Il popolo c’è, mancano i capi

referendum_costituzLa nuova Bussola quotidiana

5 Dicembre 2016

di Alfredo Mantovano

Cercasi Hofer versione 2016. Non Norbert, ma Andreas. Sì, quel padre di famiglia che – nomen omen – faceva l’oste vivendo in un maso della val Passiria quando Napoleone invase il Tirolo. Il popolo non voleva Bonaparte e si attendeva che le elité guidassero la resistenza: ma i capi scapparono o si accordarono con l’invasore e, alla ricerca di una guida vera, i valligiani si rivolsero a chi stimavano e ritenevano affidabile. Il popolo c’era.

Allora come ora. Mancano i capi, allora come ora. Il fronte del No ha una composizione varia, che non permette a nessuno di vantare la vittoria esclusivamente come propria. Anche le motivazioni sono varie, e spaziano da quelle meramente conservative degli apologeti della Costituzione “la più bella del mondo” all’opposizione alla riforma come conseguenza dell’opposizione a Renzi, che accomuna M5s e Lega, fino alle riserve sul merito sollevate da ambienti differenti, incluso quello del popolo del Family day. Un popolo che ha da subito individuato nella riforma il contrasto con quel che ha di più caro, e che ora può dire a pieno titolo “Matteo, ci siamo ricordati”.

Sarebbe grave se questa componente del No fosse ignorata ancora adesso, dopo esserlo stata dai media, dai commentatori e dallo stesso premier per l’intera campagna referendaria; sarebbe grave per il rispetto che si deve agli elettori e alla verità. Una percentuale di No così elevata non si spiega con la mera sommatoria dei simpatizzanti di Lega, M5s e di una parte di Forza Italia (una parte, visto il posizionamento sul Sì di Mediaset e un impegno del suo leader che non può definirsi propriamente deciso).

Si spiega con la contrarietà a un testo pasticciato: chi ha partecipato a conferenze, convegni, manifestazioni alle quali erano previste le domande dal pubblico ha potuto cogliere una crescente consapevolezza, capace anche di entrare nel dettaglio dei singoli profili della riforma.

Si spiega con l’insofferenza a essere considerati da media, commentatori e personaggi più o meno illustri, come dei paria incapaci di comprendere la pretesa grandezza del cambiamento portato dal Bonaparte formato twitter; e con la volontà di sottrarsi al ricatto del presunto diluvio che si sarebbe scatenato dopo di lui.

E i media perseverano: i primi commenti continuano sull’onda delle sciagure che nell’immediato il successo del No provocherebbe all’Italia… Si spiega con il giudizio negativo per una esperienza di governo che non ha dato seguito a uno solo degli annunci di maggiore dignità in Europa, di rientro dall’indebitamento, di incremento dell’occupazione, di contenimento dell’immigrazione. Si spiega, nel quadro di tale giudizio negativo, con l’amarezza e la mortificazione subita dalle famiglie italiane negli ultimi tre anni, con leggi e azioni di governo mai così pesantemente ostili.

Certo, non consola che vada via Renzi, quando resta una legge così contraria al buon senso e alla natura come quella c.d. sulle unioni civili, rivendicata dallo stesso premier all’atto delle dimissioni. Ma il tempo è galantuomo sempre: il conto è stato presentato presto. Il Sì ha potuto vantare uno spiegamento di forze impressionante: risorse senza limite, media proni, sponde e sostegni di ogni tipo negli ambienti che contano in Europa e sulla scena internazionale e finanziaria.

Il No ha opposto le mani nude ai lanciafiamme e ai mitragliatori. Del No hanno fatto parte piazza San Giovanni e il Circo Massimo: quei milioni di persone hanno manifestato anche nelle urne. Nel No – lo ripeto – non c’è solo quel popolo, evidentemente. Ma c’è anch’esso. Lo slogan dell’altra parte è stato Basta un Sì. Lo slogan di questo popolo deve essere Non basta un No; e perché ciò avvenga è necessario passare dalla piazza – che è una ricchezza e non va abbandonata – a qualcosa di più e di più strutturato. Al recupero da parte del mondo cattolico di quel Magistero sociale che orienta, permette di valutare e di operare. Ma al tempo stesso al senso della propria responsabilità e del ruolo che è chiamato a svolgere.

Se c’è un nuovo Andreas Hofer per l’Italia è bene che esca fuori, che non sia lasciato solo, che guidi un popolo al quale oggi non poteva chiedersi di più. E che per questo pretende, oggi come nel Tirolo del 1809, di essere guidato con dignità, competenza e coraggio.