Pdl sull’"omofobia". Dichiarazione di intenti

Concia

Paola Concia

Nonostante il tentativo di introdurre surrettiziamente nel nostro ordinamento un reato di “omofobia” sia stato per il momento sventato  proponiamo ugualmente la seguente “dichiarazione di intenti”, nella cui enunciazione sono chiaramente esposti i motivi per i quali è doveroso opporsi ad ogni altra successiva azione in tal senso.

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Contro ogni reale discriminazione:
perché ci opponiamo alla “pdl Concia-Di Pietro”

È all’esame della Camera la proposta di legge dell’on. Concia, cui è stata unificata analoga dell’on. Di Pietro, che punta a introdurre nel codice penale l’aggravante di “avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».

Con questa norma delitti come percosse, violenze private, lesioni – ma anche condotte non riconducibili ad aggressioni fisiche, come minacce e ingiurie –, potrebbero essere puniti fino a un terzo di pena in più. L’iniziativa viene presentata, anche attraverso manifestazioni pubbliche e pressioni mediatiche, come un passo in avanti sulla strada della civiltà e come uno strumento di lotta contro la discriminazione.

Lo scopo di questa nostra dichiarazione di intenti, aperta all’adesione di chiunque la condivida, è di esporre le ragioni per le quali riteniamo invece che l’approvazione della legge sia pericolosa, in sé e per gli effetti che può determinare; e quindi per manifestare la nostra opposizione a essa, dentro e fuori il Parlamento.

1. E’ noto che il nostro ordinamento punisce senza distinzioni ogni aggressione alla integrità della persona e alla sua sfera morale, e in più contiene un’aggravante consistente nei «motivi abietti». Tale circostanza comprende agevolmente le situazioni in cui la condotta è realizzata allo scopo di offendere, a causa dell’orientamento sessuale, la dignità di ogni persona, come insegna una giurisprudenza ormai quasi secolare. Peraltro indirizzare una nuova aggravante su “finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale”, cioè sul finalismo specifico della condotta, significa contraddirsi. L’offesa alla persona, in quanto distruttiva di un bene personale, è essa stessa una discriminazione, al di là dell’orientamento sessuale della vittima.

Con l’aggravante che viene proposta la risposta sanzionatoria viene allargata nei confronti di medesimi reati, sulla base dei moventi più intimi. Estendere l’ambito della punibilità a elementi di natura interiore quali sono le finalità perseguite espone a una eccessiva discrezionalità: il giudice potrà “presumere” i motivi dell’agire – con inversione dell’onere della prova – rispetto a tutte le condotte illecite che interessino soggetti di cui siano noti specifici stili di vita in materia sessuale.

Dunque, la previsione di aggravanti di questo tipo è rischiosa per la libertà dei cittadini, poiché impone uno scandaglio approfondito dei moventi intimi, talora inconsci, che stanno alla base delle azioni umane. Molti delitti sono espressione di «odio» contro la persona – si pensi tra tutti all’omicidio, che spesso trova la sua origine in tale movente –, ma tale movente non è previsto in alcun ordinamento come elemento aggravatore del fatto.

L’estensione delle norme della «legge Mancino» alle discriminazioni per motivi di orientamento sessuale segnerebbe la tracimazione dal «diritto penale del fatto» a un inaccettabile «diritto penale dell’atteggiamento interiore»: da una sanzione che segue un comportamento concreto a un di più di sanzione che segue un dato intimistico.

2. La discriminazione è un concetto ampio. Consiste, in base alla normativa internazionale (cfr. per es. la Direttiva 2000/78/CE dell’UE del 27.11.2000), nel trattare una persona in modo meno favorevole di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga. A questa discriminazione, detta «diretta», va aggiunta una nozione di discriminazione «indiretta», che si verifica allorché una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di svantaggio determinate persone rispetto ad altre.

Da un concetto così esteso deriva uno spazio enorme di intervento penale. Se costituisse aggravante qualsiasi discriminazione – o istigazione alla discriminazione – per motivo di orientamento sessuale, la madre che cercasse di persuadere la figlia di non sposare una persona che manifesti un orientamento «bisessuale», rappresentandole i rischi per la formazione di un nucleo familiare stabile, rischierebbe l’imputazione di violenza privata, aggravata da discriminazione per motivo di orientamento sessuale.

Conseguenze come questa, e altre ancora più aberranti, limiterebbero in modo inaccettabile sia la libertà di espressione del pensiero sia la libertà e l’autonomia delle persone nell’esercizio dei propri diritti e nella regolazione dei propri interessi, violando i diritti fondamentali di libertà statuiti dagli artt. 21 e 30 della Costituzione. E’ pure ipotizzabile la violazione degli artt. 18 e 19 della Costituzione, con riferimento alla libertà di associarsi e alla libertà di professare la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto. Il rischio di procedimenti penali sorge a fronte di qualsiasi giudizio critico, sul piano scientifico, etico ed educativo, di determinati orientamenti sessuali; o di qualsiasi dottrina religiosa o espressione educativa, che sostenga la contrarietà al diritto naturale degli orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale.

Quest’aggravante violerebbe anche, per la sua assoluta genericità e indeterminatezza, il principio di legalità e di tassatività del precetto penale, di cui all’art. 25 co. 2 Cost.: l’oggetto evocato dalla norma non ha una precisione descrittiva tale da delimitare con chiarezza l’ambito dell’intervento punitivo; ha contorni imprecisi, tali da far applicare la norma in situazioni tra loro molto diverse.

3. È evidente che la nostra posizione non si basa soltanto su ragioni di ordine giuridico. Attribuire una specifica e più energica tutela penale “all’orientamento sessuale della persona offesa dal reato” significa attribuire all’orientamento omosessuale (l’unico orientamento sessuale che lamenta “discriminazioni”) non un valore in sé positivo, ma un valore maggiormente positivo rispetto ad altri motivi discriminatori, non previsti dall’ordinamento: provocare una lesione a una persona perché donna verrebbe sanzionato meno gravemente del provocarla a chi manifesta un orientamento omosessuale.

L’aggravante rivela allora tutta il suo contenuto simbolico; la riforma, oggi inutile sotto l’immediato profilo pratico per quanto prima enunciato, appare una implicita “premessa” di altri e ben più importanti passaggi: il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali attraverso un matrimonio o un simil-matrimonio, fondata sul carattere “discriminatorio” della limitazione del vincolo a persone di sesso diverso; l’adozione di bambini da parte di coppie del medesimo sesso; il ricorso per le stesse coppie alle tecniche di fecondazione artificiale, oggi vietato dalla legge; la penalizzazione di quegli educatori per i quali essere sessuati non è una questione di scelta.

Far coincidere la prevenzione con il profilo esclusivamente penalistico è peraltro un alibi rispetto al mancato impegno preventivo su altri fronti, compreso quello, spesso disatteso, di una sana educazione al rispetto di ogni essere umano, a prescindere dalle sue condizioni di vita, di salute e, ovviamente, dalle sue stesse scelte.

Di più con l’espressione “orientamento sessuale” non si farebbe riferimento al fatto che l’esercizio in concreto della sessualità è lasciato alla libertà individuale, quali ne siano le modalità, purché non coercitive: si affermerebbe per legge che la sessualità in sé costituisce un orientamento soggettivo. E dare queste definizioni non corrisponde certamente ai compiti di uno Stato laico, oltre a tradursi in intolleranza verso chi ritiene doveroso difendere il rilievo della differenza sessuale uomo-donna e della complementarietà eterosessuale.

Siamo convinti che ci sia tanto lavoro da compiere per superare e rimuovere le discriminazioni. A condizione che le si individui nella loro esatta realtà e consistenza, contrastando norme, come quella della proposta Concia-Di Pietro, che, pur con l’intenzione di combatterle, rischiano di introdurne altre, e più pesanti. Una discussione all’interno del gruppo del Popolo della libertà sarà l’occasione per approfondire gli aspetti problematici che essa pone.

Alfredo Mantovano, Maurizio Lupi, Isabella Bertolini, Maurizio Bianconi, Barbara Saltamartini, Alessandro Pagano, Raffaello Vignali, Renato Farina (altre autorevoli firme si sono aggiunte nel frattempo n.d.r)