovanni Paolo II, e lo dico con ammirazione, può essere definita come una politica dei due forni. Da un lato un’apertura molto marcata verso le altre religioni, al punto di aggirarsi in ciabatte in una moschea, di lasciare bigliettini di preghiera nel Muro del pianto. Aperture considerate dai suoi critici al limite dell’eccessivo, se non oltre. Poi c’è l’altro forno. Quello in cui alacremente il Papa rinsalda e ribadisce le basi dell’identità cattolica. L’Enciclica sull’Eucarestia è l’ennesimo tentativo di rinsaldare le verità più immediatamente cattoliche. Ma pensiamo anche al costante richiamo al ruolo di Maria, ai tanti pellegrinaggi mariani. Giovanni Paolo II può permettersi le aperture più spericolate, perché sono basate sulle radici più tradizionali. Rendere di nuovo certa l’identità cattolica è il presupposto che egli usa per aprirsi, ma su basi rafforzate, al dialogo interconfessionale”.

La Resurrezione ha diviso cattolici ed ebrei. David Flusser, il maggiore studioso ebreo di Gesù, non respinge la Resurrezione di Gesù. Ma la sua posizione è rimasta isolata.

“Con Flusser sono stato protagonista, nel 1978, di un evento che i giornali israeliani allora definirono storico. All’Università ebraica di Gerusalemme, per la prima volta ci siamo confrontati in pubblico sulla messianicità e divinità di Gesù. Duemila i presenti, per lo più ebrei, il moderatore era Vittorio Dan Segre. Ma dopo due ore di appassionato confronto tra noi, la platea rimase in un silenzio imbarazzato. Esiste ancora, questa sorta di pudore”.

E quanto è di ostacolo, a un dialogo più stretto con gli ebrei?

“Oggi più che mai è prezioso, che il cristianesimo resti attaccato alla sua radice ebraica. L’ebraismo, grazie a Dio, è a sua volta un materialismo. Prenda per esempio il culto ebraico della fisicità della famiglia. Più figli hai, più sei ebreo. Oppure il culto ebraico per l’utero della madre. L’ebraismo non ha paura del corpo. L’idealismo è di Atene. il materialismo è ebraico. E la comune radice materialista va assolutamente difesa. Sono d’accordo in questo con il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna. Quella cristiana è la teologia del tortellino. Il paradiso non significa rinunciare ai tortellini. Ma al contrario mangiare tortellini a piacimento, senza preoccuparci di bilancia e colesterolo. Anche per l’ebraismo è assolutamente impensabile una prospettiva di contrapposizione tra corpo e anima”.

Non è bastato, però, a superare la frattura della Resurrezione.

“Perché nella storia ebraica quattro volte millenaria ci sono episodi di reviviscenza, mai resurrezioni. Come nel caso di Lazzaro. Gesù resuscita Lazzaro, di cui poi non sappiamo più nulla, ma che certamente dopo qualche anno ha tirato le cuoia ed è morto. Nel mondo ebraico non esiste né precedente né susseguente di una Resurrezione gloriosa e per l’eternità come quella di Gesù. Quello che le scuole prevalenti dell’ebraismo attendono è la resurrezione finale di tutti i morti, con i loro corpi e non solo con le loro anime. Ma questo avverrà nel giorno di Jahvé”.

La Resurrezione ha rappresentato un problema invalicabile, dall’Illuminismo in poi, tra credenti da una parte, atei e agnostici dall’altra. Eppure da un secolo ci sono tanti laici, popperiani e hayekiani, per i quali l’accettazione dei limiti della ragione è per così dire costitutiva, e che dunque non hanno problemi di fronte all’incomprensile e al mistero di cui parlava Blaise Pascal. Nemmeno quello della Resurrezione. Perché la Chiesa non punta di più su di loro?

“Giusto. Ma spesso i preti scoprono in ritardo quello che il mondo ha elaborato, e di solito lo fanno quando il mondo stesso è già passato ad altro. Gli ultimi marxisti, mentre il marxismo moriva, non sono stati forse i frati sudamericani? Molto del dramma del Vaticano II deriva da questo. Il Concilio è stato un fidanzamento entusiastico con la modernità, dopo un aspro combattimento durato quasi due secoli. Avvenuto proprio nel momento in cui la modernità stava cedendo al postmoderno.La ‘Gaudium et spes’ del 1965 è un annuncio di nozze con la modernità, ma col ’68 questa cede il passo al postmoderno. Per la stessa ragione, mentre Popper predicava della necessità di abbandonare le superstizioni illuministiche, il teologo scopriva proprio allora il razionalismo”.

Sul Risorto ridotto a puro spirito invece che carne, non hanno pesato anche posizioni conciliari come quella di Karl Rahner, che a proposito della necessità di evitare una catechesi universale difendeva le “contestualizzazioni” del messaggio evangelico?

“Molto spesso, l’identikit del cosiddetto uomo contemporaneo seguito dai teologi cattolici non corrisponde affatto alla realtà. Aveva ragione Chesterton, con la sua frase immortale secondo cui ‘il guaio dell’uomo d’oggi non è quello di non credere a niente, il guaio dell’uomo d’oggi è quello di credere a tutto”. Il contrario della fede non è la ragione, è la superstizione. L’uomo d’oggi, abbandondando la fede, è diventato superstizioso. Bultmann per esempio era convinto che l’uomo moderno non poteva più credere ai miracoli, perché ormai ascoltava la radio”.

E sbagliava.

“Figuriamoci. Io recentemente ho scritto sul Corriere alcuni articoli. Uno sulla misteriosa mancata corruzione del corpo di suor Bernadette. Un altro su suor Maria De Agreda, la quale, pur non muovendosi mai dal suo monastero nella Castiglia del ’600, avrebbe evangelizzato le tribù indiane del Texas. Un terzo, sul fatto che l’astrologia cristiana aveva da secoli predetto che il 1789 sarebbe stato un anno di svolta. Assicuro che tra centinaia di mail pervenutemi, non una era di scandalizzato scettico razionalismo”.

Pascal sarebbe stato contento.

“Quando Pascal scrisse la sua ‘Apogia del cristianesimo’, di non credenti non ce n’erano. In questo è la genialità di Pascal, parlare a un pubblico che si sarebbe manifestato solo due secoli dopo. Seguendo i suoi passi, e secondo l’insegnamento dei miei maestri torinesi che mi hanno insegnato a venerare la ragione, io la uso fino in fondo. Fino a scoprire, come diceva Pascal, che c’è qualcosa che va al di là di essa, l’incomprensibile, il mistero. Penso che la stessa cosa dovrebbe fare la catechesi cristiana. Usare la ragione spingendola fino ai suoi limiti, applicandola anche al mistero della Resurrezione di Gesù. Evitando il paradosso per il quale se io oggi parlo della Sindone, appoggiandomi a fonti e dati scientifici, sono in grado di avvincere per un intero weekend una platea di laici agnostici. Ma se se ne parla in una Pontificia università, la reazione è di fastidio, per la falsa convinzione che l’uomo moderno respingerebbe tutta questa paccottiglia”.