La tutela della salute e una strana sentenza salernitana

legge 40Il Foglio giovedì 21 gennaio 2010

Consigli per evitare che l’Italia diventi una fabbrica di bambini perfetti

di Roberto Volpi

La magistratura piglia e cambia le leggi approvate dal Parlamento, così, senza battere ciglio. La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita non ha retto ai suoi ripetuti assalti, tant’è che oggi non si sa più né che cosa rappresenti né che cosa valga.

Isabella Bossi Fedrigotti applaude. al suo solito, tutte le volte che un pm fa un altro buco nella pasta di quella legge (che ha pure resistito alla grande a un referendum abrogativo), mentre Eugenia Roccella interviene cercando di riportare chiarezza e misura. Inutilmente, mi viene da dire, anche con un occhio al sondaggio dello stesso Corriere, che premia con l’88 per cento dei consensi espressi dai lettori la sentenza di Salerno con cui si autorizza la procreazione medicalmente assistita con tanto di diagnosi preimpianto per una coppia fertile e con già un figlio sano, ma che ne vuole un secondo – sano – senza correre il rischio di una grave malformazione genetica di cui la coppia è portatrice (sana). Roba che se non è eugenetica questa ci si chiede che cosa sia allora l’eugenetica.

In Italia, ma non solo in Italia, una mentalità eugenetica è già nei fatti. La fabbrica dei bambini perfetti, quale è diventata nel tempo la tutela della maternità, scarta senza pietà la possibilità stessa della nascita di bambini con qualche malformazione, anche lieve, se appena appena questa malformazione è diagnosticabile in sede prenatale. Poiché non v’è dubbio che l’area della diagnosticabilità tenderà a espandersi, è facile pronosticare il tempo, non lontano, in cui sarà esclusa la possibilità stessa della malformazione, dell’imperfezione nella nascita, e dunque dei bambini imperfetti.

Eugenia Roccella ha un bel dire che non esiste il diritto a un figlio sano. A contraddirla su questo punto è la stessa Costituzione italiana. Che, a proposito di salute, recita al primo comma dell’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo (…)”.

Non tanto e non soltanto, dunque, il diritto alla cura come all’assistenza, a non essere abbandonato quando forze e salute ti abbandonano, quanto proprio il “fondamentale diritto dell’individuo” alla salute, il diritto di stare fisicamente e pure mentalmente bene: questo è il diritto riconosciuto e tutelato dalla nostra Costituzione. Strano diritto, si ammetterà. A nessuno, che non fosse un po’ squinternato, passerebbe mai per la testa di poter considerare quello all’intelligenza o alla bellezza o, ancora, alla felicità un diritto.

Eppure il diritto alla salute è della stessa “stoffa” del diritto all’intelligenza, alla bellezza, alla felicità: tutte qualità che non possono essere stabilite e assicurate attraverso alcuna via legislativa o costituzionale, giacche gli uomini, le società, gli stati, i governi non hanno di questi poteri, non possono assicurare ai singoli cittadini la bellezza o l’intelligenza e men che meno la felicità. Ma neppure la salute. Possono certamente adoperarsi per far sì che certe qualità siano presenti nelle più alte proporzioni possibili nella popolazione, ma non c’è modo di assicurarle a ciascuno, non c’è modo di fare di queste qualità un diritto dei cittadini, dei singoli individui.

Ma nessuno che abbia mai osato mettere l’accento sulla totale incongruità di un tale diritto così come della sua formulazione costituzionale.

Anzi. E’ così ampio il diritto alla salute, così assoluto che si potrà in tutta coscienza abortire un feto se esso può essere messo in forse dal caso che si annida nella riproduzione, nell’unione dei patrimoni cromosomici all’atto del concepimento. Se un feto non gode pienamente del diritto alla salute, quello stesso diritto ne giustifica altrettanto pienamente la soppressione. Un paradosso o non piuttosto la perfetta conseguenza di un appunto paradossale diritto alla salute? Non far venire alla luce un bambino Down non è più, cosi, un atto di liberazione verso se stessi, che riguarda esclusivamente le donne, ed eventualmente gli uomini, le coppie, che prendono una tale decisione.

E’ anche sentito come un atto di liberazione nei confronti del feto, è anche un liberare lui, e attraverso di lui il neonato ch’egli sarebbe stato, e poi il bambino che sarebbe diventato, dall’invivibilità di una condizione che ha perso in partenza, ancora prima di cominciare, il diritto alla salute, che ha perso da subito la sua partita con la salute.

E’ anche un liberare il feto che non vedrà la luce dal peso di una vita che essendo carente delle stimmate riconosciute del buon stato di salute, della accertata e accettata normalità, sarebbe stata in fondo una sorta di vita a scartamento ridotto, una vita minore consumata tra fatica e dolore. Non solo: evitare che veda la luce un bambino con un difetto congenito è perfino visto come un atto di liberazione nei confronti della società, che potrà così dedicarsi a mantenere il diritto alla salute di quanti non ne siano stati privati sin da prima di venire al mondo.

E’ a loro che vale la pena di sacrificare tempo e risorse, perché sono loro che hanno quella speranza – di più, quella ragionevole certezza – di salute che non può vantare chi alla vita ci arriva con l’handicap di un difetto congenito. Eppoi dicono che la prima parte della Costituzione, quella dei principi generali, va bene così com’è.

Il “fondamentale diritto degli individui” alla salute tutelato dalla Costituzione sta alla base di tutti gli eccessi che in suo nome quotidianamente vengono compiuti e che semmai attentano ai diritti dei cittadini, a cominciare da quelli di coloro che debbono ancora completare il tragitto dal concepimento alla nascita.