La storia dell’Europa vista da Gonzague de Reynold

Il Corriere del SudReynold_cover Crotone 25 giugno 2016

 Nell’opera “La casa Europa” dello studioso svizzero sono presentate riflessioni ancora valide sul riconoscimento delle radici cristiane dell’Unione Europea

di Omar Ebrahime

È noto che la Svizzera, pur essendo culturalmente europea, affondi le sue radici profonde in un’identità locale forgiata nel corso dei secoli da incontri imprevisti tra popoli e lingue molto diverse al punto da creare una sorta di unicum nel Continente. Uno Stato, quello elvetico, che infatti a tutt’oggi non fa parte dell’Unione Europea, mantiene orgogliosamente una propria moneta (il franco svizzero), si considera costantemente neutrale negli affari internazionali guardando sia a Est che alla Nato con equidistante indifferenza. E tutto ciò, stando, come si suol dire, proprio nel bel mezzo dell’Europa geografica.

In realtà, però, se tutto questo è vero é altrettanto vero che storicamente sono esistite anche altre prospettive all’interno della Confederazione dei Cantoni, in significativa controtendenza. Esemplarmente significativo, appare, da questo punto di vista, lo storico accademico (a lungo docente presso l’università di Berna e poi a Friburgo), pensatore e letterato – di lingua francese – Gonzague de Reynold (1880-1970), scrittore tanto colto quanto brillante dotato di un raro talento intellettuale.

Le edizioni D’Ettoris di Crotone mandano ora in libreria – all’interno dell’elegante collana “Magna Europa. Panorama e voci” – un suo saggio storico-filosofico inedito quantomai interessante sia per tenere vivo il dibattito sulla costruzione spirituale dell’identità europea sia per sostenere – per l’appunto – l’esistenza di un’anima elvetica convintamente entusiasta delle proprie origini nel Sacro Romano Impero e dunque nel pluri-secolare sviluppo della civiltà religiosa occidentale (cfr. G. de Reynold, La casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità [a cura e con presentazione di Giovanni Cantoni], D’Ettoris, Crotone 2015, pp. 281, Euro 22,90).

La tesi di fondo – argomentata in sei parti che ricalcano in ordine cronologico la formazione identitaria del Continente – è che l’Europa non sia un concetto geografico o politico quanto piuttosto un luogo culturale, muovendo qui dall’idea fondamentale che la cultura sia, prima di essere un mondo composito di biblioteche, musei ed archivi, ciò che definisce lo spirito, la mentalità e il modo di vivere di un mondo. Brilla insomma in controluce la stessa convinzione più volte espressa da Papa San Giovanni Paolo II, da ultimo in quella sorta di manifesto programmatico dell’anima europea che è l’esortazione apostolica Ecclesia in Europa (2003) laddove il Pontefice si riferisce alla cultura continentale appunto come a una ‘casa’ che ha letteralmente ‘fatto’ la comunità materiale dei popoli europei.

I momenti, identificati con dei luoghi simbolici, che hanno dato origine a questa costruzione, sono tre: Gerusalemme, Grecia e Roma, esattamente in quest’ordine. Ovvero la Rivelazione cristiana, compimento delle attese messianiche di Gerusalemme, la filosofia classica dell’Ellade che con la Rivelazione dialogò fruttuosamente e a lungo dando origine di fatto alle forme prime pensiero europeo in senso proprio, infine il diritto romano che di questa ragione creatrice – il Lògos della Genesi per dirla in un linguaggio biblico – fece la sua bussola per costruire i mattoni del vivere civile organizzando le relazioni sociali, la giustizia dei rapporti pubblici e privati, e inaugurando quello che poi sarebbe diventato il diritto civile dell’Occidente.

Anche se alcune di queste osservazioni sono state riproposte negli ultimi anni, il valore aggiunto dell’opera qui sta nel fatto che lo studioso di Friburgo verga queste riflessioni svariati decenni prima che si sviluppasse il dibattito specifico sul riconoscimento delle radici cristiane nel preambolo del testo fondativo dell’Unione Europea. In secondo luogo, poi, perché qui il respiro delle riflessioni è sistematicamente più ampio e argomentato e rispetto anche agli esponenti politici più benintenzionati non c’è quella smania di giustificare a tutti i costi il presente semplicemente perché è il presente.

Lo sguardo dello scrittore può far ricordare in certi passaggi anzi la visione di Christopher Dawson, il grande storico britannico della cultura che gli fu peraltro contemporaneo e di cui – non a caso – nella stessa collana della D’Ettoris figurano altri titoli. In effetti, tra i due storici vi è più di una somiglianza: l’idea che l’Europa sia comprensibile molto più studiando le traduzioni nazionali della Bibbia che le guerre – interne ed esterne – che l’hanno progressivamente indebolita, l’idea che il Cristianesimo viaggiando – cioè, impiantando concretamente le sue missioni – abbia generato quell’insieme di modi di vivere e relazionarsi con il diversamente altro che hanno poi dato luogo ad ambiti ben definiti della vita comunitaria organizzata, l’idea che interi ambiti che noi consideriamo istintivamente profani siano in realtà stati generati dall’applicazione pratica della dottrina cristiana in nuovi (al tempo) campi.

Dal modo di concepire i rapporti commerciali internazionali, ad esempio, alla visione alta di una disciplina e di un’arte fine della persuasione intellettuale come la diplomazia, alla diffusione della sanità pubblica gratuita, un portato sociale evidente della diffusione delle opere di misericordia corporali nell’evangelizzazione dell’Occidente. Oppure, sul piano delle idee, la convinzione che la politica spessissimo non sia stata altro che la faccia profana ‘più bassa’ di conflitti teologici o spirituali e – quindi – in ultima analisi religiosi.

Per argomentare tutto questo, naturalmente, occorre una grande preparazione e una spiccata conoscenza non solo della storia politica o istituzionale europea, latina o germanica che sia, ma anche e soprattutto un dialogo disinvolto con discipline quali la storia sociale, quella del folklore e soprattutto quella religiosa, il che in Europa vuol dire cattolica, se non fosse altro per il semplice fatto che se il Medioevo è l’apogeo del cattolicesimo organizzato, il Rinascimento e poi l’Illuminismo sono stati la crisi interna e poi la protesta esterna contro questo mondo.

Come qualcuno ha detto, da Pietro Valdo (1140-1206) a Martin Lutero (1483-1546) a Giovanni Calvino (1509-1564) tutti i contestatori religiosi dell’età moderna hanno avuto comunque bisogno del cattolicesimo per affermarsi. In opposizione e contestazione radicale, certamente, ma sempre in riferimento alla storia e alla struttura peculiarissima della Catholica: altrimenti, che cosa mai avrebbero contestato?

Senza la Catholica, semplicemente, lo ha ricordato recentemente anche uno scrittore di livello internazionale come Vittorio Messori, non sarebbero esistiti. Il vero dramma della cultura europea moderna e poi postmoderna, a ben vedere, è stato proprio che – secolarizzandosi come mai prima aveva fatto, espellendo il dato religioso dalla pubblica piazza – ha consapevolmente impedito la lettura della propria carta d’identità, da cui le numerose e persino opposte schizofrenie che oggi la contraddistinguono.

È stato, in ultima analisi, una negazione del principio di realtà e non è un caso che nel pensiero occidentale da allora la metafisica sia stata praticamente defenestrata. Lo studioso svizzero, a tal proposito, era anzi convinto del fatto che la prima operazione da fare, culturalmente, per risanare la malattia dell’Europa relativista era quella di ridare alle parole il loro vero, e più proprio significato, perché l’aderenza alla realtà, a ogni livello, comincia sempre con il chiamare le cose per il loro nome: “Sia esso economico o politico, sociale o morale, sia nel singolo Stato o in tutta Europa, il disordine contemporaneo ha come causa prima l’anarchia intellettuale: se risalite all’origine dei fatti, scoprite sempre un’idea o un sistema d’idee; l’idea produce il fatto che racchiude in potenza; obbligatoriamente, in un determinato momento della storia. A sua volta, l’anarchia intellettuale ha come causa un errore nelle idee, quindi un errore relativo alla parola che esprime l’idea. Questo ha il rigore di una legge. Ho detto spesso, facendo un poco di humour, che il nostro tempo avrebbe bisogno, prima di ogni altra riforma, di un vocabolario ben fatto. Paradosso apparente, ma verità di fondo. Pensate a tutto il male causato nel mondo da un cattivo vocabolario, qual è stata l’Encyclopédie. Questi grossi volumi hanno operato come esplosivo. Hanno preparato la Rivoluzione francese, portandola a compimento negli spiriti. Se mettessimo qualcuno a redigere una contro-Encyclopédie, un’enciclopedia che edifichi, renderemmo alla nostra epoca il maggior servizio che degli intellettuali possano rendere a essa. Il punto di partenza sta nel pensar bene”.

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G. de Reynold, La casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità [a cura e con presentazione di Giovanni Cantoni], D’Ettoris, Crotone 2015, pp. 281, Euro 22,90.

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