L’eccidio dei militari polacchi a Katyn

Proiezione privata del film di Andrzej Wajda “Katyn”Roma – marzo 2009

Introduzione a cura del prof. Victor Zaslavsky

(trascrizione della registrazione digitale, non rivista dall’autore)

Katyn

note a cura della redazione di Rassegna Stampa

Il massacro di Katyn è rimasto fino ad ora alla periferia della conoscenza storica europea. Addirittura gli storici che si occupano del caso, come il giornalista che qualche giorno fa ha scritto su Il Corriere della Sera una recensione al film di Waida, hanno affermato che si tratta dell’eccidio di 4.500 ufficiali e civili polacchi ma il numero reale è molto più altro.

In realtà settant’anni fa, nell’aprile – maggio 1940 la Nkvd (1) fucilò circa 22 mila ufficiali polacchi. Cito una lettera del capo dei servizi segreti, Nikita Krushchev del 1959: «(…) furono fucilati 22 mila uomini, di cui nelle fosse di Katyn 4.400, nel campo di Kozielsk 3.800; nel campo di Ostaszkow 6.300 mentre 7.400 uomini furono fucilati in altri campi di prigionia dell’Ucraina e della Russia. L’intera operazione è stata condotta su delibera del Comitato centrale del Pcus  del 5 maggio 1940». (2)

I fucilati erano in maggioranza ufficiali dell’esercito ma anche intellettuali, imprenditori, alti funzionari, proprietari terrieri, poliziotti, intellettuali, preti, finiti prigionieri durante l’occupazione sovietica della Polonia orientale.

In seguito al patto von Ribbentrop-Molotov la Polonia orientale era caduta sotto il dominio dell’Unione sovietica e questo eccidio è noto come il massacro di Katyn, dal nome della località dove i tedeschi trovarono fossi comuni con i corpi di ufficiali polacchi.

Per spiegare cosa è successo nella foresta di Katyn si devono ripercorrere alcuni episodi alla vigilia della Seconda guerra mondiale, cominciando dal rapido avvicinamento tra Hitler e Stalin che portò alla firma del famigerato Patto Ribbentrop-Molotov che fece da detonatore allo scoppio della guerra.La guerra iniziò il primo settembre 1939 e i sovietici, in accordo con i nazisti, rimandarono l’attacco alla Polonia fino al 17 settembre; il tempo necessario per mobilitare le truppe e per organizzare il sostegno del movimento comunista internazionale.

La scena iniziale del film di Wajda, quando sul ponte si incontrano due folle di fuggiaschi: una che corre da est verso ovest, scappando dai tedeschi e l’altra che corre nella direzione opposta scappando dalle truppe sovietiche, rimane un simbolo indimenticabile dell’alleanza dei due regimi totalitari di Hitler e Stalin.

La superiorità delle forze armate germaniche e sovietiche sull’esercito polacco fu schiacciante e dopo dodici giorni di operazioni belliche le truppe sovietiche avevano occupato il 52% del territorio polacco assegnato all’Urss secondo il Patto Ribbentrop-Molotov.

Le truppe sovietiche presero come prigionieri di una guerra non dichiarata circa 200 mila soldati e ufficiali dell’esercito polacco. Una parte dei soldati fu mandata a casa, un’altra fu trattenuta per lavori di ricostruzione di strade e tutti gli ufficiali furono messi nei campi di concentramento, dove rimasero per circa sei mesi. Ogni detenuto era sottoposto a lunghi e ripetuti interrogatori. Gli inquirenti erano particolarmente interessati alla estrazione sociale ed economica del detenuto, al suo orientamento politico, alla sua affiliazione partitica, ai legami con paesi occidentali e alla conoscenza delle lingue straniere.

La decisione sulla loro sorte fu presa dai sette membri del Politburo del Pcus il 5 marzo 1940. Quel giorno Stalin, Molotov, Beriya, Kaganovich, Khrushchev Kalinin e Kaian dettero ordine al Nkvd – cito il decreto – di «esaminare il caso di 25.700 prigionieri di guerra polacchi secondo una procedura speciale, cioè senza citare in giudizio i detenuti, senza presentare imputazioni, senza documentare la conclusione dell’istruttoria nell’atto di accusa, applicando nei loro confronti la più alta misura punitiva: la fucilazione».

Questo documento fu conservato nel supersegreto archivio del Comitato centrale comunista e fu reso noto soltanto dopo il crollo dell’Unione sovietica.

Perché questa decisione agghiacciante? Questo è stato un perfetto esempio di politica di pulizia di classe, gemella di quella più nota di pulizia etnica.Questa politica accomunava i regimi totalitari di Hitler e di Stalin.

La pulizia di classe è una politica di eliminazione pianificata e sistematica di una intera classe sociale condotta da quei regimi totalitari che adottavano il marxismo-leninismo come loro ideologia dominante e l’esecuzione decretata dal Politburo degli ufficiali polacchi può essere pienamente capita soltanto se la si considera come un elemento del generale processo di pulizia di classe.

Ricordiamo che in maggioranza gli ufficiali polacchi non erano di carriera ma riservisti, cioè esponenti della classe media colta, dell’intellighenzia polacca odiata da entrambi i regimi totalitari come potenziali capi della resistenza. Verso di essa entrambi i regimi: nazista e staliniano, nutrivano un profondo odio e conducevano una identica politica di annientamento.

Nel film vedremo la scena dell’arresto e della deportazione nel campo di concentramento dei professori della Università di Cracovia da parte delle SS naziste e anche qui Wajda, in conformità alla verità storica, sottolinea la somiglianza tra i due totalitarismi.

Ma la fucilazione degli ufficiali polacchi fu soltanto la cima dell’iceberg della pulizia di classe cui fu sottoposta la Polonia militare; infatti il 2 marzo 1940 il Politburo approvò la proposta presentata dal capo della polizia politica Lavrentij Beriya e dal primo segretario del partito comunista di Ucraina Nikita Khrushev di effettuare una deportazione nella regione sovietica del Kazakistan per un periodo di dieci anni di tutte le famiglie degli ufficiali dell’esercito polacco. Si trattava delle mogli, dei figli, degli anziani genitori, dei fratelli dei prigionieri di guerra. 61 mila in tutto.

Nel 1940 i territori della Polonia occupata dai sovietici subirono tre ondate successive di deportazioni di massa. Il 10 febbraio furono deportati diversi contadini agiati, i cosiddetti kulaki nella terminologia sovietica, assieme alle loro famiglie. In tutto circa 110 mila persone. Il 13 aprile stessa sorte toccò ai familiari di ufficiali polacchi e il 29 giugno furono deportati 75 mila rifugiati, in maggioranza ebrei che erano fuggiti dalla parte della Polonia occupata dai nazisti o in qualche caso dalla Germania stessa.

Le condizioni dei deportati erano indecenti; cito il rapporto di un funzionario della Nkvd ai superiori: «Tra i morti la maggioranza sono vecchi e invalidi ma anche persone di età media e bambini. L’alta mortalità si spiega col fatto che i deportati non sono abituati al clima della Siberia. La maggioranza non ha vestiti e scarpe pesanti e perciò in seguito al freddo sono apparse malattie con esito mortale. L’alta mortalità è stata favorita anche dagli approvvigionamenti alimentari inadeguati».

Dopo l’attacco tedesco all’Unione Sovietica il 22 giugno 1941 i detenuti polacchi sopravvissuti nei campi sovietici furono liberati. Tra la fine di settembre e il primo ottobre 1941 erano stati liberati circa 350 mila dei 400 mila cittadini polacchi detenuti nelle prigioni, nei campi e nei luoghi di deportazione. Se a questa cifra aggiungiamo quelli fucilati in seguito si arriva ad una cifra totale compresa tra 450 e 500 mila persone che per ordine di Stalin sono state fucilate, deportate, morte e disperse.

I dirigenti staliniani davano l’ordine di uccidere decine di migliaia di ufficiali e di deportare centinaia di migliaia di abitanti della Polonia sapendo dell’esistenza di norme e procedure giuridiche e sapendo di violare la propria Costituzione e le proprie leggi ma non si sentivano criminali, bensì benefattori al servizio dell’umanità. Stavano semplicemente accelerando il corso della storia nel suo progresso verso la società perfetta. Secondo l’ideologia marxista la storia aveva già condannato queste categorie alla morte sociale e lo Stato sovietico doveva solamente aiutare il processo storico per arrivare alla meta in maniera razionale.

Intorno al massacro di Katyn la propaganda staliniana realizzò con la complicità dei governi e degli storici occidentali una gigantesca operazione di falsificazione, occultamento e rimozione della verità che non ha paragone nella storia contemporanea. I sovietici cercarono di addossare la colpa dell’eccidio sulle truppe tedesche creando una propria versione ufficiale, che diffusero grazie ad una potente macchina di propaganda, mobilitando tutti i sostenitori e simpatizzanti dell’Europa occidentale. Fino al crollo dell’Unione Sovietica lo storico che rifiutava questa versione era sospettato e spesso addirittura accusato di sminuire o negare i crimini nazisti.

Nascondere il massacro di Katyn e addossare la colpa ai tedeschi per Stalin fu una vera ossessione. Il primo agosto 1944 la resistenza polacca cominciò la rivolta contro gli occupanti tedeschi sperando di riprendere il controllo di Varsavia e quando il leader del governo polacco in esilio, ad inizio di agosto, si mosse per chiedere l’aiuto di Stalin questi presentò la sua obiezione: le truppe sovietiche, che stavano a qualche chilometro fuori Varsavia sarebbero entrate in azione solo se la leadership polacca avesse pubblicamente riconosciuto che il massacro degli ufficiali polacchi a Katyn era stato effettuato non da sovietici ma da nazisti.

Gli alleati occidentali durante la guerra non potevano rompere l’alleanza con Stalin ma la situazione cambiò dopo la guerra, con l’inizio della Guerra Fredda. L’amministrazione americana, uscì dalla complicità nel 1950, quando fu autorizzata una commissione di inchiesta del Congresso che indicò nell’Unione Sovietica il colpevole. Il governo britannico invece aveva secretato la documentazione su Katyn che dimostrava la responsabilità sovietica fino al crollo del Muro di Berlino.

Nel film Wajda fa vedere i metodi con i quali il governo della Polonia comunista mantenne le menzogne sull’eccidio; ad esempio l’episodio che mostra la sorte della giovane donna che vende i suoi bellissimi capelli per comprare una lapide su cui scrive che il fratello è stato trucidato a Katyn.

Che cosa si sapeva dell’eccidio di Katyn in Italia? L’eccidio era noto e fu utilizzato ad esempio dalla Democrazia Cristiana nella propaganda elettorale per le elezioni dell’aprile 1948, più tardi però la vicenda fu insabbiata e quasi dimenticata. Si può dimostrare questo fatto seguendo la storia del professor Vincenzo Palmieri, la quale illustra il clima politico dell’Italia e ci permette uno squarcio sul ruolo del Partito Comunista nel sopprimere la verità su Katin.

Palmieri, fondatore della cattedra di medicina legale all’Università di Napoli fu uno dei principali membri della Commissione medica internazionale organizzata dai tedeschi nel 1943 dopo la scoperta dei corpi dei militari polacchi nelle fosse. La Commissione stabilì che gli ufficiali furono fucilati nel 1940, dando così la colpa ai sovietici. Dopo la guerra i sovietici chiesero ai comunisti italiani di seguire e se possibile neutralizzare le attività di Palmieri. Una campagna denigratoria fu così orchestrata contro il docente napoletano.

Il professor Ernesto Quagliarello, uno degli allievi di Palmieri, nelle sue memorie ha descritto l’atmosfera di ostruzionismo, di urla e di minacce al professore chiamato da un gruppo di studenti “collaborazionista”, “menzognero”, “falsificatore della verità storica”. Il corpo docente della Università di Napoli propose addirittura che il professor Palmieri fosse licenziato dall’insegnamento.

La sorte dell’archivio di Palmieri sul massacro di Katyn dà un’idea dell’atmosfera politica che per decenni circondò la sua vita. Secondo la testimonianza del nipote, il professore all’avvicinarsi delle elezioni del 18 aprile 1948, date le previsioni sul loro esito, sotterrò le foto in una scatola di scarpe impermeabilizzata; le tirò fuori subito dopo e le riseppellì dopo le elezioni del 1953. Nel 1968 Palmieri, che agli inizi degli anni Sessanta divenne sindaco di Napoli, per contrastare la minaccia al suo archivio diffuse la voce che la sua casa aveva subito un incendio che aveva distrutto tutti i suoi materiali su carta.

La decisione di Boris Eltsin di rompere nettamente con il passato si espresse anche nel rendere pubblici molti documenti segreti che testimoniavano i crimini del regime sovietico. La pubblicazione dei documenti conservati nell’archivio ufficiale del Comitato centrale svelò una volta per tutte la montagna di menzogne e di disinformazione accumulata nel periodo intercorso tra la tragedia di Katin e il crollo del sistema zarista. Oggi conosciamo il nome sia di quelli che hanno ordinato l’eccidio, sia di quelli che lo hanno materialmente eseguito. Sappiamo quando, come e perché.

In conclusione faccio un appello, approfittando della presenza del ministro Bondi, sia alla società di distribuzione che al ministero della cultura perché trovino i soldi necessari, e non sono tanti, per rendere accessibile il film di Wajda ad un vasto pubblico di spettatori.

Vorrei finire dicendo che nel continuo dibattito sui totalitarismi il massacro di Katin rappresenta un caso emblematico della pulizia di classe, come Auschwitz lo è per la pulizia etnica.

Note

1) Acronimo di Narodnyj Komissariat Vnutrennich (Commissariato del Popolo degli Affari Interni), commissariato che gestiva un’ampia gamma di affari nello Stato il principale dei quali era la protezione della sicurezza dello stato dell’Unione Sovietica.

2) A questo proposito si legga anche: La verità su Katyn alla luce di un documento in Cristianità n.175