Global warming. Fine di un mito?

global warmingragionpolitica.it martedì 24 novembre 2009

di Francesco Natale

La notizia, se confermata, è una vera bomba: un pirata informatico è riuscito a violare un server del Centro Ricerche sul Clima (CRU) dell’East Anglia, ha rubato una settantina di megabyte di dati e li ha resi pubblici su un sito FTP russo.

Il server è stato disconnesso e il sito FTP oscurato, ma ormai dati e documenti avevano già fatto il giro del mondo. Cosa mai avranno contenuto di così terribile questi file, vi chiederete? Semplice: nelle oltre 1000 e-mail e nei circa 3500 documenti ci sarebbero scambi di pareri tra «esperti» climatologi nonché indicazioni di strategie mediatiche volte a filtrare ed alterare i dati effettivi di monitoraggio del clima al fine di suffragare, in maniera surrettizia, la teoria dell’origine antropica del global warming.

Dalla prima lettura dei documenti risulta in pratica che taluni dati siano stati alterati, mentre altri, non sufficientemente favorevoli o addirittura apertamente contrari alle tesi ambientaliste, siano stati semplicemente tenuti nascosti al pubblico.

Pare inoltre che l’hacker sia riuscito a piratare e rendere pubblico il codice di «Hadcrut3», il dataset più accreditato (fino ad oggi almeno…) per il monitoraggio del clima, codice che fino ad oggi, per ragioni assolutamente non comprensibili, era stato tenuto gelosamente nascosto, nonostante molti scienziati avessero chiesto la possibilità di accedere al codice sorgente.

L’attacco informatico e la violazione del server sono stati a malincuore confermati dal CRU, e la BBC, pur con le cautele del caso, non ha potuto fare a meno di riportare la notizia, ripresa poi a giro dal Guardian oltre che da numerosi blog e siti per tutta la rete, tra cui Climate Monitor e Climate Audit.

C’è ovviamente chi sostiene che il pirata sia un mestatore, uno scettico «talebano» il quale abbia confezionato a bella posta un collage atto a suffragare le tesi contrarie all’impronta antropica. Ma, francamente, la giustificazione appare raffazzonata e poco credibile: alcuni degli scienziati coinvolti nei sospetti scambi di corrispondenza sono stati individuati per nome e cognome e, inoltre, il periodo di tempo intercorso tra l’attacco pirata, la pubblicazione del materiale e l’oscuramento (intempestivo, grazie a Dio) del medesimo è stato troppo breve per consentire a chiunque di selezionare, contraffare o alterare il materiale documentale.

Il fatto è di una gravità inaudita: non tanto l’hacking dei server del CRU (un reato, per carità, niente da dire…), quanto l’alterazione sistematica di dati e parametri di ricerca al fine di rendere realistica una «teoria scientifica» evidentemente molto fantasiosa. E qui non stiamo parlando di un gruppo di volenterosi assaltatori di Greenpeace, ma del CRU, ovvero il centro di ricerche climatiche più accreditato al mondo, che ha svolto un ruolo determinante come consulente dell’IPCC, ovvero il panel intergovernativo targato ONU che dovrebbe studiare i cambiamenti climatici. Quindi parliamo di denaro (tanto), di influenza mediatica, di credibilità aprioristica.

Riportiamo le parole con cui il misterioso hacker ha accompagnato l’upload dei file sul sito russo: «Pensiamo che la scienza che studia il clima sia, nell’attuale situazione, troppo importante per essere tenuta nascosta. Qui pubblichiamo una selezione casuale di corrispondenza, codice e documenti». Sottoscriviamo appieno