La Sfida Culturale

Poupard

Card. Jean Poupard

Articolo pubblicato su Il Secolo d’Italia del 31 gennaio 1999

Intervista con il Cardinale Poupard

di Cristina Mandosi

Il dialogo fede-cultura costituisce un importante impegno per la Chiesa, che, nel constatare come la “non credenza” si diffonda attraverso la cultura, ha compreso come il grande problema da affrontare alla fine di questo secolo sia proprio di natura culturale. Ed è alla luce di questa constatazione, già ben individuata da Paolo VI quando affermava che la rottura “tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca”, che Giovanni Paolo II volle costituire, poco dopo la sua elezione a pontefice, il Pontificio Consiglio per la Cultura e che, affidato alla sapiente guida del cardinale Poupard, sta svolgendo una interessante  attività di dialogo con la pluralità delle culture.

E il cardinale Poupard, autore di pregevoli pubblicazioni e del quale è imminente l’uscita della nuova edizione del “Grande dizionario delle Religioni”, in questa intervista ci aiuta a comprendere il profondo rapporto tra la cultura e la fede e soprattutto le nuove problematiche alle quali la cristianità è chiamata a rispondere.

Eminenza, qual è il rapporto tra fede e cultura?

Il rapporto tra fede e cultura è fondamentale e vitale. Se, infatti, la cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto tale, diventa maggiormente e pienamente uomo, ciò che gli consente di vivere una esistenza pienamente umana, allora la fede, cioè il riferimento e l’apertura al Trascendente, al Dio che si rivela, non può che essere parte essenziale della stessa cultura umana. Essa costituisce, infatti, una dimensione fondamentale dell’essere umano, senza la quale l’uomo sarebbe “ridotto” ad un essere meno umano, meno completo.

Una cultura umana in cui fosse cancellata o dimenticata l’apertura fondamentale alla trascendenza diventerebbe una cultura poco umana, se non addirittura disumana. Il riferimento della cultura alla rivelazione di Dio sull’uomo fonda e garantisce la dignità ed il valore assoluto della persona umana, creata a immagine e somiglianza dello stesso Creatore.

Il mistero di Dio ed il mistero dell’uomo sono strettamente e reciprocamente collegati. Il Papa Giovanni Paolo II, istituendo il Pontificio Consiglio della Cultura, che mi onoro di presiedere, ha scritto: “la sintesi tra cultura e fede non è solo una esigenza  della cultura, ma anche della fede… Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”.

Quali sono a suo avviso gli ostacoli che incontrano i cattolici italiani per raggiungere una fede più matura?

Forse il retaggio di una tradizione millenaria che si è continuamente intrecciata con la storia sociale e politica del Paese continua a pesare negativamente. La fede, poi, è non poche volte vissuta più come tradizione familiare e costume sociale che come scelta personale motivata e pensata. Anche le posizioni di indifferenza e di lontananza dalla fede sono motivate da ragioni, o pregiudizi, di natura storico-sociale che da valutazioni approfondite a livello personale.

Sarebbe dunque necessario scrollarsi di dosso abitudini e pregiudizi per maturare convinzioni e motivazioni a partire da un impegno personale di ricerca e di attenta valutazione del messaggio evangelico. In questo senso diventa importante una crescita culturale perché ci sia un’opera adeguata di informazione e di formazione sia dei singoli che delle comunità. Sarebbe dunque auspicabile il moltiplicarsi di punti di incontro e di dialogo per superare queste antiche difficoltà e confrontarsi a partire da una sincera volontà di crescita e di comprensione. Anche la scuola potrebbe contribuire con i suoi specifici mezzi, a sviluppare questa capacità di dialogo e di confronto serio e sereno.

Lei ritiene che il relativismo sia diventato il problema fondamentale della fede dei nostri tempi?

E’ certamente uno dei problemi, o delle sfide, con le quali confrontarsi. Dal relativismo, affermato in vari campi del sapere e dell’esistenza, scaturiscono non pochi problemi, il primo tra tutti, ricordato dal Santo Padre nell’ultima Enciclica, la Fides et Ratio, quello della mancanza di senso che sfocia nel nichilismo, cioè nella fine della ricerca umana  per la verità.

Se non c’è una verità, o se ce ne sono tante quanti gli esseri umani  qualsiasi ricerca, qualsiasi progetti umano, viene vanificato e reso senza senso, e l’uomo si scopre assolutamente solo e isolato, rinchiuso nella sua inutile e insignificante verità. L’illusione di essere centro del mondo, artefici assoluti della vita e della verità, non può che rivelarsi fasulla e pericolosa per gli esiti a cui conduce l’uomo stesso, i cui legami fondamentali sono così destinati ad essere recisi  o trasformati in continuo terreno di scontro.

Il relativismo, infatti, può spingere in due direzioni opposte: o la solitudine delle persone, rese insignificanti ed inutili, o lo scontro che nasce dall’intolleranza per le tante proposte, per le troppe pretese verità che si fronteggiano.

Il processo di secolarizzazione ha logorato la radice cattolica dell’Italia e pertanto come potrà questa Nazione far fronte all’invito fatto dal Santo Padre di “Difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo”?

Se è vero che no si può più parlare di “cristianità”, in Italia come in Europa, è pur vero che la maggioranza rimane cristiana, e che molte comunità cristiane, spesso quasi in minoranza culturale, stanno riscoprendo in maniera consapevole le grandi ricchezze della Tradizione religiosa  e culturale italiana. Una Tradizione che viene ripensata per diventare nuova linfa vitale per l’oggi, nuova creatività in tutti i campi.

Penso ad esempio al Progetto Culturale proposto dalla Chiesa italiana, all’impegno dei tanti Centri Culturali cattolici che operano in tutti i Paesi d’Europa, alle organizzazioni di solidarietà e di volontariato che fanno rivivere nel presente le grandi azioni caritative svolte, in passato, da ordini monastici o da confraternite, all’affermazione di promettenti movimenti che hanno gremito Piazza San Pietro nella Pentecoste 1998 o di tanti giovani che invadono Milano per il capodanno 1999, ospitati da moltissime famiglie che si sono rese disponibili.

Giovani la cui fiducia e speranza in Cristo, dice Frére Roger Schultz di Taizé, può rendere bella la vita degli altri. Insomma c’è una Tradizione che si rinnova, che ringiovanisce, e non secondo la logica del marketing ma secondo quella dell’evangelico granello di senape che poi cresce sino a diventare albero, del pizzico di lievito che fa fermentare la massa, del pugnetto di sale che dà sapore e gusto a tutto, sotto l’impulso dello Spirito Santo.

Eminenza, stiamo per varcare la soglia del terzo millennio, a quale ruolo sono chiamati i cattolici, non solo in Italia, ma in tutta Europa?

Credo che la vocazione dei cattolici dinanzi alle sfide del terzo millennio sia quella di essere testimoni di fiducia e di speranza, annunciatori convinti della cultura della vita, della pace, del dialogo tra le culture. L’annuncio per il nuovo millennio non può che essere Cristo, luce per l’uomo e le sue culture, rivelatore della verità e del senso dell’esistenza, vero uomo che indica all’uomo, ad ogni uomo, la sua meta: la comunione piena col Creatore, Padre misericordioso e Madre premurosa per i suoi figli, che chiama tutti alla pienezza di vita nell’amore.

Con questo rinnovato annuncio del Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo i cristiani potranno, così, rinnovare e far maturare le loro culture, renderle ancora più umane, farle davvero progredire per essere all’altezza dei tempi. L’annuncio del Vangelo è, dunque, l’impegno essenziale per tutti i cristiani che, fedeli a Cristo, saranno fedeli all’uomo esercitando il loro spirito critico e profetico nei confronti delle ingiustizie e delle violenze, vivendo la carità nella comunione coi fratelli più poveri e bisognosi, comunicando la speranza e la fiducia agli uomini disorientati e delusi, privi di un senso e di un progetto di vita.

Ruolo fondamentale è dunque questo: condividere con gioia la nostra esperienza di Dio, e con speranza e fiducia suscitare la civiltà dell’Amore tertio millennio adveniente.