i nemici dello sviluppo

17 Gennaio 2005  Editoriale

Parlare di “riscaldamento globale” e di “mano dell’uomo” nel senso dei cambiamenti climatici non è solo una fesseria scientifica (lo dimostriamo con l’articolo su WWF e barriere coralline), è una volgarissima azione di propaganda per promuovere interessi particolari, come quelli degli ecologisti e degli anti-natalisti

Le emergenze sono diventate ormai da anni il pretesto preferito per lanciare allarmi su future, peggiori, catastrofi: allarmi che hanno lo scopo di creare emozioni e perciò consenso politico nonché cospicue offerte economiche, su cui gli allarmisti campano beatamente. Ma le emergenze sono anche una palestra di acrobazie scientifiche con invenzione di dati, accostamenti spericolati di statistiche che non hanno alcuna relazione, diffusione di ipotesi o di tesi discusse come se fossero la verità assoluta.

In questi giorni sono due i casi – di cui parliamo in questo numero – che si sono prestati a questi esercizi: il primo è locale, ovvero l’inquinamento atmosferico e i provvedimenti di restrizione del traffico automobilistico; il secondo ha avuto rilievo internazionale, ed è il disastroso maremoto che ha colpito il Sud Est Asiatico e lambito l’Africa orientale. I due fatti, che appaiono così lontani, sono in realtà vicinissimi per quel che riguarda il crearsi di una mentalità comune.

Proviamo a spiegare: nel primo caso si è cercato di far passare ancora una volta il fenomeno dell’inquinamento atmosferico come in via di grave peggioramento (vedi ad esempio il delirante commento di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera del 16 gennaio), quando i dati oggettivi dimostrano che è vero esattamente il contrario.

Lo smog nelle grandi città è un fatto che nessuno nega, ma diminuisce con l’aumentare dello sviluppo: negli ultimi 40 anni, dice un rapporto dell’OCSE, l’inquinamento atmosferico nei Paesi industrializzato è diminuito in media del 70%. I dati diffusi dall’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) della Lombardia lo scorso ottobre confermano questi dati, e ciò malgrado l’aumento dei fattori inquinanti (popolazione, traffico e così via). La lezione evidente è che la soluzione sta in un maggiore sviluppo e non nella “crescita zero”, come vorrebbero gli ecologisti, che infatti puntano a punire gli automobilisti.

Nel caso dello tsunami abbiamo potuto constatare come il pesantissimo bilancio di vite umane sia stato dovuto solo in parte all’evento naturale, ma molto di più alla mancanza della esistente tecnologia che avrebbe permesso di individuare la direzione dell’onda e avvertire la popolazione in pochissimi minuti.

La precarietà delle abitazioni nei Paesi colpiti ha fatto il resto: non c’è dubbio che se un evento di pari intensità avesse colpito le coste giapponesi o americane il risultato sarebbe stato molto diverso. Siamo cioè di fronte a un altro dramma del sottosviluppo. Parlare di “riscaldamento globale” e di “mano dell’uomo” nel senso dei cambiamenti climatici non è solo una fesseria scientifica (lo dimostriamo con l’articolo su WWF e barriere coralline), è una volgarissima azione di propaganda per promuovere interessi particolari, come quelli degli ecologisti e degli anti-natalisti (vedi l’articolo “Gli amici dello Tsunami”).

Non a caso il Fondo dell’ONU per la Popolazione (UNFPA) ne ha subito approfittato per promuovere aborto e contraccezione nei Paesi colpiti. E qui viene fuori il delicato tema degli aiuti, ovvero della loro gestione. Perché c’è il rischio evidente che i fondi donati con tanta generosità dai cittadini di tutto il mondo non vadano – almeno in parte – per favorire lo sviluppo dei Paesi poveri, quanto per eliminare i poveri tout court. E questo con il consenso dell’opinione pubblica convinta a colpi di menzogne ambientaliste e anti-economiche.

E’ importante perciò che nel rispondere generosamente alle necessità delle vittime dello tsunami sappiamo individuare quelle associazioni di volontariato che lavorano nella giusta direzione, così come nel rispondere ai problemi delle nostre città sappiamo isolare coloro che vogliono bloccare lo sviluppo spianandoci così la strada verso la povertà globale.