De Gasperi Über Alles

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Alcide De Gasperi

Il Borghese anno XVI n. 10 ottobre 2016

Mattarella in Trentino

di Giuseppe Brienza

In visita il 18 agosto scorso in Trentino, Sergio Mattarella si è recato in visita al Museo Casa De Gasperi, tenendo la lectio degasperiana 2016. Un discorso aulico ed unilaterale insieme, com’è tipico ormai degli inquilini del Quirinale da molti anni a questa parte, nel quale il Presidente della Repubblica ha esaltato acriticamente l’eredità di Alcide De Gasperi (1881-1954), affermando fra l’altro che, sotto la sua guida politica, è stata garantita la «continuità dello stato italiano» (la minuscola è d’obbligo, impiegata sistematicamente da Mattarella).

«Sotto la guida dello statista trentino – ha affermato il Presidente “renziano” – è stata garantita la continuità dello stato italiano, sancendo contemporaneamente la discontinuità rispetto alla monarchia e al regime fascista e poggiando la nuova costruzione democratica su basi diverse da quelle incerte ereditate dallo Stato liberale. Abbiamo resistito a difesa dell’unità di un Paese che era uscito sconfitto dalla guerra». Peccato che lo stesso Capo dello Stato, il 27 gennaio di quest’anno, ha dichiarato in un solenne discorso: «È un’illusione ricercare negli stati nazionali una inverosimile sovranità perduta». Ma come fanno a stare assieme queste due affermazioni? E gli Stati nazionali servono o non servono, sono garanti o meno della sovranità popolare?

Giovanni Guareschi

Giovanni Guareschi

Per cercare di rispondere a queste domande sono riandato all’annata 1954 del Candido, quella dell’anno in cui morì De Gasperi, per intenderci. A seguito della pubblicazione su questo indimenticabile settimanale satirico-politico, fondato e diretto fino a che ha potuto da Giovanni Guareschi, del carteggio del leader trentino con gli Alleati nel quale avrebbe invocato il bombardamento di Roma per accelerare la caduta del fascismo, fu rivolta allo scrittore emiliano una obiezione fondamentale Il noto giornale democristiano del tempo, “Azione giovanile”, scrisse infatti rivolgendosi a Guareschi: «perché dopo averlo appoggiato nelle elezioni del 1948, solo ora lo scrittore scopre la vera natura di De Gasperi?». Al che, con l’integrità che sempre l’ha contraddistinto, Guareschi rispose pubblicamente: «Sì, sono colpevole davanti ai nostri lettori di essere stato per sette anni un convinto e fiero sostenitore di De Gasperi».

Già ai tempi del noto discorso romano del 1945, nel quale il leader della DC aveva definito Gesù Cristo colui che «duemila anni fa fondò l’Internazionale basata sull’Eguaglianza, sulla fraternità universale», il grande scrittore emiliano aveva colto in De Gasperi un’ambiguità o debolezza di fondo rispetto al paventato intreccio marx-cristiano vagheggiato dall’ala sinistra del suo partito. Il comunismo, secondo l’inventore di Camillo e Peppone, con il materialismo e la lotta di classe, corrompeva infatti in radice i principi di fraternità e uguaglianza propri del Cristianesimo. Pertanto, nessun “compromesso” poteva essere fatto né allora né mai con la sua ideologia, i suoi postulati politici, i suoi assertori o fiancheggiatori. I piani valoriali di comunisti e cattolici, quindi, dovevano rimanere nettamente distinti e separati, nonostante le apparenti somiglianze.

Ritornando allora all’attuale Presidente della Repubblica e all’arcivescovo di Trento Mons. Tisi che ne ha ascoltato estasiato l’apologetico discorso trentino ricordiamo, con il pensatore e uomo d’azione cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), che la DC è stato un «dispositivo politico per trascinare verso l’estrema sinistra i centristi ingenui». Sergio Mattarella ha definito De Gasperi «Un uomo lungimirante, consapevole, sobriamente patriottico. Un tenace che assicurò continuità all’Italia e le costruì intorno una dimensione internazionale» (cit. in Corona Perer, Sergio Mattarella ”De Gasperi assicurò la continuità dello stato’‘, in Giornale Sentire, 19 agosto 2016).

Di quale “lungimiranza” stiamo parlando, e cosa si intende per “sobrietà” patriottica? Non vorremmo che per la prima ci si volesse riferire alla deleteria prassi del consociativismo che, proprio negli anni dell’unità ciellenista della Resistenza, ha posto le sue indubbie radici (1943-47). E ricordiamo quindi ai nostalgici della DC “delle origini” che, «quel rapporto d’intesa col Pci, poi chiamato “compromesso storico”» è stato proprio lo «scopo ultimo della strategia di Alcide De Gasperi, che definì la Democrazia Cristiana “un partito di centro che guarda a sinistra”. In altre parole, […] il comunismo preferiva il poter contare su una macchina politica che traghettasse i cattolici verso la sinistra, indebolendo e svuotando il settore da dove poteva provenire una reazione. La Dc, ha scritto Plinio Corrêa de Oliveira, è stata “un dispositivo ideologico e politico specificamente fatto per trascinare verso l’estrema sinistra uomini di destra e, soprattutto, centristi ingenui» (Julio Loredo, Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, Siena 2014, p. 97).

mattarella

Sergio Mattarella

Se il giudizio iper-critico di Guareschi su De Gasperi potrà apparire “di parte” perché proprio al leader trentino lo scrittore dovette i dodici mesi passati nell’umida cella del carcere di San Francesco a Parma (1954-55), quello dell’avvocato Carlo Francesco D’Agostino (1906-1999) non potrà certo essere destinatario di simili obiezioni perché, anzitutto, proveniente da un qualificato esponente del mondo cattolico, molto stimato in ambito ecclesiastico (almeno durante il periodo pacelliano). Secondo questa figura poco conosciuta di giurista e politico (è stato fondatore nel 1944 del Centro Politico Italiano-CPI) il tradimento storico e morale della Democrazia Cristiana è stato fin dall’origine quello di rinunciare del tutto ad applicare i principi della Dottrina sociale della Chiesa allo Stato Italiano.

In un Paese, si badi, che negli anni del secondo dopoguerra era a stragrande maggioranza cattolica. Scrisse a tal proposito D’Agostino dopo la morte di De Gasperi: «[La Democrazia Cristiana] era e doveva essere il frutto dell’abbandono delle posizioni cui la scuola del Toniolo aveva tenuto ancorati – sulla scia degli Insegnamenti dei Papi – i Cattolici italiani. De Gasperi, in quella che viene considerata la sua ultima lettera, e quasi un testamento spirituale (a Fanfani del 9 agosto 1954), ha lasciato scritto: “Perché il Toniolo, nazionalmente parlando, ebbe efficacia così inadeguata? Perché i tempi e gli uomini non gli permisero di sfuggire alla alternativa guelfa – ghibellina, e così non uscì dallo storico steccato politico, benché ne fosse uscito da quello sociale. Il nostro sforzo più tardi, fu quello di sfuggire alla stretta. Non siamo riusciti spesso, ma ad un certo punto la D.C. divenne un movimento, un partito italiano, al disopra dello storico conflitto. Teniamolo a mente: non bisogna lasciarsi avvinghiare dalle spire dell’alternativa tradizionale”. Fino all’ultimo, dunque, De Gasperi ha giuocato all’inganno, e speriamo che non se ne sia reso pieno conto. Giuseppe Toniolo non rimase affatto ancorato ad una “superata” alternativa. Egli semplicemente non volle piegarsi a quella concezione dello Stato che definì “disordine legale permanente delle democrazie cosiddette liberali” (G. Toniolo, Concetto Cristiano di democrazia, ed. Coletti)» (Carlo Francesco D’Agostino, De Gasperi: un alfiere dell’anti-Cristianesimo, in L’Alleanza Italiana, n. 70, Roma settembre 1954).

Avvocato, giornalista, pretore onorario di Roma, Carlo Francesco D’Agostino nacque a Roma il 12 maggio del 1906 da una nobile famiglia di origine napoletana. Nel 1944 fondò come detto il Centro Politico Italiano, organizzazione che riuniva esponenti cattolici della classe dirigente nazionale (uomini di Corte, Ufficiali delle Forze Armate, giudici, diplomatici, etc.) con il fine di fare del Regno d’Italia uno «Stato cattolico nella Chiesa universale». Di questi uomini ci parli ogni tanto, caro Presidente, senza intonare però l’Inno alla Gioia come ha fatto il 18 agosto a Pieve Tesino (Trento), ma magari il verdiano Va pensiero. I 70 anni della Repubblica andrebbero ripercorsi anche alla luce della storia di Italiani come Giovanni Guareschi e Carlo Francesco D’Agostino.