Legge contro l’"omofobia", un orrore giuridico

legge_omofobiaRassegna Stampa 13 ottobre 2009

Diffondiamo un parere dell’avvocato Claudio Vitelli, consulente giuridico dell’Associazione Famiglia Domani, sulle gravissime conseguenze dell’introduzione nell’articolo 61 del nostro Codice penale dell'”aggravante inerente all’orientamento e alla discriminazione sessuale”, approvata il 12 ottobre dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

Il 12 ottobre, la Commissione Giustizia della Camera ha approvato il seguente testo modificato. Disposizioni in materia di reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull´orientamento sessuale o sull´identità di genere. C. 1658 Concia e C. 1882 Di Pietro.

TESTO UNIFICATO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

INTRODUZIONE NEL CODICE PENALE DELLA CIRCOSTANZA AGGRAVANTE INERENTE ALL´ORIENTAMENTO O ALLA DISCRIMINAZIONE SESSUALE

ART. 1.

1. All´articolo 61, comma 1, del codice penale, dopo il numero 11-ter), è aggiunto il seguente:

« 11-quater) l´avere, nei delitti non colposi contro la vita e l´incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all´orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».

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L’eventuale introduzione nell’art. 61 cpc (che enumera le circostanze aggravanti generiche atte a determinare un incremento della pena da infliggere al reo per la sua condotta illegittima) di un ulteriore comma, che identifica come fattispecie atta a determinare il suddetto aggravamento di pena “l’avere nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato”, determinerebbe l’inserimento, nel nostro ordinamento, di un rafforzamento della tutela specifica di una categoria di soggetti (nel caso di specie gli omosessuali, ma anche di coloro che intrattengono rapporti sessuali con animali, ovvero amano praticare il sesso con qualsivoglia modalità: sadici con partner consenziente, masochisti, etc) in base alla scelta morale da essi compiuta in relazione alla propria sessualità.Se infatti eventuali discriminazioni per motivi di sesso sono tutelati da norme di legge già inserite nel nostro ordinamento (fra tutte la cosiddetta legge Mancino), fino ad oggi nessuna norma specifica penale tutela in modo particolare, genericamente, l’orientamento sessuale.

E’ pertanto evidente che la norma de quo, nella parte in cui fa riferimento a detto orientamento sessuale, non è rivolta alla tutela degli eterosessuali “normali” (il cui orientamento, per quanto se ne sa, non è mai stato messo in discussione da nessuno), perché, se così non fosse, l’aggravante de quo dovrebbe applicarsi ad ogni reato di violenza sessuale che abbia come soggetti un uomo ed una donna, cosa che evidentemente non avverrà perché altrimenti non si sarebbe inserito tale aggravamento nell’enumerazione dell’art. 61, ma nella stessa norma incriminatrice della violenza sessuale (art.609 bis cp).

Ciò chiarito, ne consegue logicamente che, applicando la norma in senso letterale (e non mancherà di certo, nel variegato panorama della Giustizia Italiana che tutti conosciamo, qualche giudice che interpreterà la norma nel senso ermeneuticamente più corretto, vale a dire in senso letterale), il reato di violenza sessuale contro omosessuali potrebbe essere sanzionato con una pena maggiore di quello che abbia ad oggetto un eterosessuale. Ed ancora in una diffamazione a mezzo stampa, la rivelazione illegittima di particolari relativi alla vita erotica di un soggetto potrebbero essere sanzionati differentemente a secondo che si tratti di un eterosessuale o di un omosessuale.

Un secondo problema nascente dalla norma in esame riguarda la circostanza che il legislatore ricollega l’aggravamento della pena, alle finalità inerenti l’orientamento sessuale che hanno mosso il soggetto agente. Abbiamo già chiarito che la norma non può trovare applicazione agli atti contro eterosessuali “normali” (se non nei casi di discriminazione su base sessuale), ma di fatto attribuisce alla omosessualità, libera scelta – per quanto la scienza ci ha insegnato almeno fino ad ora -, uno status privilegiato, in quanto la conseguenza di una norma, come quella di cui si discute, sarebbe senza dubbio anche quella di tutelare la categoria di riferimento con la minaccia di sanzioni più elevate per i trasgressori.

Orbene, per quale motivo l’ordinamento dovrebbe accordare una tutela rafforzata per soggetti che ad esempio liberamente scelgono di condurre una vita sessuale diversa da quella cui il loro fisico è preordinato? In altre parole se qualcuno odia gli avvocati e ne percuote uno perché li disprezza dovrà essere punito in maniera più lieve di chi picchia un uomo che vede congiungersi con un cane in aperta campagna perché disprezza tale scelta ? E’ evidente che il danno per la parte lesa è il medesimo e dunque non si capisce per quale motivo giuridicamente apprezzabile sarebbe meno grave sfogare la propria ignobile violenza contro gli avvocati, o gli orefici o i professori severi, piuttosto che contro gli amanti di un qualsiasi tipo di soddisfacimento del proprio orientamento sessuale.

Ma oltre a ciò la norma crea una ingiusta discriminazione fra cittadini non solo nel caso di condotte violente (quali quelle dell’esempio di cui sopra), punendo diversamente atti commessi in danno delle parti lese a seconda della loro scelta sessuale, ma addirittura prevede che l’aggravante si applichi anche in caso di lesione della loro “libertà morale”.

Orbene come è evidente, il concetto di libertà morale, collegato all’orientamento sessuale è quanto di più vago si possa immaginare (e di volta in volta può essere tirato in ballo, nei reati contro la libertà morale di cui agli artt. art.610-612 cp, ma anche ad esempio in quelli di ingiuria e diffamazione), con la conseguenza che tutte o quasi le condotte dei soggetti tutelati, ove impedite o rese più difficoltose, possono rientrare nell’applicazione dell’aggravante de quo ad insindacabile giudizio del Magistrato di turno.

Dalle argomentazioni di cui sopra riteniamo emerga con chiarezza che l’introduzione di tale aggravante nel nostro sistema penale pone di fatto fin d’ora le basi per la possibile introduzione surrettizia nel nostro ordinamento del reato di omofobia.

Facciamo un esempio: se qualcuno sostenesse con una campagna di stampa la necessità che, per un sano sviluppo della persona umana, sia opportuno che fra gli insegnati delle scuole materne ed elementari non vi siano soggetti omosessuali, o che comunque costoro, nell’esercizio del loro mandato dovrebbero quanto meno tenere nascosta la propria scelta sessuale, ciò non potrebbe violare la libertà morale di qualcuno di questi ultimi, costringendoli di fatto a celare il proprio orientamento sessuale, configurando così addirittura il reato di violenza privata ex art. 610 cp?

La giurisprudenza ha infatti chiarito che “Integra gli estremi del delitto di violenza privata (art. 610) la minaccia, ancorché non esplicita, che si concreti in un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere che, mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa” (Cass. pen., Sez. V, 26/01/2006, n.7214). Si tratta forse di una ipotesi azzardata nel panorama giudiziario italiano ?

Ma la conseguenza dell’introduzione nel codice penale dell’aggravante de quo è anche un’altra: con essa l’ordinamento giuridico riconoscerebbe un valore specifico da tutelare, con tutela rafforzata, all’orientamento sessuale (qualsiasi orientamento sessuale, ovviamente, per quanto sopra esposto, diverso da quello naturale). Non è ancora il reato di omofobia, ma ne ha la medesima ratio: punire in maniera maggiore anche solo chi incita a discriminare in qualsiasi modo un soggetto a causa del suo orientamento sessuale.

Si potrebbe obiettare che, allo stato la norma, fermo quanto sopra esposto in merito a possibili interpretazioni di norme preesistenti a seguito dell’introduzione dell’aggravante de quo, non pare proibire la libertà di espressione e di critica nei confronti dei vari orientamenti sessuali, ma occorre considerare che se la scelta sessuale diversa da quella “normale” costituisce un valore tale da dovere essere tutelato in modo diverso e maggiore, il passo logico successivo non potrà non essere costituito dall’istituzione di detto reato.

In conclusione l’aggravante in questione senza dubbio viola l’art. 3 della Costituzione, che garantisce la parità dei cittadini davanti alla legge, penalizzando di fatto coloro che hanno un atteggiamento sessuale (gli eterosessuali) invece di un altro (tutti gli altri orientamenti). Orbene se è vero che la nostra Carta Costituzionale prevede la possibilità di una diversa regolamentazione di situazioni diverse, è altrettanto vero che essa non giustifica un diverso trattamento dei cittadini in base a caratteristiche volontariamente e liberamente scelte.

Paradossalmente altrimenti si potrebbe sostenere che potrebbero essere molte le categorie da tutelare ad es. quella degli orefici che, a cagione della loro attività, sono sottoposti molto più degli altri soggetti all’azione di possibili malintenzionati.

In diritto si è discusso per lungo sempre intorno al quesito se la norma debba “formare” il costume o “assecondarlo”. In questo caso le due cose si fondono a formare un insieme che potremo definire abnorme: a fronte di una società in cui ormai ad esempio l’omosessualità è normalmente accettata e riconosciuta al punto che da più parti si sostenuta addirittura l’esistenza di una vera e propria lobby omosessuale, il legislatore non solo riconosce come legittima tale scelta sessuale, ma, di fatto, arriva a promuoverla con una legislazione di favore alimentata da una ratio che non potrà che condurre secondo un prevedibile sviluppo logico-giuridico, alla piena equiparazione giuridica delle unioni più diverse (uomo-uomo, donna-donna, essere umano-animale,etc).

E’ pertanto necessario che i nostri rappresentanti politici comprendano che l’introduzione dell’aggravante di cui abbiamo fin ora trattato costituirebbe un vulnus gravissimo per quei valori immutabile del diritto naturale e cristiano che hanno costituito e costituiscono le radici della nostra civiltà giuridica

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