Alcune note su Concilio e postconcilio tra storia, ermeneutica e Massoneria* (1)

Fides Cattolica anno IV n.2-2009

di padre Paolo M. Siano, FI

Concilio_vaticano_II

L’Autore, da anni studioso di Massoneria, illustra le ermeneutiche di vari massoni sul Concilio Vaticano II. Tra i massoni che riconoscono la cattolicità del Concilio, vi sono quelli che lo rigettano apertamente e quelli che lo accolgono ma in un contesto esoterico di unione degli opposti…

Poi vi sono massoni (laicisti, tradizionalisti esoterici) che vedono il Concilio come una Rivoluzione in sintonia con la cultura liberomuratoria. La discussione sul Vaticano II richiede precisazioni e approfondimenti. Il Vaticano II è un concilio cattolico di indole pastorale che ha tentato di porgere al mondo, con toni e modi nuovi, la dottrina dì sempre.

A giudicare dagli esiti postconciliari (progressismo dottrinale e morale in vasti settori ecclesiali), qualcosa non ha funzionato, anche perché vari Padri conciliari – già durante il Concilio – hanno manifestato un’eccessiva apertura al mondo…

Molti massoni hanno visto nel Concilio l’occasione propizia per convincere la Santa Sede a rivedere la legislazione canonica antimassonica. Vari massoni hanno cercato i consensi di cattolici progressisti, moderati e tradizionalisti, sapendosi adeguare ai loro interlocutori. Ma l’esame attento della ritualità e dell’esoterismo massonico conferma l’incompatibilità tra Chiesa e Loggia.

Introduzione

Avevo proposto al confratello direttore di questa rivista (p. Lanzetta) uno studio su cosa hanno detto alcuni Massoni del Concilio Vaticano II, come lo hanno interpretato. A bozza quasi ultimata, mi sono reso conto che forse bisognava delineare meglio il contesto storico nonché trattare altre questioni. E allora ecco il primo paragrafo introduttivo su Massoni, concilio e postconcilio, circa i dialoghi catto-massonici, i tentativi ambigui e incauti (soprattutto postconciliari) di pacificazione tra Chiesa e Massoneria. Poi viene il secondo paragrafo dove offro uno sguardo sul Concilio, su alcuni aspetti della vita e dell’opera di Mons. Giovan Battista Montini/Paolo VI.

Non potevo non far un accenno anche al caso Lefebvre, alla teoria (che non è solo tale) di complotti e crisi nella Chiesa, e – cosa poco nota – a presunte infiltrazioni esoteriche in ambienti cattolici tradizionalisti. Quindi il terzo paragrafo (che da principio era l’unico), quello sul Concilio e sui Papi del Concilio visti da massoni di varie nazionalità (Francia, Germania, Inghilterra, Italia…). Del Vaticano II, i Massoni prediligono in genere quella che Papa Benedetto XVI chiamerebbe l’ermeneutica della rottura: il Concilio quale evento che segna la fine o almeno l’attenuazione del pre-conciliare atteggiamento dogmatico e antimassonico della Chiesa… I Massoni di area filo-inglese, teista e deista, mostrano di ritenere che col Concilio Vaticano II, la Chiesa si metterebbe in discussione e potrebbe arrivare alla perfetta pacificazione con la Massoneria…

Le mie sono solo – come dice il titolo – “Alcune note“, da poter rivedere ed ampliare (per un libro?); è una raccolta – a mio parere, ragionata e sistematica – di notizie che ritengo interessanti e stimolanti per ulteriori approfondimenti storici.

1. Massoni, Concilio e post-concilio

Già prima del Concilio Vaticano II, negli anni ’30, in Germania e in Francia, e negli anni ’40, in Austria (forse negli anni ’50, anche in Italia), si svolgono incontri e rapporti amichevoli tra massoni ed ecclesiastici cattolici. Si direbbero timidi tentativi massonici verso ecclesiastici per indurre in qualche modo la Santa Sede ad attenuare le sanzioni ecclesiastiche antimassoniche fino ad una loro completa revisione ed abolizione.

Al Concilio Vaticano II, il Vescovo di Cuernavaca, Mons. Mendez Arceo difende apertamente la Massoneria ed auspica l’abolizione della scomunica ai massoni. Massoni italiani come Giordano Gamberini 33o (Gran Maestro del GOI dal 1961 al 1970) rimpiangono la morte dei Papi Giovanni XXIII e Paolo VI. Per i massoni, il periodo post-conciliare, fino al pontificato di Paolo VI incluso, è considerato assai propizio per la Massoneria. Infatti vari “amici” ecclesiastici sono assai impegnati a convincere la Santa Sede della necessità di abolire la scomunica antimassonica tenendo conto del presunto spirito del Concilio nonché del mutar dei tempi e degli atteggiamenti della Massoneria nei confronti della Chiesa (2). Il giornalista massone Stefano Bisi (GOI) scrive al riguardo:

«L’ecumenismo di Paolo VI non poteva piacere ai tradizionalisti ma veniva apprezzato dai massoni, tanto che la morte di papa Giovanbattista Montini (6 agosto 1978) venne commemorata dalle due maggiori obbedienze massoniche italiane, Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù. La morte di Paolo VI rischia di porre un freno al dialogo tra tutti gli uomini di buona volontà iniziato da Giovanni XXIII. Si teme che vengano a disperdersi quei germi di pacificazione che il Concilio Vaticano II aveva alimentato» (3).

In effetti, durante il Concilio Vaticano II, Mons. Sergio Mendez Arceo (difensore della psicanalisi), Vescovo di Cuernavaca, ha fatto almeno 3 interventi a favore dei massoni chiedendo la revisione dell’atteggiamento della Chiesa e quindi l’abolizione della scomunica contro i massoni. Il vescovo messicano motivava le sue istanze col fatto che i veri massoni non sarebbero nemici della Chiesa, bensì uomini molto religiosi e tra di loro vi sarebbero molti cristiani utili a recuperare i massoni anticlericali e anticristiani…(4)

In seguito ai suddetti interventi filo-massonici, «da ogni parte del mondo sono giunte a mons. Mendez Arceo manifestazioni di plauso, da esponenti del mondo massonico [,..]» (5). Dopo il Conc. Vat. II, tra gli ecclesiastici impegnati nella pacificazione e riconciliazione tra Chiesa e Massoneria (6) si segnalano: i Cardinali Richard Cushing (Boston), Terence Cooke (New York), John P. Cody (Chicago), Franz Kònig (Vienna) (7), Roger Etchegaray (Marsiglia), Bernard Alfrink (Utrecht), Maurice Feltin e Frangois Marty (Parigi), Raul Silva Henriquez (Cile), Aloisio Lorscheider (Fortaleza – Brasile); in Italia, i sacerdoti don Rosario Esposito SSP (8), don Vincenzo Miano SDB, p. Giovanni Caprile SJ; in Germania, Herbert Vorgrimler e Stephanus Pfurtner (9); in Francia, il gesuita p. Michel Riquet.

I cardinali e vescovi sopracitati sono «insomma quasi tutti i capifila dell’ala progressista conciliare»(10). Con il pontificato di Paolo VI, i massoni sperano il disgelo e la riconciliazione con la Chiesa, grazie appunto alla mediazione culturale e diplomatica dei suddetti prelati(11). Morto Paolo VI, si ha «un freno» a tal processo catto-massonico. Nel 1980, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, dopo 6 anni di dialoghi ufficiali tra ecclesiastici e massoni tedeschi, la Conferenza Episcopale Tedesca afferma l’inconciliabilità tra Chiesa e Loggia Massonica, ribadita poi dal Card. Ratzinger (Congregazione per la Dottrina della Fede – CDF) nel 198312, e poi nel febbraio 1985 da L’Osservatore Romano.

Passiamo ora ad alcuni esempi di “confusione” e di connivenze massonico-clericali avvenute nonostante le dichiarazioni in materia date dalla Santa Sede.

In una Lettera aperta al Presidente della Repubblica italiana (15 febbraio 1996), Virgilio Gaito (all’epoca Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani) si mostra sicuro dell’appartenenza del Cardinal Kònig alla Massoneria, citandolo in un elenco di massoni importanti e famosi nella storia(13). All’epoca Kònig era ancora vivo. È certo che il porporato austriaco è stato, per lo meno, molto filo-massone (14). Ha respinto la dichiarazione antimassonica dei Vescovi tedeschi (1980), nonostante il loro studio approfondito su testi massonici (studio elogiato dai Cardinali Siri, Seper, Ratzinger, Palazzini); contrariamente a quanto proposto dai Vescovi tedeschi, il Cardinale Kònig si è sempre adoperato per l’abolizione della scomunica ai massoni, asserendo, stranamente, che i massoni sarebbero rientrati implicitamente nel can. 1326 (nuovo CIC) sulle associazioni che macchinano contro la Chiesa… Ma, allora, se i massoni macchinano davvero, perché non menzionarli espressamente nel nuovo CIC?

II 4 dicembre 1999 si sono svolti i funerali cattolici di p. Jean-Claude Desbrosse, prete della diocesi di Autun-Chàlon-Màcon. Dal 1980, con l’autorizzazione del suo vescovo, Mons. Le Bourgeois, Desbrosse è entrato nella Grande Loge Nationale Francaise. È stato membro di 3 logge; nel 1994 ha fatto parte del sovrano gran comitato della GLNF; è stato anche massone del Royal Arch di Francia, Scozia e Israele; membro degli ordini massonici dei Cavalieri Templari e di Malta (da non confondersi con l’Ordine di Malta approvato dalla Santa Sede), e del massonico Royal Order of Scotland (15).

In un’intervista del 2006/2007, pubblicata su di un sito di “tradizione” esoterica, il massone Jean-Pierre Bayard (1920-2008, membro della Grande Loge de France) dice che la Grande Loge Nationale Francaise (GLNF) è la Massoneria francese più vicina alla Chiesa di Roma e che, addirittura, alcuni preti della Chiesa Cattolica Romana sono membri della GLNF…(16) In un’altra intervista dichiara di conoscere numerosi casi di preti entrati in Massoneria con l’autorizzazione della Chiesa Romana…(17) In realtà la Santa Sede non autorizza queste cose.

Il 25 giugno 2005, Fabio Venzi, Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI), ha installato come «Gran Cappellano» della sua GLRI «un sacerdote della Chiesa Cattolica». La notizia è di pubblica conoscenza: Venzi ne ha parlato durante la sua “allocuzione” alla Gran Loggia (25 giugno 2005), il cui testo è facilmente reperibile in internet(18). Ai primi di novembre 2006, il Gran Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI), Fabio Venzi, dà la notizia della morte del sacerdote don Sandro Naiaretti (56 anni), Gran Cappellano della GLRI(19) (dunque, Maestro Massone]). Ecco chi era il sacerdote massone sopra menzionato! Don Naiaretti è morto il 1° novembre 2006, in un incidente automobilistico(20).

In margine ad un convegno su Chiesa e Massoneria, svoltosi a Roma, il 1° marzo 2007, il Gran Maestro della GLRI, Fabio Venzi si è auto-dichiarato «cattolico» ed ha affermato che ci sono «molti sacerdoti» tra i tremila iscritti alla sua Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI) (21).

2. Alcune note sul Concilio tra storia ed ermeneutica

Nelle sue memorie, il cardinale Giacomo Biffi, ex Arcivescovo di Bologna, spiega che l’euforia e l’ottimismo che pervadevano tutti alla fine del Concilio Vaticano II (1965) non favorì la presa di coscienza dell’avvicinarsi di quella contestazione che sarebbe scoppiata 3 anni dopo(22). Il discorso di apertura del concilio, tenuto l’11 ottobre 1962 costituisce, in certo modo, la chiave per comprendere l’orientamento del concilio: infatti Papa Giovanni XXIII critica i “profeti di sventura” dimostrandosi fiducioso che dal concilio sarebbe emerso un magistero a carattere pastorale.

II cardinale Biffi osserva che nelle intenzioni di Papa Giovanni XXIII, il Concilio doveva portare ad un rinnovamento della Chiesa senza lanciare condanne al mondo e senza denunziare errori. Di fatto – commenta Biffi – ci si attenne a questo punto di partenza. Si voleva un concilio pastorale e tutti i partecipanti al Concilio ne erano compiaciuti (23).

Con profondo realismo, il Cardinal Biffi osserva:

«[…] II concetto mi pareva ambiguo, e un po’ sospetta l’enfasi con cui la “pastoralità” era attribuita al Concilio in atto: si voleva forse dire implicitamente che i precedenti concili non intendevano essere “pastorali” o non lo erano stati abbastan­za? Non aveva rilevanza pastorale il mettere in chiaro che Gesù di Nazaret era Dio e consostanziale al Padre, come si era definito a Nicea? Non aveva rilevanza pastorale precisare il realismo della presenza eucaristica e la natura sacrificale della messa, come era avvenuto a Trento?»(24).

Osserva giustamente Biffi:

«Ma c’era il pericolo di non ricordare più che la prima e insostituibile “misericordia” per l’umanità smarrita è, secondo l’insegnamento chiaro della Rivelazione, la “misericordia della verità”; misericordia che non può essere esercitata senza la condanna esplicita, ferma, costante di ogni travisamento e di ogni alterazione del “deposito” della fede, che va custodito. […] Nel postconcilio non è stato soltanto un pericolo» (2)

II 7 dicembre 1965, il giorno prima della chiusura del Concilio Vaticano II, fu promulgata la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes (GS), «dopo un iter “accidentato” – precisa Biffi – e prolungati dibattiti». Lo storico Hubert Jedin osserva che la GS fu salutata con entusiasmo ma la storia posteriore ha dimostrato che la sua importanza e valore furono sopravvalutati e che il mondo (che si voleva portare a Cristo) era profondamente penetrato nella Chiesa(26).

Jedin, che al concilio era stato perito del Card. Frings, cercò di rifiutare l’idea di una Chiesa postconciliare in crisi. Poi però dovette ricredersi e prese atto dell’esistenza di tale crisi nell’articolo Storia e crisi della Chiesa pubblicato in italiano ne L’Osservatore Romano del 15 gennaio 1969. Già il 17 settembre 1968, mons. Hubert Jedin aveva presentato alla Conferenza Episcopale Tedesca un promemoria in cui illustrava cinque fenomeni relativi alla crisi ecclesiale in atto: 1) insicurezza nella fede, dilagare di errori e dubbi provenienti da cattedre, libri, saggi; 2) tentativi di democraticizzare Chiesa universale, diocesana e parrocchiale; 3) desacralizzazione del sacerdozio; 4) creativismo liturgico; 5) ecumenismo come protestantizzazione(27). Problemi e crisi ancora attuali.

Altre personalità ecclesiastiche hanno preso atto della crisi della Chiesa postconciliare: il Cardinale Henri De Lubac (già esponente della Nouvelle Théologie), mons. Rudolph Graber (vescovo di Ratisbona), p. Cornelio Fabro, p. Enrico Zoffoli, san Josemaria Escrivà de Balaguer(28), il Card. Ratzinger, mons. Brunero Gherar-dini(29) ed altri ancora.

Nel suo studio del 1979 sul Concilio Vaticano II, il prof. Jedin cerca di non apparire troppo conservatore ma nemmeno progressista. Nel postconcilio i progressisti sottolineavano la necessità di «un processo di fermento» per aggiornare la Chiesa secondo il presunto volere di Giovanni XXIII. Essi elogiano la maggior partecipazione dei fedeli alla Liturgia rinnovata, la collaborazione dei laici, l’ecumenismo, lo sguardo più positivo verso alcuni contenuti delle altre religioni…(30)

Poco prima di trattare dei «progressisti», Jedin accenna alle critiche mosse da «detrattori» (seguaci dei “profeti di sventura”…) alla situazione generatasi nel postconcilio: «il turbamento portato nella fede dal “pluralismo” in teologia e nella predicazione; la partecipazione in costante diminuzione dei fedeli alle funzioni sacre; il numero fortemente aumentato di sacerdoti e religiosi che rinunciano alla loro vocazione; il numero esorbitante, e che genera confusione, dei “Consigli” che devono servire alla “democratizzazione” della chiesa; la diminuita autorità del papa e dei vescovi; l’aumento dei matrimoni misti; il “messianismo terreno” (Ratzinger), che rigetta l’uomo nel fattibile; la nuova morale sessuale. L’influsso della chiesa sul mondo non è quindi aumentato bensì è diminuito. La cosa è effettivamente incontestabile» (31).

Nel 1983, il sacerdote assunzionista p. Antoine Wenger (1919-2009)32, ex redattore capo del giornale cattolico francese La Croix – non sospetto d’esser “lefebvriano” – afferma chiaramente che il Vaticano II provocò effettivamente una crisi («Vatican II provoqua effectivement une crise») (33).

2.1. Il Concilio Vaticano II visto da Romano Amerio

In un recente saggio su Studi Cattolici (giugno 2009), Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga-lmperia, contribuisce a rivalutare la figura e l’opera dello scrittore cattolico svizzero, Romano Amerio. Perito del Vescovo di Lugano al Concilio Vaticano II, Amerio, nel suo celebre libro Iota unum evidenzia “senza peli sulla lingua” «le variazioni» nella (ma Amerio direbbe «della») Chiesa Cattolica nel secolo XX.

Conosciamo il discorso di Papa Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 circa l’ermeneutica della continuità con cui interpretare rettamente il Concilio Vaticano II.

È opportuno porre in rilievo le riflessioni di Mons. Oliveri:

«Un’altra idea molto diffusa, continua ad essere sostenuta: quella secondo la quale ci sarebbero state senza dubbio delle variazioni di rilievo, negative, dopo il Concilio Vaticano II, ma esse sarebbero esclusivamente dovute ad erronee interpretazioni del Vaticano II, il quale dovrebbe considerarsi tutto perfetto in se stesso e che non conterrebbe nei suoi testi nulla, assolutamente nulla, che possa dar adito a cattive interpretazioni. Questo modo di pensare non tiene conto che i cattivi interpreti, postconciliari, del Concilio, hanno – non pochi – lavorato dentro il Concilio, i cui testi mostrano in diversi punti l’influsso dei “novatores“: in diversi testi sta qualche radice che favorisce la cattiva in-terpretazione. Peraltro coloro che si appellano al cosiddetto “spirito del Concilio” per superarne la lettera, per giustificare l’ermeneutica della discontinuità radicale, sarebbero così poco intelligenti ed avveduti da creare il loro ragionamento partendo dal nulla, dall’inesistente? O partendo da documenti – quelli del Concilio – che con nessuna delle loro e-spressioni potrebbero far pensare a novità rispetto al Magistero della Chiesa nei secoli, negli ultimi secoli, nell’ultimo Pontificato prima del Vaticano II ?» (34).

In effetti i neoprogressisti o neo-modernisti, non si appellano al Concilio di Trento o al Vaticano I, o ai documenti antimodernisti dì san Pio X, bensì solo o soprattutto ai testi conciliari ed al presunto spinto del Concilio…

Amerio scrive che a differenza del Vaticano I, il Vaticano II fu convocato senza consultazione previa dei cardinali. Giovanni XXIII sentì un’ispirazione e volle il Concilio(35). Amerio parla di «esito paradosso del Concilio»: «II Vaticano II ebbe un esito difforme da quello cui preludeva il Concilio preparato e anzi, come si vedrà, la preparazione fu subito e interamente posta in un canto. Il Concilio nasce, per così dire, da sé medesimo indipendentemente dalla preparazione che se ne è fatta»(36).

«L’esito paradosso del Concilio rispetto alla sua preparazione appare, oltre che dai documenti finali comparati con quelli propedeutici, anche da tre fatti principali: la fallacia delle previsioni fatte dal Papa e dai preparatori del Concilio; l’inanità effettuale del Sinodo Romano I indetto da Giovanni XXIII come anticipazione del Concilio; la nullificazione, quasi immediata, della Veterum sapientia che prefigurava la fisionomia culturale della Chiesa del Concilio»(37).

Giovanni XXIII auspicava che il Concilio durasse poco tempo (le sue parole dell’udienza del 13.10.1962, facevan credere che il Concilio si sarebbe chiuso entro Natale) e che avesse portato grande rinnovamento(38). Il Sinodo Romano (1960) ribadiva la disciplina tradizionale del clero, la sua distinzione dal laicato, l’educazione ascetica, abito ecclesiastico, sobrietà nel vitto, astensione da pubblici spettacoli, fuga dalle profanità… Circa la liturgia, nel Sinodo Romano si confermava l’uso del latino, si prescriveva il tabernacolo in forma e sito tradizionali, si vietava alle donne di accedere in presbiterio…(39) La Veterum Sapientia (1961) insiste sulla lingua latina nella formazione presbiterale(40).

Amerio osserva che il vero trionfalismo non fu quello addebitato alla Chiesa pre-conciliare, quanto piuttosto quello presente in certi discorsi molto ottimisti di Paolo VI e in quelli di vari ecclesiastici nel post-concilio(41). Amerio mostra che, nel Concilio e nel post-concilio, i discorsi di Paolo VI oscillavano tra ottimismo e pessimismo…(42)

Circa lo svolgimento del Vaticano II, riporto alcune osservazioni di Romano Amerio.

Nel discorso di apertura del Concilio, 13.10.1962, Papa Giovanni XXIII critica il pessimismo di coloro che vedono nei tempi moderni solo prevaricazione; Papa Roncalli osserva che oggi la Chiesa ha più libertà rispetto al passato… Amerio osserva che questo giudizio ottimistico del pontefice sulla libertà della Chiesa «è crudamente contraddetto dai fatti delle Chiese nazionali» incatenate, ad esempio, dal comunismo(43). Scrive Amerio:

«Ma il punto saliente e quasi segreto che è necessario toccare trattando della libertà del Concilio è la legatura che di essa libertà aveva consentito pochi mesi prima Giovanni XXIII, stringendo con la Chiesa ortodossa un accordo in forza del quale il Patriarcato di Mosca avrebbe accolto l’invito papale di inviare osservatori al Concilio, e il Papa dal canto suo assicurava che il Concilio si sarebbe astenuto dal condannare il comunismo. La trattativa ebbe luogo nell’agosto del 1962 a Metz e ne risultano tutti i particolari di tempo e di luogo da una conferenza stampa fatta da mons. Schmitt, vescovo locale di quella diocesi [Le Lorrain, 9 febbraio 1963] (44)».

Amerio prosegue: «II negoziato si concluse con un accordo firmato dal metropolita Nicodemo per la Chiesa Ortodossa e dal cardinale Tisserant, decano del Sacro Collegio, per la Santa Sede» (45).

Amerio riferisce che la notizia dell’accordo fu data addirittura dal bollettino centrale del Partito Comunista Francese, France nouvelle, nel numero del 16-22 gennaio 1963: in quell’articolo si diceva che avendo il socialismo mondiale manifestato la sua superiorità, ora la Chiesa avrebbe rinunciato al rozzo anticomunismo; e che in un dialogo con la Chiesa ortodossa, la Chiesa Cattolica si era impegnata affinchè nel Concilio non ci fosse alcun attacco contro il comunismo(46).

Il quotidiano cattolico La Croix del 15 febbraio 1963 afferma che a seguito di quell’incontro, mons. Nicodemo accettava che qualcuno si recasse a Mosca per portare un invito, a condizione che fossero date garanzie dell’atteggiamento apolitico del Concilio (47).

Poco oltre, Amerio precisa: «La verità degli accordi su Metz ricevette recentemente un’impressionante conferma da una lettera di mons. George Roche, che fu per trent’anni segretario del cardinal Tisserant. Questo prelato romano, intervenuto a purgare il negoziatore papale dalle taccie appostegli da Jean Madiran, conferma interamente l’esistenza dell’accordo tra Roma e Mosca precisando che l’iniziativa dei colloqui fu presa personalmente da Giovanni XXIII dietro suggerimento del card. Montini e che Tisserant “a recu des ordres formels, tant pour signer l’accord que pour en surveiller pendant le Concile l’exacte exécution» (48).

Ecco il lucido commento di Amerio: «Nel discorso inaugurale del Concilio si celebra la libertà della Chiesa contemporanea nel momento stesso in cui si confessa che moltissimi vescovi sono imprigionati per la loro fedeltà a Cristo e in cui, per un accordo voluto dal Pontefice, il Concilio trovasi legato all’impegno di non pronunciar condanna del comunismo. Questa contraddizione, che è grande, rimane tuttavia minore rispetto alla contraddizione di fondo, per la quale si poggia la rinnovazione della Chiesa sopra l’apertura al mondo e poi si stralcia dai problemi del mondo il problema del comunismo, che ne è il principalissimo, essenzialissimo e decisivo» (49).

Altro punto di rottura della legalità conciliare è il rifiuto delle liste dei candidati alle Commissioni conciliari, incidente avvenuto già nella prima congregazione, il 13 ottobre 1962. Il Card. Liénart chiese la parola al Card. Tisserant che gliela rifiutò, conformemente al regolamento del Concilio, in quanto la Congregazione era convocata per votare, e non per decidere se votare o no. Allora Liénart prese il microfono e lesse una dichiarazione in cui diceva che era impossibile eleggere gli eligendi senza conoscerli. Quella rottura della legalità provocata da Liénart fu applaudita in Concilio… Nelle sue memorie (1976), per difendersi dall’accusa di aver premeditato quel gesto, Liénart disse che in quel momento si era sentito mosso dallo Spirito Santo (50).

Amerio fa notare, con sottile ironia, che, pertanto, lo Spirito Santo avrebbe ispirato Giovanni XXIII a convocare il Concilio (come ebbe a dire lo stesso Papa Roncali!) e poi lo Spirito Santo avrebbe ispirato il Card. Liénart a quella “sterzata”… Amerio osserva che il domenicano p. Chenu ha confessato che lui e il confratello p. Congar non accettavano gli schemi preparati dalla Commissione Preparatoria del Concilio, trovandoli antiquati e poco adatti all’uomo moderno e perciò essi – Chenu e Congar – promossero un’azione per far uscire il Concilio da quel campo chiuso ed aprirlo alle esigenze del mondo… Chenu e Congar prepararono un messaggio all’umanità… Quel testo fu approvato da Giovanni XXIII e dai Cardinali (tutti liberali) Liénart, Garrone, Frings, Dòpfner, Alfrink, Montini, Lèger (51).

Scrive Amerio: «Gli eventi scaturiti dagli incidenti del 13 ottobre e del 22 novembre portarono effetti imponenti: rimaneggiamento delle dieci Commissioni conciliari ed eliminazione di tutto il lavoro preparatorio, onde di venti schemi non avanzò che quello della Liturgia. Si mutarono l’inspirazione generale dei testi e persino il genere stilistico dei documenti che abbandonarono la struttura classica in cui alla parte dottrinale seguiva il decreto disciplinare. Il Concilio diveniva in certo modo autogenetico, atipico e improvviso. A questo punto accade allo studioso di domandarsi se questa inopinata inflessione del corso conciliare sia dovuta a una cospirazione pre ed extraconciliare, ovvero sia l’effetto naturale del dinamismo dell’assemblea. La prima sentenza è tenuta dai seguaci della concezione tradizionale e curiale. Essi avanzano sino a rievocare il latrocinium di Efeso: l’essersi fatto il Concilio dopo annientata la sua propedeusi sembrò spiegabile solo con un concerto bene preordinato di volontà vigorose» (52).

Amerio prosegue: «La cospirazione sembrerebbe anche provata da quanto racconta l’accademico di Francia Jean Guitton (13) [nota n. 13. Paul VI secret, Paris 1979, p. 123] per confidenze del card. Tisserant. Il decano del Sacro Collegio mostrandogli un quadro, eseguito su una fotografia e rappresentante sei porporati attorno al Tisserant stesso, disse: “Ce tableau est historique ou plutòt il est symbolique. Il représente la réunion que nous avions avant l’ouverture du Concile où nous avons decide de bloquer la première séance en refusant des règles tyranniques établies par Jean XXIII”» (53).

Amerio parla di «desistenza dal preparato Concilio», da parte di Giovanni XXIII, il quale di fatto mostra condiscendenza al movimento che il Concilio si diede (54). Paolo VI, che secondò il movimento del Concilio nel senso ammodernante, si impose però sul Concilio in alcune occasioni: circa la Nota previa, sulla collegialità episcopale, in cui egli si distanziava dalla posizione classica (potestà suprema nella Chiesa è solo nel Papa) e da quella progressista (soggetto della potestà: Collegio+Papa; il Papa è obbligato a consultar i Vescovi) (55).

Secondo Amerio, forse è da attribuirsi in parte al Papa Montini e in parte al Vaticano II, «l’inclinazione» «a sciogliersi dalla stretta continuità colla tradizione e a crearsi forme, modalità e procedure atipiche» (56). È atipico che un Concilio dopo tante discussioni ed emendamenti emani un documento così imperfetto che necessiti una nota previa circa l’interpretazione del documento (57).

Dopo il Concilio, i neoterici (cioè, i progressisti) hanno ridotto la Chiesa al Vaticano II. Parlano continuamente della fede del Vaticano II e non mostrano attenzione ai Concilii precedenti (58) I neoterici sono soliti denigrare la Chiesa storica, la Chiesa del passato, come fucina di errori… Il Vescovo Ancel (già Padre conciliare) incolpava la Chiesa degli errori del mondo moderno… In realtà l’errore ha la sua responsabilità autonoma e non bisogna caricarla a chi non è nell’errore…(59)

II Card. Garrone (su L’Osservatore Romano, 12 luglio 1979) ha affermato che se il mondo non è cristiano, ciò non è perché il mondo rifiuti Cristo, ma è perché noi Pastori non abbiamo saputo dare il Cristo al mondo.. (60)

Queste tesi che denigrano la Chiesa, e che si sostituiscono all’apologetica, suppongono che la causa dell’errore di un uomo risieda nell’errore di altri uomini; tali tesi dissolvono la libertà e responsabilità personale… A questo punto i progressisti dovrebbero logicamente addossare sul Cristo la responsabilità del rifiuto e del peccato degli uomini (dunque il Cristo non si sarebbe presentato bene?). Insomma la denigrazione della Chiesa rimbalza su Cristo. Anche in questo, i neoterici manifestano la loro grande superficialità (61).

Alla denigrazione della Chiesa pre-conciliare, si accompagna di solito l’esaltazione eccessiva della Chiesa delle origini, “pre-costantiniana”, che sarebbe composta da cristiani più perfetti, più puri…(62) Ma il Nuovo Testamento e la storia ecclesiastica smentiscono quest’altro luogo comune dei neoterici.

Molto interessante il capitolo VI di Iota unum: La Chiesa postconciliare. Paolo VI (pp. 111-158). «La celebre enciclica Humanae vitae del 25 luglio 1968 diede luogo alla più generale, importante e, per certi versi, tracotante manifestazione del dissenso intestino alla Chiesa»(63). Alla collegialità e corresponsabilità episcopale, sancite nel Vaticano II, si appellarono erroneamente i vescovi e i teologi dissenzienti dalla Humanae Vitae di Paolo VI.

Altro segno di crisi nella Chiesa postconciliare è il grave dissenso della Chiesa olandese che mise in dubbio l’autorità del Papa quando questa non si eserciti collegialmente. Dinanzi a questo e ad altri problemi, Paolo VI – afferma Amerio – si limitava a condannar senza porre alcuna azione medicinale-punitiva. Denunziava l’errore ma non rimuoveva l’errante dal suo ufficio pastorale o teologico… Amerio parla di «debolezza» dell’atteggiamento di Paolo VI, e di sua «desistenza dall’autorità», ossia non avrebbe esercitato fino in fondo l’autorità richiesta dal suo ministero (petrino), che richiede appunto la deposizione dell’errante dal suo ufficio (anche episcopale!), in caso di grave errore o insubordinazione (64).

Prima del Vaticano II, l’ecumenismo è inteso come ritorno alla Chiesa Cattolica da parte dei “fratelli separati”. Durante e dopo il Concilio, non si parla più di “ecumenismo del ritorno” (grazie anche al Card. Bea), ma si parla di “conversione” di tutti a Cristo… Come conseguenza di ciò, nel post-concilio diminuiscono le conversioni alla Chiesa Cattolica…(65)

Nel XX anniversario dell’inizio del Vaticano II, su L’Osservatore Romano del 20 ottobre 1982, un titolo proclama: “Siamo il secolo più evangelico della storia”. E su L’Osservatore Romano del 21 agosto 1983, p. Congar afferma che “La nostra epoca è una delle più evangeliche della storia”…(66) Affermazioni superficiali e idealistiche.

Dopo il Vaticano II, di fatto, è diminuito l’influsso sociale della Chiesa nel mondo, nell’ordine internazionale, e si sono diffuse l’oscurazione dell’escatologia e l’ecumene umanitarista (69)

2.2. Alcune osservazioni su Papa Paolo VI

Gli “addetti ai lavori” ben conoscono l’esistenza di recenti pubblicazioni pesantemente critiche nei confronti di Papa Paolo VI (1919-1963) (70). Per il momento, non intendo addentrami nella “selva” di tale letteratura, quanto invece limitarmi ad alcuni rilievi sui dati offerti da studiosi non ostili al grande Papa bresciano.

2.2.1. Simpatie “liberali

II giovane Montini è nato e cresciuto nell’ambiente del cattolicesimo sociale e liberale bresciano. Ha sempre avuto “un debole” per la letteratura francese sia laica e sia cattolica (Bloy, Peguy, Mercier, Maritain, Congar, Guitton…), è stato molto “aperto al nuovo”… Non è mai stato un tomista stretto o un prete romano nel senso inviso ai cattolici d’oltralpe. Non ha frequentato il Seminario, per motivi di salute, ha condotto gli studi in casa. Il giovane Montini è stato affascinato dal vasto movimento di rinnovamento liturgico, biblico, teologico del primo Novecento (Anni ’20-30) che viene in certo senso sintetizzato nel libro L’ Essenza del Cattolicesimo di Karl Adam (1924), libro che verrà messo all’Indice. Tutte le copie ritirate saranno conservate nell’appartamento romano di mons. Montini, ben favorevole verso tale letteratura teologica d’avanguardia (71). Perciò la Comunità di Taizé, Jean Guitton e p. Congar hanno ritenuto mons. Montini più accogliente e più “aperto” alle “imprese” francesi, rispetto al “freddo” (ma avveduto) Pio XII (72).

2.2.2. L’episodio delle dimissioni

Nel 1933, mentre è addetto in Segretario di Stato, è dimesso dalla carica di Assistente Ecclesiastico Generale delle Associazioni Universitarie di Azione Cattolica. In una sua lettera (mai recapitata) al Vescovo di Brescia, mons. Montini lascerebbe intuire le accuse di cui è stato fatto segno: “liturgismo”, metodi da sale protestanti offensivi della pietà cattolica e della pia pratica mariana del Rosario…(73)

2.2.3.1 preti-operai

Mons. Montini si mostra favorevole all’esperienza francese dei “preti-operai” difesa dal Card. Suhard… Mons. Montini trova del tutto insufficiente la semplice difesa delle forme canoniche sociali ed esteriori che normalmente definiscono la vita del prete (ossia l’abito, la lingua, lo stile); bisogna invece rendere i preti capaci di portare il Vangelo nel secolo presente, secolo agitato e lontano dal Vangelo (74). Ma tra il 1953-54, la Santa Sede, tramite la Nunziatura Apostolica, limitò e mise fine all’esperienza dei preti-operai, che facilmente faceva slittare i consacrati verso promiscuità, secolari-smo pratico, comunismo (75). Poi dopo il Concilio l’esperienza fu ripristinata in Francia e in Italia. Al boom degli Anni (70), è seguito un continuo calo numerico e ora molti preti-operai sono divenuti pensionati.

2.2.4. Apertura verso: cultura moderna, nuova teologia, fratelli separati, comunisti…

Da Arcivescovo di Milano (1962) parla in modo favorevole di un «relativismo cristiano» (76), ossia una qual certa relatività delle cose da intendersi in modo cristiano… L’espressione di Mons. Montini («relativismo cristiano») resta comunque infelice ed ambigua. Poi, in maniera ancor più infelice ed ambigua, essa sarà ripresa dal discusso Cardinale Carlo Maria Martini…(77)

Montini (prete, monsignore, cardinale e Papa) ha una grande simpatia (forse troppa?) per l’uomo moderno e per la cultura moderna. Al Concilio, mostra preoccupazioni ecumeniche. Il 20 giugno 1962, nella 7a sessione della Commissione Centrale Preparatoria del Concilio, il Cardinal Montini, definì inopportuna anzi dannosa («inopportuna, imo damnosa») la presentazione («propositio») del titolo mariano di Mediatrice poiché – così spiegava l’illustre prelato – anzitutto il termine «mediator» conveniva solo a Cristo («unice et exclusive Christo est tribuendum») secondo le note parole di san Paolo (1Tm 2,5): «”unus est mediator”»(78). In effetti ciò è esattamente quanto hanno sempre detto i Protestanti. Eppure il termine “Mediatrix” era ormai acquisito dal Magistero pontificio e dalla Liturgia Romana. Ma Montini guardava “al nuovo”… Comunque, divenuto Papa Paolo VI, Montini promulga il testo della Lumen gentium dove al n. 62 compare il titolo mariano di “Mediatrice“.

Il 7 e il 25 novembre 1963, Paolo VI incontra in udienza privata il teologo Karl Rahner; manifestandogli apprezzamento per i suoi lavori teologici, il Papa lo invita a proseguire sulla strada che ha aperto e a mantenersi in contatto con lui.

Paolo VI compie gesti ecumenici forse un po’ discutibili: bacia i piedi del metropolita ortodosso Melitene di Calcedonia (1975)80, passa il suo anello pastorale al dito dell’Arcivescovo anglicano Ramsay invitandolo a benedire insieme con lui la folla di fedeli fuori la Basilica di San Paolo Fuori Le Mura (1966)…(81)

Attraverso l’Ostpolitik, Paolo VI tende diplomaticamente la mano ai regimi comunisti europei con grande perplessità (se non proprio scandalo) di clero e fedeli perseguitati in quei Paesi. I governanti comunisti si fanno forti dell’Ostpolitik per imporsi al clero e ai fedeli locali che protestano contro i soprusi dittatoriali (82).

Nei suoi Dialoghi con Paolo VI (1983), Jean Guitton, Accademico di Francia (1961), illustra la grande simpatia di Paolo VI per colui che riteneva «il più realizzato, sotto il profilo cristiano e persino cattolico», «il più perfetto» dei poeti francesi in quanto «rivelatore dei profondi segreti dell’anima»: ossia il poeta Verlaine (83). Mi sembra strano questo “gusto” di Paolo VI per la poesia di Paul Verlaine…(84)

2.2.5. Riforma liturgica, caso Lefebvre, progressismo avanzante…

Nel 1969-70 e seguenti, Paolo VI impone la riforma liturgica guidata dalla discussa figura di mons. Annibale Bugnini (85). Il Papa consente la “Messa tradizionale” solo a sacerdoti anziani o malati, purché sine populo… Il 26 novembre 1969 afferma la necessità di sacrificare il latino nella liturgia, la bella Messa tradizionale, e ciò per avvicinare alla Liturgia il maggior numero di fedeli. Eppure egli prevede i rischi di arbitrarietà, di abusi e di disgregazione…(86) Ma vuole andar avanti lo stesso. Gli abusi ci saranno, proprio come aveva temuto.

Comunque sappiamo riconoscere a Papa Montini grandi meriti, tra cui l’essersi imposto nel proclamare Maria Mater Ecclesiae (al Concilio), e nell’aver promulgato l’enciclica Humanae Vitae; inoltre, l’impulso al “risveglio” mariologico (1974)… L’Humanae vitae valse a Paolo VI reazioni ostili (pubbliche o sotterranee) di vari episcopati e di cardinali, come Suenens – a cui aveva dato grande fiducia in Concilio.

Paolo VI si oppone apertamente a Mons. Marcel Lefebvre, gli intima obbedienza, accettazione del Concilio e della riforma liturgica (dunque abbandono del Vetus Ordo Missae); purtroppo – a quanto mi risulta – verso quei teologi progressisti apparentemente moderati (es.: Rahner, Congar…) (87), i cui errori erano evidenti, Paolo VI non fa denunce e non prende misure disciplinari.

Si tratta di teologi che sotto Pio XII furono censurati o tenuti sotto controllo, poi sotto Giovanni XXIII divennero periti conciliari e sotto Paolo VI furono liberi di “pontificare” e così la teologia d’oltralpe fu scambiata per magistero puro e conciliare… Forse, nel suo amore al “nuovo”, e dotato di animo molto delicato e poco “malizioso”, Paolo VI non riuscì ad accorgersi della scaltrezza e della pericolosità di un rinomato teologo neo-modernista come Karl Rahner. Nel 1972, Papa Montini denuncia il neo-modernismo rampante, ma senza far nomi…Negli ultimi anni, Paolo VI confida al Cardinal Siri (il quale non ricorda esattamente l’anno in cui il Papa glielo disse) che avrebbe voluto restaurare il Sant’Offizio «come prima o peggio di prima!». Ma non se ne fece niente forse perché gli mancavano le forze fisiche, e/o troppi erano gli ostacoli (88).

2.3. Alcune idee di Mons. Marcel Lefebvre e discepoli

Con queste mie osservazioni critiche su alcuni fatti e personaggi del Concilio e su alcuni aspetti della vita di Paolo VI (che Dio l’abbia in gloria!) non vorrei minimamente passare per un “lefebvriano”. Perciò approfitto per esprimere il mio dissenso verso la posizione di Mons. Marcel Lefebvre, in particolare verso ciò che andava dicendo sulla “Nuova Messa” o Novus Ordo Missae.

Volendo scansare un altro genere di equivoci, ci tengo a precisare che celebro molto volentieri la Santa Messa, il più che posso, secondo il Vetus Ordo.

Non si può condividere quanto Lefebvre affermava nel 1978-79, ribadito in un opuscolo della FSSPX (1998) sulla “Nuova Messa”: Lefebvre scrive che il buon cattolico non deve parteciparvi, fa peccato, mette a rischio la fede (figuriamoci poi, il prete che la celebra!)… Invece il fedele – dice Lefebvre – dovrebbe santificare la domenica partecipando alla Messa “tridentina” e se non può farlo, meglio pregar da solo che partecipare alla “Nuova Messa”; in tal caso non mancherebbe al precetto domenicale… In quell’opuscolo lefebvriano, la “Nuova Messa” è equiparata addirittura a «una Messa nera nelle logge massoniche», alla Messa dei preti scismatici, alla Messa degli ortodossi… riti illeciti… Per Lefebvre e discepoli, la “Nuova Messa” (postconciliare) è valida ma illecita (89).

Spero che tra i discepoli di Mons. Lefebvre si stia rivedendo anche tali posizioni…

Il giornalista Benny Lai riferisce che tra il 1977 e il 1979, il Card. Siri tenta una mediazione tra la Santa Sede e Mons. Lefebvre (sospeso a divinis nel 1976 per aver ordinato presbiteri e diaconi senza l’approvazione della Santa Sede). Siri riferisce a Giovanni Paolo II che Mons. Lefbvre avrebbe chiesto di celebrare la Messa di San Pio V. Il Papa risponde che non è un problema; già molti in Inghilterra ne hanno il permesso.

Purtroppo, anche a causa di forti ostilità del Card. Villot (Segretario di Stato) e di altri curiali francesi, l’accordo salta (90). Verso il maggio 1988 si tenta un altro accordo tra Santa Sede e FSSPX. Nel giugno ’88 Siri raccomanda a Papa Woytila di non esser tenero con Lefebvre il quale se ne approfitta da ben 10 anni per fare e dire quel che vuole. Il 22 giugno Siri scrive in francese una lettera a Mons. Lefebvre esortandolo alla sottomissione alla Chiesa Romana.

Il 30 giugno Lefebvre procede alle 4 ordinazioni episcopali che lo fanno incorrere nella scomunica latae sententiae. Siri ritiene Lefebvre un «testardo» e consiglia Giovanni Paolo II di procedere al «taglio netto», cioè dare grande risalto pubblico alla scomunica con un apposito decreto pubblico (91). Tutto ciò, il Card. Siri l’avrebbe dichiarato a Benny Lai.

Inoltre, non condivido il giudizio troppo enfatico dato su Mons. Bernard Fellay (attuale Superiore Generale della FSSPX) in 4a di copertina di un recente libro: «un vescovo della Chiesa cattolica, fedele al Magistero e al Papato» … (corsivo mio). Già dal titolo di quel libro si direbbe che la FSSPX sia l’unica vera portatrice della Tradizione…(92)

Che dire poi del titolo di un paragrafo: «La Tradizione non più scomunicata» (p. 23)?

Che dire poi di alcune dichiarazioni di due vescovi lefebvriani? Mons. Williamson avrebbe affermato che il Concilio Vaticano II è una «torta avvelenata» da gettare nella «pattumiera». Per Mons. Bernard Tissier de Mallerais quel Concilio va «cancellato». Mons. Fellay ha riconosciuto che quella di Williamson è una frase polemica, ma non la condanna…(93)

Non mi va di esser gettato nella pattumiera insieme al Concilio… I Fondatori della nostra Famiglia religiosa (Frati e Suore F.l.) si sono sentiti ispirati a tale fondazione proprio per attuare il dettato conciliare sulla vita religiosa: ritorno allo spirito delle origini (in tal caso francescane) con l’attenzione alle mutate condizioni dei tempi. Ho visto celebrare in modo esemplare la “Nuova Messa” dai nostri Padri Fondatori, dai miei Superiori e Confratelli sacerdoti. Sono sacerdote e per molti anni ho celebrato la Santa Messa soltanto secondo il Novus Ordo. Adesso, molti di noi stanno (ri-)”scoprendo” la Liturgia Romana Tradizionale e riconosco che il Vetus Ordo Missas esprime in maniera più chiara e profonda (con chiarezza di formule, e ricchezza devota di riti, gesti e simboli) la Fede cattolica nel Mistero Eucaristico. In ogni caso, a scanso di equivoci, ribadisco che un cattolico non può condividere le asserzioni (sopra riportate) di Lefebvre e quelle dei suoi discepoli sulla “Nuova Messa”.

Ai quattro Vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, il Santo Padre ha benevolmente revocato la scomunica e ora sono in corso trattative tra la Santa Sede e la FSSPX per una piena reintegrazione giuridica di questa nella Chiesa Romana. Speriamo bene e preghiamo.

2.4. Complotti?

Vari studiosi, anche rinomati cattolici, facilmente dileggiano e squalificano chi parla di complotti massonici o non massonici. Tuttavia, dopo questo excursus sulla storia travagliata di questo ultimo cinquantennio, mi pare lecito e doveroso chiedersi se c’è stato qualche complotto…

Ai tempi del modernismo, Paul Sabatier (1858-1928), protestante liberale, francescanofilo mellifluo e raffinato, che presentò un (san) Francesco liberale (sabatieriano), era agente di contatto tra vari esponenti del modernismo italiano ed europeo. Sabatier ammise di servirsi della sua biografia francescana per distruggere il senso di obbedienza ecclesiale ed introdurre il criticismo nella agiografia cattolica. Tutto ciò ci vien attestato da don Lorenzo Bedeschi, difensore post-conciliare del modernismo (94) (e della Massoneria…) (95).

Nel 1905, nel romanzo Il Santo, il modernista Fogazzaro (che in seguito ritratterà le sue idee, solo esteriormente) mette in bocca ad alcuni personaggi il concetto di «Massoneria Cattolica», ovvero un progetto e una rete occulta di propaganda di quello che san Pio X avrebbe chiamato modernismo (96). Il modernismo è totale apertura alla “modernità”, ovvero assunzione della filosofia immanentistica e agnostica di matrice tedesca, liberal-protestante. Lo scopo: una pretesa rigenerazione religiosa… I risultati: soggettivismo, sentimentalismo, criticismo metodologico, rifiuto dei dogmi e della Tradizione, in tutti i campi… Dopo l’enciclica antimodernista Pascendi, i massoni italiani esprimono solidarietà ai modernisti scomunicati; in effetti quello dei modernisti è un “cattolicesimo” accettabile per i massoni.

Anche dopo la morte di san Pio X, il modernismo ha continuato a vivere sotterraneo nella Chiesa. Negli Anni ’30-40 si fa strada il gesuita Karl Rahner con la sua filosofia trascendentale, che congiunge idealismo kantiano ed hegeliano. Il maestro di Rahner è Martin Heidegger. In effetti Rahner rivela sempre meglio il carattere esistenzialistico della sua teologia.

Nel 1943 l’arcivescovo di Friburgo (Germania), Mons. Gròber, contesta varie tesi “moderne” che teologi di Vienna (in primis, Karl Rahner, ben protetto da mons. Karl Rudolf, delegato del Card. Innitzer) divulgano anche in Germania. Ecco alcuni errori: influsso protestantico nella teologia dogmatica cattolica, disinteresse per la teodicea, enfatizzazione di prassi e norme della Chiesa primitiva, enfatizzazione dei Padri Orientali, disprezzo per la Scolastica, liturgismo, enfasi sulla Comunione dei fedeli per l’integrità della Messa, lingua vernacola nella Messa, soprannaturalismo… Insomma elementi che caratterizzeranno il progressismo teologico (occulto o palese, cauto o radicale) del post-concilio (98).

Nella Humani generis (1950), Pio XII denuncia il “neomodernismo”; non riesce ad estirparlo ma lo tampona facendo censurare i corifei della Nouvelle Théologie che poi si sono purtroppo assisi come periti al Concilio Vaticano II”. Abbiamo riportato sopra, dal testo di Amerio, la candida “confessione” del Card. Tisserant sulla cospirazione di alcuni cardinali (Tisserant incluso) organizzata per sabotare le regole conciliari di Giovanni XXIII ritenute addirittura “tiranniche”.

Vi sono riusciti. Un giornalista progressista, ex novizio dei “Padri Bianchi”, Henri Fesquet, nel suo Journal du Concil, accosta il Concilio alla Rivoluzione Francese (100), mentre Michael Novak (che ha scritto l’introduzione per l’edizione americana del volume di Fesquet), in modo trionfalistico, scrive che con il Concilio Vaticano II è stata vendicata quella corrente sotterranea, operante da più di un secolo, di pensatori e teologi fino ad allora censurati dal Magistero (101) Parole inequivocabili. Dunque, complotti ci son stati!

Poi c’è lo studio del giornalista p. Wiltgen che mostra, tra l’altro, le manovre intra- ed extra-conciliari (tra cui: conferenze e riunioni, pubbliche o riservate, che somigliavano a “para-concilii”) del potente gruppo di Padri conciliari dei Paesi del Reno che giunsero a formare un’Alleanza Europea (appoggiata da moltissimi Padri africani, latino-americani e asiatici), di maggioranza schiacciante rispetto ai Padri conservatori, curiali e “romani”.

Proprio tra quei Padri (Cardinali, Vescovi, periti) “renani” vi erano i protettori e gli esponenti (102) di quello che possiamo definire progressismo o neo-modernismo (103). Il teologo guida influente delI’Alleanza Europea era Karl Rahner104, perito del Card. Kònig105. Con Paolo VI, la direziona dei lavori conciliari passò nelle mani di 4 Cardinali moderatori di cui tre erano noti liberali: Dòpfner, Suenens, Lercaro (106).

Tutto sommato, al Concilio i progressisti non vinsero, grazie anche a interventi fermi di Paolo VI, ma, in vari documenti, posero i germi per riprendersi la rivincita nel post-concilio. E che rivincita! Tra i “cospiratori” progressisti conciliari vi è il famoso Mons. Helder Càmara, favorevole alla collegialità, all’ordinazione in sacris delle donne, alla contraccezione, al divorzio (108) e all’alleanza comunista (109).

Tra gli ecclesiastici, il Card. Leon Joseph Suenens – grande amico di Mons. Càmara (110) – fu uno dei grandi cospiratori e avversari europei dell’enciclica Humanae Vitae (1968) (111). Del resto, già al Concilio, Suenens era a favore della regolazione delle nascite (contraccezione) (112) ed era ostile alla clausura e alla vita religiosa femminile di stampo tradizionale (113). Nel 1966, ad appena pochi mesi dalla fine del Concilio, l’ex Sant’Uffizio stilò una lista di errori filosofici e teologici già diffusi in vari ambienti cattolici.

In un discorso del 1972, Paolo VI denuncia l’attualità sotto altri nomi del «modernismo» (parole sue!) già condannato dal papa san Pio X col decreto Lamentabili (1907) e con l’enciclica Pascendi. Paolo VI ha citato apertamente i due suddetti documenti di Pio X (115). Se l’ha detto Paolo VI, allora era proprio vero!

Se poi parliamo di Massoneria? Ci sono autori che parlano di pressioni ebraico-massoniche (es.: B’nai B’rith) presso Padri conciliari (116), e persino di militanza massonica di alcuni di loro (quali: i Cardinali Liénart, Suenens, Lercaro, Pellegrino, Villot, Mons. Bugnini, p. Caprile, don Bedeschi…), in genere nomi altisonanti dell’area liberal-progressista “moderata” o “radicale”…(117) Non dispongo di strumenti investigativi per valutare con certezza critica e cartesiana la realtà di quelle accuse, liste e nomi.

Per ora, dal punto di vista strettamente scientifico, se non posso affermare con certezza che quegli ecclesiastici siano stati davvero massoni, nemmeno posso escluderlo del tutto (118). Uomini di Chiesa, come il Card. Siri , hanno dato credito alle liste di presunti ecclesiastici massoni (affidando addirittura all’allora Comandante dei Carabinieri Enrico Mino ben due indagini: 1975, 1977) (120), tra cui la Lista Pecorelli (121). Poi verso la fine degli anni 70 (o 1974?), per conto di Paolo VI, Mons. Edouard Gagnon (1918-2007) svolge un’inchiesta sull’intera Curia Romana, al fine di appurare l’esistenza di infiltrazioni nemiche (leggi: mas-soniche!) e di affarismi…

Per ordine del Papa (o della Segreteria di Stato), il corposo e dettagliato dossier Gagnon, non viene consegnato di persona a Papa Montini, ma viene messo “al sicuro” negli uffici della Congregazione del Clero, in Vaticano, dove però viene rubato… A Gagnon, che ha (almeno) un’altra copia, viene rifiutato l’incontro con Papa Montini. Gagnon torna in Canada (122). In seguito gli verrà ordinato di distruggere le copie rimastegli (123).

In ogni caso è certo che vari massoni si sono serviti di ecclesiastici liberali e progressisti (e non di “conservatori” come Ottaviani, Sacci, Ruffini…) per strappare alla Santa Sede la revoca della scomunica ed ambigui riconoscimenti di compatibilita catto-massonica. Insomma, complotti?(124) Sì, tutto fa ritenere che ce ne siano stati, sia massonici che clerico-progressisti.

2.4.1. “Infiltrazioni” moderniste ed esoteriche anche tra cattolici tradizionalisti?

Secondo vari autori, influssi e infiltrazioni esoterico-massoniche non hanno risparmiato nemmeno ambienti cattolici tradizionalisti. In effetti alcuni personaggi legati a tali ambienti (finanche alla FSSPX) hanno mostrato simpatie acritiche verso la figura ed il pensiero dell’esoterista e massone Rene Guénon, propagatore di una tradizione e di un tradizionalismo esoterico, sovraconfessionale, meta-dogmatico e gnostico (125).

Molto interessante è il caso dell’abbé Grégoire Celier (FSSPX), per 13 anni (1993-2006) direttore della rivista Fideliter e delle edizioni Clovis. Il suo recente libro-intervista Benoit XVI et les traditionalistes (2007), scritto con Olivier Pichon (dal 2003 direttore della rivista Monde et Vie) è pubblicato dalle edizioni parigine Entrelacs nella collana Connivences diretta da Jean-Lue Maxence. Nella prefazione («Ouverture») Maxence si presenta come ex giornalista di Monde et Vie, una rivista molto stimata in ambienti cattolici tradizionalisti. Maxence dice di aver proposto a Pichon e a Celier un dialogo con assoluta libertà sulla questione del riavvicinamento della FSSPX alla Chiesa di Roma. Anche Maxence spera in una riconciliazione possibile (126).

Nel 2008, J.-L. Maxence (guénoniano notorio, almeno sin dal 2001) pubblica il libro La Loge et le divan in cui, oltre a presentarsi come psicanalista junghiano, “confessa” fieramente la sua pluridecennale appartenenza alla Massoneria e al Rito Scozzese Antico e Accettato sostenendo varie idee eterodosse (gnosi, antidogmatismo, psicanalisi) (127). Dunque, Maxence era massone anche mentre collaborava con Monde et Vie… Anche nel marzo 2009, J.-L- Maxence dichiara la sua appartenenza alla Massoneria (128). A questo punto, vari tradizionalisti (specialmente alcuni sedevacantisti) levano durissime critiche contro l’abbé Celier, contro mons. Fellay e contro tutti quei membri della FSSPX che auspicano il riavvicinamento con Roma…

È bene rilevare che da anni l’abbé Celier è una figura controversa in ambienti tradizionalisti. Nel 1993 (due anni dopo la morte di Mons. Marcel Lefebvre), nel libro L’avenir d’une illusion (Editions Gricha) Celier sostiene la piena cattolicità del filosofo guénoniano Jean Sorella (sedicente cattolico tradizionalista, antimodernista, anticonciliare…) e tenta di squalificare gli studiosi Etienne Couvert, Paul Raynal e Jean Vaquié (1911-1992) – quest’ultimo assai stimato da Mons. Marcel Lefebvre – i quali affermano l’esistenza di una Gnosi universale e trans-storica (matrice di tutti gli errori) e denunciano infiltrazioni gnostico-esoteriche in ambienti cattolici tradizionalisti…(129)

Nel 1994, Celier pubblica Le dieu mortel, criticato da ambienti cattolici tradizionalisti come un libro di filosofia antropocentrica e naturalista, che di fatto (al di là delle buone intenzioni dell’autore) separa ragione e Rivelazione (130). Nel 2000 e nel 2003, Etienne Couvert e Philippe Ploncard d’Assac denunciano infiltrazioni gno-stiche nella FSSPX (131). In altri due libri (2003; 2004), sotto lo pseudonimo di Paul Semine, l’abbé Celier prosegue la sua critica alle tesi di Raynal-Couvert-Vaquié e continua a negare che vi siano infiltrazioni gnostiche negli ambienti cattolici tradizionalisti…

All’interno della FSSPX, Sernine/Celier trova sia elogi che critiche (132). Semine presenta Couvert-Raynal-Vaquié come studiosi autodidatti e superficiali. Eppure Jean Vaquié ha dimostrato in modo dettagliato che l’esoterismo cristiano dell’abbé Henri Stéphane (133) e di Jean Sorella non è compatibile col Dogma cattolico. Tra le teorie eterodosse dei guénoniani Stéphane e Sorella vi è quella dell’androginia primordiale dell’uomo e di Cristo (134).

Insomma è certo che esponenti ed ambienti FSSPX sono stati frequentati (lo sono ancora?) da qualche personaggio legato alla Massoneria (cf. caso Maxence) o sedotto dalla cultura esoterica (cf. caso Borella). Non solo tra preti e fedeli della Chiesa “conciliare”, ma anche tra ligi cattolici tradizionalisti può attecchire la tentazione di un qual certo esoterismo cristiano, magari insinuato sottilmente da qualche sedicente amico o benefattore (massone o non). Del resto, massoni ed esoteristi, in quanto rivendicano una universalità superiore alla nostra Fede Cattolica (romana e dogmatica), non possono non ricercare anche la frequentazione di ambienti Cattolici Tradizionalisti…

continua

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