Neanche un prete sgozzato in chiesa dagli islamisti risveglia politici e vescovi dal sonno della ragione

Jacques Hamel

padre Jacques Hamel, ucciso nella sua chiesa

La Nuova bussola quotidiana 27 luglio 2016

di Riccardo Cascioli

Come ogni mattina da quando, per ragioni di età, non era più parroco, don Jacques Hamel celebrava la messa feriale del mattino, alle 9, nella “sua” chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, parrocchia di 20mila anime della diocesi di Rouen, nel cuore della Normandia. Con lui, come ogni mattina, tre suore e altri due fedeli. Ma ieri qualcosa non è andato come le altre mattine: due giovani islamici armati di coltello hanno fatto irruzione durante la messa e hanno bloccato i presenti. Poi hanno costretto l’84enne don Jacques a mettersi in ginocchio.

E mentre si preparavano a sgozzarlo davanti a quell’altare dove si stava rinnovando il sacrificio di Cristo in croce, uno di loro ha preso il posto del prete e si è lanciato in un sermone in arabo, ha testimoniato suor Danielle, una delle religiose presenti riuscita a fuggire un attimo prima che i criminali infilassero il coltello nella gola di don Jacques. «È stato orribile», ha detto suor Danielle, e insieme al prete anche un altro fedele è stato colpito ed è in gravissime condizioni. La religiosa ha anche detto che i due, evidentemente fieri della loro azione, hanno ripreso tutta la scena, immagini che sicuramente ora sono nelle mani della polizia che ha ucciso i due non appena hanno messo la testa fuori dalla chiesa.

Come ormai per un riflesso, tutti i media hanno immediatamente detto che si trattava di due persone con disturbi mentali, ancor prima che si conoscessero le generalità, e il bello è che hanno continuato a scriverlo anche dopo che è stato reso noto che i due erano “soldati” dello Stato Islamico. In particolare uno dei due, un 19enne, era un foreign fighter fallito, ovvero aveva tentato l’anno scorso di entrare due volte in Siria per combattere ma era stato bloccato dagli agenti turchi e rimandato in Francia. Qui si è fatto un annetto di galera prima che un giudice gli concedesse i domiciliari malgrado il parere contrario della procura antiterrorismo parigina. Ed ecco i risultati. Davvero una gran bella dimostrazione di serietà da parte delle istituzioni francesi che – dopo la serie di attentati che stanno colpendo la Francia da oltre un anno – danno prova di una “leggerezza” a dir poco sconcertante. Tanto più che, si viene a sapere, Saint-Etienne-du-Rouvray è un noto covo di estremisti islamici, radunati attorno alla locale moschea.

Don Jacques è morto così, in odio alla fede, ma quel che è successo nella diocesi di Rouen è un chiaro salto di qualità del terrorismo islamico in Europa: i luoghi di culto sono diventati un obiettivo, uno scenario che in troppi pensavano fosse relegato al solo Medio Oriente. Ma ora, come ha giustamente notato un comunicato dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il Medio Oriente è arrivato da noi, a conferma di una profezia che non più di un anno fa aveva fatto l’arcivescovo di Mosul, Amel Nona, in una intervista al Corriere della Sera.

Rileggiamo quelle parole: «Per favore, cercate di capirci.I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri princìpi. Voi pensate che gli uomini siano tutti uguali. Ma non è vero. L’islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra»

Parole chiarissime, e puntualmente confermate, ma che ancora sono ben lontane dall’essere comprese. Ancora dopo il terribile assassinio a Saint-Etienne-du-Rouvray, la preoccupazione maggiore di politici, ecclesiastici e intellettuali è quella di ripetere banalità e menzogne: “non è uno scontro di civiltà”, “i terroristi non sono l’islam”, “l’islam è una religione di pace”, e così via. E anche chi dice finalmente che «siamo in guerra», poi fatalmente dimentica di indicare quale sarebbe il nemico ed eventualmente come combatterlo.

Diciamola tutta: questo atteggiamento non è sorprendente da parte di leader mondiali che da 15 anni ci ripetono irresponsabilmente che i cambiamenti climatici sono una minaccia peggiore del terrorismo internazionale. E continuano a fare i vertici sul clima mentre gli scoppiano le bombe sotto al sedere. Non solo, da anni hanno come massima preoccupazione di promuovere i diritti gay e i matrimoni omosessuali, come potrebbero occuparsi di banalità come le migliaia e migliaia di islamici – cittadini o immigrati che siano – che non aspettano altro che il giorno in cui ci sottometteranno alla sharia? Pensiamo soltanto a casa nostra e confrontiamo le energie e risorse messe in campo da Renzi per far passare la legge sulle unioni civili con quelle dedicate alla sicurezza e alla lotta all’estremismo islamista: qualcuno ricorda un solo atto di governo significativo per mettere sotto controllo la minaccia terroristica?

E non è che dal punto di vista ecclesiale vada molto meglio: l’ecclesialmente corretto vuole che non si parli mai di islamici quando ci si riferisce ai terroristi, che l’islam sia sempre definita una religione di pace, che non si deve discriminare in fatto di immigrazione (anzi, se facciamo vedere che accogliamo i musulmani facciamo anche più bella figura). E quando accadono fatti come quello di ieri ecco che si parla genericamente di odio e violenza nel mondo a cui non bisogna cedere.

Nessuno vuole vendetta né rispondere con l’odio a chi ci odia e, come dice l’arcivescovo di Rouen, dobbiamo anzitutto rispondere con la preghiera. Certo, la preghiera è la cosa più importante: preghiamo per l’anima di don Jacques, per i feriti (fisicamente e spiritualmente) nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, preghiamo per la conversione degli islamici, tutti gli islamici non solo i terroristi, e preghiamo anche per la pace nel mondo. Ma non è vero che possiamo solo pregare, se con questo si intende chiudersi in chiesa immaginando che Dio possa fare da solo quello che ha affidato a noi come compito, quasi fosse una magia. Così si lascia solo campo libero alla barbarie. La preghiera non è uno spiritualismo astratto; al contrario, è una comprensione più vera della realtà, ci dovrebbe donare la capacità di comprendere tutti i fattori in gioco e il coraggio di affermare e perseguire la verità.

Se l’islam pone chiaramente una sfida, il vero problema che oggi abbiamo davanti è la nostra civiltà, ormai agonizzante e incapace di dare ragione della sua identità davanti al nemico che l’assale. Il vero problema è anche in una Chiesa che ormai si preoccupa principalmente di aggiustare le cose del mondo e non di annunciare Cristo come speranza e destino per ogni uomo. La grande lezione di Giovanni Paolo II sull’identità dell’Europa è ormai archiviata, così come il magistrale discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sulla sfida che accomuna Occidente e islam; per non parlare dei criteri sull’immigrazione suggeriti 15 anni fa dall’allora arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi che – se presi sul serio – ci avrebbero risparmiato i tanti problemi di cui oggi assaggiamo appena l’antipasto. Tutto inascoltato e dimenticato.

Adesso vanno di moda vescovi e opinionisti del “dialogo” e dell’accoglienza “senza se e senza ma”, che pensano di affrontare problemi complessi con slogan e frasi fatte. Ovviamente corteggiano gli islamici radicali e pensano di essere superiori perfino alle giuste norme di diritto internazionale che distinguono tra il diritto a migrare e il diritto all’invasione. Purtroppo, per questi neanche il sangue di don Jacques basterà a risvegliarli.