Elogio delle cattedrali

cattedrale_internoAvvenire 18 settembre 2003

Articoli di Christian Jacq, Renè Rèmond, Jacques Le Goff

“In Chiesa per cercare nel labirinto il centro perduto di se stessi”

di Christian Jacq

Le cattedrali di Reims,Arras, Auxerre, Saint-Omer,Tolosa e Sens (tra le altre) possiedono o hanno posseduto un labirinto come motivo decorativo. A Poitiers era inciso sul muro della navata laterale settentrionale. Quello di Bayeux si trova ancora nella sala capitolare. Alcuni sono stati distrutti dai canonici nel XVIII secolo, irritati dai giochi che i bambini vi organizzavano e che disturbavano le funzioni.

Quello di Notre-Dame di Chartres è il meglio conservato, per quanto abbia perso la parte centrale dove figurava il motivo molto poco cristiano della lotta tra Teseo e il Minotauro. A Reims il labirinto – oggi scomparso – era di forma ottagonale, all’ingresso della navata, e rappresentava gli artefici dell’edificio.

Dalle ipotesi esoteriche a supposizioni più scientifiche, l’origine e la funzione dei labirinti restano un enigma. La parola labirinto deriva dal greco labris che indicava un’ascia di pietra, un aerolito. Ora, secondo i greci, il labirinto viene dall’Egitto, dalla regione di Fayoum, 100 km a sud-ovest del Cairo.

In quell’oasi sperduta in pieno deserto, verdeggiante come un giardino dell’Eden, si scopre un grande lago, il Moeris, da cui deriva la parola lamares, poi labirinto. E là che, nel Medio Impero, sorgeva il tempio di Ka che ospitava il primo labirinto.

Quel tempio di oltre 3000 stanze e dalle molteplici corti interne diffondeva il Ka, l’energia. Nell’antico Egitto si ritrova la forma labirintica su un grande serpente avvinghiato al limitare di una caverna, nel tempio di File, vicino al Nilo. All’estremità del serpente, si entra nella caverna al centro della quale c’è la fonte d’energia. Si ritrova questa simbolica nel Medioevo: i labirinti delle nostre cattedrali hanno tutti in comune di non essere dedali.

Bisogna, certo, passare attraverso percorsi contorti e deviazioni, ma non ci si perde mai è alla fine si arriva al centro. Che viene designato spesso come la Gerusalemme celeste: la Città di Dio. Il Medioevo vi rappresenta la tessitura della vita, con i suoi momenti buoni e cattivi.

I pellegrini potevano cosi percorrere quel cammino in ginocchio, pregando prima di raggiungere l’edificio. I labirinti sono sempre tracciati, sia a metà del transetto sia all’ingresso della navata, all’incrocio dei percorsi, come una porta. Bisogna passare dal labirinto prima di ritrovare il centro del mondo, raggiungere la Gerusalemme celeste:bisogna superare il periferico per raggiungere l’essenziale.

Il cammino e purificazione, denudamento, poi conoscenza del centro, del cielo e di se stessi. Mircea Eliade si spinge oltre: identifica labirinto con il segreto della dimora dei defunti. Noi tutti, da vivi, veniamo posti di fronte a forme di morte: bisogna affrontarle e dare loro un nome, prima di liberarsene. I labirinti non hanno solo simboli religiosi. Nel Medioevo i costruttori hanno collaborato con gli uomini di Chiesa: alcuni monaci erano essi stessi costruttori.

Su molti labirinti figurano i disegni o i nomi degli architetti, come a Reinis. Vi si può vedere un’iniziazione artigianale: è il cammino dell’apprendista verso il maestro di bottega. I labirinti sono il marchio dei loro costruttori, come gli strumenti, compassi e squadre scolpiti sui capitelli. Infine, viene in mente Arianna che dà il famoso filo.

Chi lo perde è perduto. Il mito dice anche che Arianna offre una corona a chi ha visto il segreto del labirinto. Allo stesso modo, i costruttori del Medioevo hanno affrontato un certo numero di prove, sia spirituali sia materiali, e il labirinto ne è il risultato. E la rappresentazione del cammino percorso, delle difficoltà superate, del centro ritrovato.

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“Monumenti del passato, pietre che vivono ancora”

di Renè Rèmond

Le cattedrali sono incontestabilmente luoghi di memoria. Sono d’altra parte i più antichi luoghi di memoria che siano rimasti viventi, testimoni delle grandi manifestazioni nazionali. Sono probabilmente anche i luoghi di memoria più unanimemente condivisi dai francesi e più visitati dai turisti. Le cattedrali fanno parte del patrimonio insieme materiale e immaginario dei francesi.

La loro collocazione non è casuale: posta al centro dei quartieri storici, la cattedrale appartiene alla città, le cattedrali appartengono alla nazione. Anche l’altezza ha la sua importanza: le guglie superavano tutti i tetti delle case, prima che si costruissero edifici altissimi. Esse sono inoltre i luoghi della memoria civile, dove si è forgiata l’identità della comunità nazionale nel quadro della laicità.

Il cattolicesimo non è più religione di Stato, ma tutti i francesi, anche quanti non sono né cristiani né religiosi, possono assegnare alle cattedrali un posto nel proprio pantheon personale. La cattedrale simboleggia un’epoca: il Medioevo. Ciò ne fa un testimone della storia. Al momento della Liberazione di Parigi, è il campanone di Notre-Dame ad annunciare l’arrivo dei carri armati di Ledere. L’11 novembre 1918 e nell’estate del 1944, il corteo dei parigini si dirige verso la cattedrale dove si canta un Te Deum…

Notre-Dame è il simbolo di Parigi, della Francia, del cambio di regime, della libertà. Ed è in questa cattedrale che si celebrano i funerali di De Gaulle, Pompidou, Mitterrand, alla presenza dei capi di Stato stranieri. Ancora oggi la cattedrale colpisce i cittadini perla sua mole e perché resta legata ai grandi avvenimenti nazionali.

Nei secoli XVII e XVIII non si conservavano più le cattedrali. Le si trasformava aggiungendo colonnati barocchi. Ai classicisti affezionati ai canoni dell’architettura antica, il romanico e il gotico apparivano il colmo dell’arcaismo. Sono stati il romanticismo e il XIX secolo a ritrovarvi una sensibilità artistica, passando per il tramite della letteratura (Hugo, Huysmans, Péguy).

Oggi le cattedrali appartengono allo Stato, ma l’attaccamento dei francesi non è diminuito. Non si possono immaginare guide turistiche che descrivano città quali Reims, Strasburgo o Amiens senza citarne le cattedrali. Gli edifici costruiti negli anni 1920-1930 hanno ripreso lo stile medioevale, come La Majore a Marsiglia. Quella di Evry, di forma cilindrica, sconcerta ulteriormente. Non può suscitare la stessa adesione della memoria, poiché è recentissima, ma non resta forse ugualmente un luogo di riunione che supera la comunità dei fedeli?

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“Elogio delle cattedrali”

di Jacques Le Goff

Le cattedrali compaiono a partire dal IV secolo, con il riconoscimento del cristianesimo da parte di Costantino e dei suoi successori. Il vescovo diviene quindi molto presto una personalità importante e la sua chiesa un edificio che sostituisce a poco a poco i templi pagani, ma che solo eccezionalmente si eleva alloro posto, anche se talvolta ne utilizza le pietre.

Per volontà di Costantino, le ripartizioni ecclesiastiche cristiane ricalcarono le ripartizioni- amministrative dell’Impero romano del IV secolo: le diocesi. Per secoli le cattedrali avrebbero quindi rappresentato al tempo stesso la sede del vescovo e il luogo dove si riuniva l’insieme dei fedeli. La Rivoluzione francese, periodo di dura prova per le cattedrali, avrebbe scompigliato quell’ordine che si credeva immutabile.

Non solo il vandalismo rivoluzionario si accanisce contro le sculture per distruggere ogni vestigio figurato della feudalità- in particolare contro le statue dei re di Giuda e d’Israele della facciata di Notre-Dame di Parigi, scambiate per le immagini dei re di Francia, le cui teste furono ritrovate nel 1977 sotto un edificio parigino ma la politica ufficiale di scristianizzazione cerca un utilizzo del monumento che neghi il suo passato cristiano. Alcune cattedrali ospitano templi della Ragione o della Natura.

Le costruzioni religiose diventano beni nazionali. Malgrado danni rilevanti e distruzioni irreparabili, il numero delle cattedrali effettivamente distrutte è limitato. Il cambiamento principale riguarda la loro distribuzione e il loro numero. Ripetendo quello che aveva fatto Costantino nel IV secolo,la Francia rivoluzionaria ricalca le divisioni ecclesiastiche sulle nuove circoscrizioni amministrative: i dipartimenti.

C’erano 146 cattedrali nel nostro Paese nel 1788. Sono ridotte a 83: una sessantina spariscono dunque dal punto di vista amministrativo. Tuttavia dopo il Concordato del 1801 Bonaparte, con l’assenso della Santa Sede, riduce ancora il numero delle diocesi francesi da 83 a 52. Così era più facile controllarle. D’altra parte Napoleone diceva: “I miei generali, i miei prefetti, i miei vescovi…”.

La Restaurazione ristabilisce gli 83 vescovadi della carta gallicana del 1790. La perdita da parte dei vescovi e delle diocesi della maggior parte delle loro ricchezze e delle loro entrate impone allo Stato di finanziare e provvedere alla manutenzione delle cattedrali e dunque di partecipare alla loro amministrazione, prima ancora dell’instaurazione della Repubblica laica.

Paradossalmente, è in questo periodo di umiliazione e perdita di potere del vescovo che la cattedrale diviene più prestigiosa che mai, in quanto monumento nazionale, e diventa un luogo di memoria per tutti e non solo per i credenti. E per questo che il turismo nelle cattedrali è nato e si è sviluppato nel XIX secolo.

Appartengo a una generazione la cui sensibilità si è indirizzata soprattutto verso il romanico, piuttosto che verso il gotico. Ora si dà il caso che ci siano pochissime cattedrali romaniche, perché sono state quasi tutte sostituite da edifici gotici. La mia preferita è Saint Bertrand-de-Comminges. Mi commuove l’intimità del suo romanico.