Foibe – Quella strage scomoda che la politica ci ha fatto dimenticare

Foibeilsussidiario.net giovedì 11 febbraio 2010

Intervista a Roberto Spazzali

Il presidente Napolitano le ha commemorate ieri, durante il giorno dedicato alla loro memoria. Si tratta della strage delle foibe, il genocidio italiano. Le foibe, come molti fenomeni di pulizia etnica perpetrati dai cosiddetti “vincitori”, sono state a lungo e volutamente dimenticate.

Per motivi di quieto vivere da una parte politica e di connivenza dall’altra. Oggi, dopo quasi 70 anni da quelle efferatezze, se ne torna a parlare. Si parla del crimine demandando la responsabilità a non meglio precisate “forme di rimozione diplomatica”, non ancora specificando nomi e cognomi dei responsabili.Abbiamo interpellato in merito il professor Roberto Spazzali, da anni studioso dell’argomento intorno al quale ha pubblicato numerosi volumi di ricerca e opere divulgative.

Professor Spazzali, la parola “foibe”, evoca in numerosi casi ancora oggi un’idea confusa rispetto a quanto in realtà sta a significare sotto un profilo storico. Può darcene una definizione sintetica?

Molto semplicemente le foibe in sé non sono altro che cavità naturali scavatesi nella roccia lungo le regioni carsiche. Cavità dove vennero gettate migliaia di persone, italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia, e lasciate morire di stenti. Per estensione con la parola “foibe” si indicano appunto questi delitti. Si tratta di crimini perpetrati nell’Istria nell’autunno del 1943 in una prima fase e successivamente ripresi alla fine della seconda guerra mondiale nel maggio-giugno del 1945.

Crimini perpetrati da chi? E per quale motivo?

Sostanzialmente perpetrati da forze che si appellavano e guardavano come punto di riferimento il movimento di liberazione jugoslavo o, nello specifico, sloveno o croato. Forze che erano animate da attivisti comunisti italiani, sloveni e croati. Obiettivo principale di questi massacri era la società istriana in sé. Soprattutto coloro che di questa società potevano rappresentare dei punti di riferimento, i borghesi, i maggiorenti del potere politico e delle istituzioni. Il motivo è semplice: si voleva decapitare la società dell’Istria, e più tardi dell’intera Venezia Giulia, di modo da accelerare il processo di annessione di queste regioni alla futura Jugoslavia che Tito stava costruendo sulla lotta di liberazione.

Quindi non fu una lotta al Fascismo, ma alla società istriana

Certo che sì. Il Fascismo era oramai sconfitto. Preoccupazione degli stragisti fu quella di sbarazzarsi di coloro che potevano porsi come ostacolo all’annessione di Istria e Dalmazia al territorio jugoslavo. Vittime delle foibe furono dunque non soltanto i fascisti, ma soprattutto gli esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale, i democratici, gli stessi antifascisti partigiani che però si opponevano a un disegno annessionistico.

Si può comprendere, sebbene a fatica, un oblio causato dal trascorrere degli anni. Più sorprendente è il silenzio, l’omertà con la quale gli italiani di allora vissero quel fenomeno di cui in parte erano a conoscenza. Come si spiega questo tipo di comportamento?

Diciamo che l’oblio e l’omertà di allora ebbero cause diverse. La più remota e più profonda, che è quasi antropologica, è questa: non parlando più di foibe si cancellava dalla testa degli italiani la sconfitta, la guerra persa. Una guerra che è stata perduta e che gli italiani della Venezia Giulia hanno pagato più di ogni altro italiano, soprattutto con l’espulsione dalle loro case. Inoltre concorse il timore di alcune forze democratiche per le quali parlare di foibe avrebbe significato delegittimare la visione e il significato della Resistenza in Italia. Il terzo aspetto, ma non per questo secondario, riguarda il ruolo che assunse in quel frangente il PCI. Non dimentichiamo che fino al 1946/47 il Partito Comunista Italiano sosteneva la causa Jugoslava e vedeva dietro Tito il potere di Stalin.

Che cosa impedì poi, negli anni successivi alla restituzione di Trieste all’Italia, che se ne parlasse?

Fu una politica del quieto vivere. Di fondo l’ipocrisia che ha contraddistinto la nostra Prima Repubblica, dove nessuno voleva assumersi responsabilità per alcun evento relativo al periodo fascista e dell’immediato dopoguerra. L’Italia di allora pagò il proprio debito di guerra con la Jugoslavia mediante le proprietà e i beni di quegli italiani disgraziati che vennero espulsi dalla propria terra. Una vicenda politica orrenda che la dice lunga su quella che era la logica politica della Prima Repubblica. Non ci fu risarcimento. Gli istriani e i dalmati dovettero solo subire l’esilio o la persecuzione.

Oltre al Partito Comunista Italiano molte voci hanno rivolto l’accusa contro De Gasperi e la Democrazia Cristiana. Quali furono le responsabilità di questi ultimi?

De Gasperi ebbe in un certo senso le mani legate. Più che altro le colpe della Democrazia Cristiana si accumularono negli anni successivi. Quando per non agitare le acque preferì far sì che il tempo rimarginasse la ferita, senza fare memoria di quanto accaduto o, peggio, consegnando la memoria alla destra.

Perché dice che fu una scelta peggiore?

Perché trasformò la questione delle foibe in un tema elettorale. Le foibe venivano rievocate ogniqualvolta si ponevano questioni si conflitto politico e basta. Non ci fu una seria riflessione storica, culturale sul problema. Nessuno è andato a chiedere una pubblica ammenda alle sinistre, ai comunisti alla Jugoslavia. E poi subentrò la concezione terzomondista dei Paesi comunisti, poveri e intoccabili. La Jugoslavia rientrava fra questi, per cui per questioni politicamente corrette non se ne interpellò mai la responsabilità.

Non trova singolare che il massacro delle foibe, come tutti gli altri crimini comunisti, abbia goduto di una maggiore protezione da parte del giudizio storico rispetto ai pur ferocissimi crimini nazisti e fascisti?

Sicuramente c’è sempre stato un doppiopesismo. È un problema sì connaturato al comunismo, ma in questo caso particolarmente al comunismo italiano. Il PCI ha orientato per decenni gli studi incentivando una sorta di riduzionismo sulle foibe. Ancora oggi in alcune frange estrema sinistra troviamo posizioni negazioniste o che addirittura vanno ancora a giustificare i crimini commessi. È sacrosanto che si condanni chi osa mettere in dubbio la Shoah. Ma sicuramente viene perdonato chi solleva perplessità maliziosamente sui crimini commessi dai titini. Nel ’96 Priebke venne condannato. L’infoibatore Pisculich trovò invece una scappatoia per salvarsi dalla condanna sui medesimi crimini. Ci sarà un motivo, no?

Lo studio del fenomeno foibe è oggetto di interesse anche da parte di studiosi internazionali?

Grazie a Dio sì. In primo luogo bisogna dire che c’è una generazione di giovani studiosi sloveni e croati che se ne sta occupando. Ci sono studiosi anche di area tedesca che hanno affrontato. A questi si aggiunge la preziosa opera della studiosa statunitense Pamela Ballinger, ricercatrice presso un’università californiana, la quale ha pubblicato più di dieci anni fa un volume rivolto al pubblico anglosassone sulla questione dell’esodo italiano. Sono testi che non hanno avuto fortuna sul piano editoriale per decenni e che grazie alle attività di piccole e locali case editrici sono riusciti a diffondersi. Oggi per fortuna anche i grandi editori stanno comprendendo l’importanza culturale di pubblicazioni riguardanti il tema delle foibe e dell’esodo istriano. Una speranza per la nostra memoria e il nostro futuro.

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