La storia “maestra”

Angela Pellicciari

Angela Pellicciari

Sandro Fontana

Sandro Fontana

Per Rassegna Stampa gennaio 2010

Riflessioni dopo la lettura di Angela Pellicciari e Sandro Fontana, i “raccomandati” da Berlusconi, su Risorgimento e (post) comunismo

di Aldo Ciappi

Più che altro per curiosità sono andato a leggermi, in questo scorcio di tempo scandito dalle festività, i due libri, dai titoli assai eloquenti, suggeriti dal Presidente del Consiglio ai giovani del Pdl l’11 settembre scorso. Dove mai quello lì troverà il tempo anche per leggere, mi son detto, con tutti gli impegni che ha?

Conoscevo Angela Pellicciari: una studiosa “critica” della tradizionale vulgata sul Risorgimento come insurrezione popolare degli italiani, autrice di Risorgimento da riscrivere per i tipi della Ares, di cui ho letto in precedenza qualcosa di suo e che ho incontrata in un paio di conferenze pubbliche sul tema. Meno Sandro Fontana, autore di Le grandi menzogne della storia contemporanea , sempre edito da Ares, a me noto solo come esponente della vecchia dirigenza della Dc, corrente “morotea”, poi confluito nell’Udc ma non come storico.

La lettura di questi due volumi casualmente ha poi coinciso con una riflessione, indotta da Giovanni Cantoni, direttore della rivista “Cristianità” e responsabile dell’associazione Alleanza Cattolica, in occasione di un incontro pre-natalizio tra amici in quel di Filetto, in provincia di Massa, sulla vitale necessità, per ogni singola comunità civile, di coltivare la conoscenza della storia, almeno della propria, partendo dalla seguente constatazione: tutti i regimi dittatoriali, o meglio “totalitari”, moderni hanno posto al centro della loro azione politica l’eliminazione dello studio della storia o perlomeno la sua sistematica manipolazione.

Uno studio senza pregiudizi o reticenze della storia infatti ci obbligherebbe a prendere atto della realtà dei fatti accaduti anche quando questi non corrispondano ai desideri e agli ideali prevalenti in un dato contesto culturale. La storia dei fatti accertati ed accertabili e non quella stravolta dal mito o dall’ideologia, ad uso e consumo della fazione o della cultura dominanti dovrebbe essere pertanto una bussola per uomini o partiti che intendano onestamente proporre e realizzare nel consesso sociale un certo modello politico, certe idee di giustizia, di bene comune, ecc.

Dovrebbe rappresentare, più precisamente, un tribunale al cui giudizio intellettuali e politici sottopongano volentieri i propri progetti e le proprie azioni allo scopo di evitare il ripetersi futuro di tragiche esperienze come quelle vissute, di recente, con il nazionalismo ed il social-comunismo. Esattamente quello che non è stato fatto fino ad oggi nel nostro paese in cui, ad esempio, si è assistito all’improvvisa e repentina trasformazione di un’intera classe politica – per decenni nemica acerrima del modello di società occidentale e inneggiante al comunismo come necessaria evoluzione dell’organizzazione sociale, e per il quale aveva speso ogni energia – ed al suo approdo, senza soluzione di continuità ma soprattutto senza alcuna riflessione critica, a posizioni radicalmente diverse.

Quest’assenza di qualsiasi metabolismo culturale e personale conseguente alla fragorosa caduta del mito comunista, che secondo Fontana costituiva per suoi i seguaci una vera e propria “religione civile”, è alla radice dell’ulteriore progressivo decadimento del quadro politico generale da tutti percepito in quanto, anziché far (quantomeno, e seppur obtorto collo) tesoro delle vicende drammatiche vissute da una parte consistente dell’umanità sotto l’auge delle idee-che-uccidono, come le chiamava Robert Conquest, elevate a sistema, sconfessandole pubblicamente e bandendole dall’orizzonte politico, si è preferito accettare senza batter ciglio la rimozione totale del problema o addirittura la piena auto-assoluzione di detta classe politica ed il suo immediato riciclaggio secondo la più classica delle tecniche partitocratiche.

Si è così persa una grande occasione che avrebbe consentito al nostro paese di rimarginare se non tutte una buona parte delle ferite lasciate aperte dalla storia a partire proprio dal cosiddetto “Risorgimento”. Un processo, questo, di unificazione politica della penisola progettato da un’ elite organizzata – leggi: Massoneria – facente capo ad una certa dinastia ed un certo governo, portato a termine attraverso guerre di aggressione a Stati legittimi, finanziate da paesi come la Francia e l’Inghilterra, contro la stragrande maggioranza delle popolazioni sul suolo italiano e contro la Chiesa, costato centinaia di migliaia di vittime anche tra i civili, oltrechè l’emigrazione di altrettanti individui e famiglie dai territori conquistati per le durissime misure repressive adottate contro i “briganti”.

Un processo, inoltre, verso il quale si preferisce ancora oggi, a 150 anni dalla sua conclusione, anziché raccontare con serena obiettività la vera storia di quanto accaduto, rievocare ostinatamente gli stessi ormai impresentabili miti, tra cui quello di un popolo italiano sollevatosi contro lo straniero usurpatore e “liberato” dalle milizie patriottiche di Vittorio Emanuele II o di Garibaldi.

Insomma, quella mia curiosità devo dire che è stata, alla fine, ben ripagata da entrambi gli autori dei due ormai già famosi volumi dei quali, dopo il Presidente del Consiglio, non senza una smisurata dose di immodestia, mi sento anch’io in dovere di raccomandare la lettura agli amici di Rassegna Stampa ai quali faccio i migliori auguri per il nuovo anno appena iniziato.

Sul libro di Fontana un solo appunto sulla figura di Moro, fatto apparire dall’autore forse un po’ troppo distaccato ed estraneo al percorso di progressivo avvicinamento al potere da parte del Pci. Se quest’ultimo ne fece una specie di icona qualche ragione dev’esservi pur stata. Distrazioni vetero-neo-democristiane.