I chiodi della croce

Articolo pubblicato su  Il Timone – n. 16 Novembre/Dicembre 2001

Le vicende che portarono al ritrovamento della Croce e dei chiodi utilizzati per inchiodare Gesù. Ecco come sarebbero stati utilizzati. E che cosa si conserva a Milano. lì ruolo di Elena, madre di Costantino.

di Marta Sordi

La tradizione riguardante il ritrovamento della Croce di Cristo risale certamente al IV secolo dopo Cristo, ma attraverso fasi successive: Eusebio di Cesarea conosce i lavori compiuti sotto Costantino sul Calvario, ma non parla del ritrovamento della croce; nessun accenno alla croce come reliquia troviamo nell‘Itinerarium Burdigalense, del 333 d.C., mentre ne parlano tutti i pellegrinaggi in Terra Santa, dal 380 in poi: il ritrovamento deve essere pertanto avvenuto fra il 333 e il 380 circa.

Di esso parla, come avvenuto sotto Costantino, Cirillo, vescovo di Gerusalemme, in una lettera scritta all’imperatore Costanzo nel 351, secondo il quale la grazia divina concesse il ritrovamento “a colui che cercava la pietà” (P.G. XXXIII, 351 p. 1166).

L’uso del maschile sembra escludere l’attribuzione ad Elena del ritrovamento, che attribuisce invece ad un ignoto convertito “cercatore della pietà”‘ non esclude peraltro, che il ritrovamento fosse avvenuto durante gli scavi voluti da Elena, a cui attribuiscono il ritrovamento Ambrogio nel 395 (De Obitu Thedosii, 41 sgg), Paolino nel 397 nella lettera a Sulpicio Severo (Ep. 31), e Rufino nel 402 (H. E., 1,7 sgg), oltre, naturalmente, la tradizione posteriore. Con i chiodi della croce Elena forgiò, secondo Ambrogio, un morso e una corona; secondo Rufino, un morso e un elmo.

Il confronto tra le tre versioni permette di stabilire che esse dipendono da una tradizione unica, ai cui particolari Ambrogio si limita ad alludere, con un accenno al miracolo che permise il riconoscimento, fra le croci trovate sul Calvario, di quella di Cristo, mentre Rutino, che scrive dopo Ambrogio e non dipende da lui, riferisce ampiamente il miracolo, permettendoci addirittura di capire l’oscura allusione di Ambrogio. Rufino, che riferisce la sua versione nel contesto di una narrazione storica, sembra più attendibile di Ambrogio nei riguardi della versione originaria: pertanto, quando Rufino, seguito Socrate, Sozomeno e Teodoreto, dice che Elena utilizzò i chiodi della croce ritrovata per un morso per il cavallo di Costantino e per un elmo che proteggesse il figlio in guerra, possiamo concludere che questi erano i doni della madre a Costantino nella versione originaria, probabilmente posteriore, peraltro, al 351 e alla lettera di Cirillo, e che la sostituzione della corona all’elmo è una variante di Ambrogio.

Non c’è dubbio però che Ambrogio non ha inventato la corona: il suo è un discorso ufficiale, tenuto davanti alla corte di Milano e ai soldati ed egli sta parlando di una corona reale, quella che Teodosio aveva portato e di cui può dare una descrizione precisa, un diadema ornato di gemme, con un cerchio di ferro più prezioso di ogni gemma, perché proveniente dalla croce della divina redenzione: una corona-diadema, antenata della famosa corona “ferrea”, che è in realtà una corona d’oro, composta da sei pezzi uniti da cerniere e ornati di gemme, con all’interno un circolo di ferro, ritenuto dalla tradizione uno dei chiodi della croce.

Possiamo stabilire dunque due fasi nella tradizione dei doni di Elena a Costantino: la versione secondo cui uno dei chiodi era stato utilizzato per l’elmo dell’imperatore sembra nata all’interno della dinastia costantinide, probabilmente sotto Costanzo, forse dopo il 351, e ne riflette l’ideologia: il significato simbolico dell’elmo, da usare in guerra, come il morso del cavallo, riflette la mentalità di Costantino, che aveva posto il monogramma della croce sull’elmo nelle sue monete e nel quale appare connaturata l’idea di alleanza con la divinità.

Nella versione di Ambrogio, invece, con la trasformazione dell’elmo in corona, il motivo della croce ritrovata non è più collegato con Costantino e con la sua dinastia, ma, al di là dell’apostasia dell’ultimo Costantinide, Giuliano, con tutti i successori cristiani di Costantino. Il racconto dell’inventio crucis, che occupa l’ultima parte del De Obitu Theodosii rappresenta così la legittimazione, nel pensiero di Ambrogio, dell’imperatore cristiano e costituisce il vero argomento dell’intero discorso, in modo da fare di esso una sintesi della “teologia politica” del IV secolo: la redenzione dell’impero, ottenuta da Elena col dono divino dei chiodi trasformati l’uno in morso, l’altro in corona.

Forte di quei doni, Costantino fidem trasmisit ad poteros reges (ib. 41). Ambrogio sviluppa nei paragrafi successivi il principio che sta alla base della grande svolta: “Agì sapientemente Elena che pose la croce sulla testa dei re, affinché la croce di Cristo sia adorata nei re” (ib. 48). Corona-diadema e morso erano stati, già nell’antica Grecia, simboli del potere; in Ambrogio la trasformazione dei chiodi in corona e in morso fonda un nuovo rapporto del potere con Dio e con i sudditi. Il motivo del potere come servizio, caro alla miglior tradizione romana, anche se spesso tradito nella prassi, riemerge con un significato nuovo: il potere, in quanto tale, coronato e nello stesso tempo frenato dai simboli della Passione di Cristo, riceve la sua autentica legittimazione nell’atto stesso in cui accetta di rimanere nei limiti impostigli da Dio e non diventa arbitrio.

La corona di cui Ambrogio parla era una vera corona, realmente esistente e visibile a Milano al momento del discorso funebre per Teodosio e a Milano si trovava, secondo un cronista medioevale, la corona ferrea al tempo di Teodorico. A Milano si trova ancora il “Santo Chiodo”, che la tradizione ritiene il morso donato da Elena a Costantino e di cui abbiamo notizia come esistente ab antiquo sin dal 1389.

Milano è la capitale scelta da Valentiniano I nel 364, dopo la parentesi giulianea e il breve regno di Gioviano, come potior Augustus. Con la scelta di Milano come capitale dell’impero va collegato, a mio avviso, l’arrivo a Milano dei chiodi della croce: l’imperatore poteva facilmente ottenere la preziosa reliquia. La tradizione costantinopolitana poneva fra i riti di fondazione della città da parte di Costantino l’inserimento di frammenti della croce nella statua posta sulla corona di porfido nel foro della città, perché ne assicurassero la protezione, come narra Sozomeno.

É dunque probabile che la decisione di utilizzare due dei chiodi della croce vada strettamente collegata con la decisione di Valentiniano I di fare di Milano la capitale della sua dinastia e dell’impero romano-cristiano.

Bibliografia:

Marta Sordi,La tradizione dell’inventio crucis in Ambrogio e Rufino, Riv. St. della Chiesa in Italia, 46, 1990 p. 1 sgg.

Marta Sordi, Dall’elmo di Costantino alla corona ferrea, in AAVV, Costantino il Grande, Macerata 1993, p. 883 sgg.

Marta Sordi, L’impero romano-cristiano al tempo di Ambrogio, Milano 2000, p. 16 sgg.