Prima della Caritas in veritate leggiamo Il capitale… di Marx

Reinhard Marx

Card. Reinhard Marx

cesnur.org giugno 2009

Tra coloro che hanno collaborato alla stesura della enciclica Caritas in veritate anche il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, che in un suo precedente libro rivaluta un certo illuminismo che ha sviluppato nuove vie per poter proporre i diritti umani come regole comuni per tutti, credenti o atei.

di Massimo Introvigne

L’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI? “Sembra scritta da Marx”, “C’è la mano dell’autore de Il capitale”… Questi commenti non sono sbagliati, a sentire almeno qualche vaticanista (cfr. per esempio Giacomo Galeazzi, “La crisi cambia l’enciclica”, La Stampa, 30.6.2007).

Fra coloro che hanno collaborato con il Papa per la stesura dell’enciclica ci sarebbe infatti – non da solo: Galeazzi cita anche, con altri, l’economista italiano Ettore Gotti Tedeschi – l’autore de Il capitale, Marx. Non si tratta però del fantasma di Karl Marx (1818-1883) ma del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga.

Stanco di giochi di parole e battute di spirito che lo accompagnano fin da quando era seminarista – e tanto più fra il 2001 e il 2007 quando è stato vescovo di Treviri, la città natale di Karl Marx – il cardinale ha deciso di prendere, come si dice, il toro per le corna, di stare al gioco e di pubblicare anche lui un’opera intitolata Das Kapital, ora tradotta in italiano come Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato (Rizzoli, Milano 2009).

Il cardinale Marx è specialista sia della dottrina socio-economica della Chiesa sia della storia della dottrina sociale cattolica, particolarmente nei Paesi di lingua tedesca, e si situano qui i punti di forza del libro. L’attenzione del lettore è però pure attirata da qualche obiter dictum su altri temi. Il cardinale ricorda per esempio come da ambienti che di solito lo criticano per il suo atteggiamento “severo” “nell’ambito dell’etica sessuale” gli siano venute lodi per essersi “espresso contro la guerra in Iraq” (p. 130), e afferma pure – con riferimento alle controversie sul penitenziario dove l’amministrazione degli Stati Uniti d’America ha rinchiuso dopo l’11 settembre 2001 sospetti di terrorismo in attesa di processo – che “il sistema di Guantanamo Bay è sbagliato” (p. 145).

Non si tratta di temi centrali nel volume, e a suo tempo, nel 2004 – scrivendo ai vescovi degli Stati Uniti nella sua funzione di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – il cardinale Joseph Ratzinger ricordava che “ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra”, mentre non può esserci – per esempio – in tema di aborto o di eutanasia (lettera “Dignità a ricevere la santa Comunione. Principi generali”). Né è forse un libro sulla crisi economica il luogo dove chiedere al cardinale Marx di spiegarsi sulle alternative che, a suo avviso, gli Stati Uniti d’America avrebbero potuto adottare in tema di lotta al terrorismo dopo l’11 settembre 2001.

Peraltro, non è priva d’interesse l’argomentazione storica del cardinale Marx in materia di diritti umani. Il capitale contiene una distinzione in tema d’Illuminismo che si ritrova anche in testi di Benedetto XVI, e che apprezza – distinguendolo dall’Illuminismo francese – in particolare quello inglese per la sua attenzione ai temi morali.

I testi del cardinale Marx (e – sembrerebbe – anche di Benedetto XVI) hanno la loro radice, non citata esplicitamente ma talora richiamata in modo quasi letterale, nelle analisi dell’Illuminismo della storica statunitense di famiglia ebrea tedesca Gertrude Himmelfarb (rispettivamente moglie e madre di due esponenti importanti del movimento neo-conservatore, William e Irving Kristol).

Direttamente dall’opera più nota della Himmelfarb, The Roads to Modernity. The British, French and American Enlightenments (Knopf, New York 2004), vengono gl’inviti del cardinale Marx a leggere gli scritti economici di Adam Smith (1723-1790), il padre dell’economia politica liberista, alla luce dei suoi scritti morali e non viceversa (cfr. pp. 70-73).

Si potrebbe andare così al di là di certe formule a effetto che sembrerebbero rimandare a una posizione “a prima vista immorale” (p. 71) e apprezzare, di Smith, l’aspirazione a “creare un’economia che soddisfacesse le esigenze di efficienza dei tempi nuovi ma rispondesse nel contempo a un principio etico di responsabilità” (p. 70).

Più in generale, il cardinale Marx attribuisce a un “Illuminismo illuminato” (p. 69) – distinto da altre forme d’Illuminismo – un ruolo ultimamente positivo nella fondazione dei diritti di libertà politica sulla base del senso comune e della ragione, che – se da una parte poteva incontrare l’ostilità delle Chiese, per cui questi diritti avrebbero dovuto piuttosto essere fondati su Dio – dall’altra offriva il vantaggio di poterli proporre come regole comuni a tutti gli uomini, fossero questi cattolici o protestanti, cristiani o musulmani, credenti o atei, posto che a tutti è comune la ragione.

In quanto rivendicazione dei diritti della persona di fronte a pretese assolutiste o stataliste, questo processo ha le sue radici nel cristianesimo, che “ha contribuito in modo decisivo alla liberazione della dimensione politica e a quella della persona nella sua responsabilità individuale” (p. 43). L’Illuminismo (“illuminato”) “ha sviluppato nuove vie per dare a questi valori un fondamento che non fosse divino. Ma non li ha scoperti, bensì li ha trovati nella cultura cristiana occidentale e li ha rifondati” (p. 127).

Tuttavia – anche perché aggredita da un Illuminismo anticristiano che non era “illuminato” – la Chiesa, secondo il porporato tedesco, non comprese subito che una fondazione sulla base della ragione dei diritti umani non era di per sé e necessariamente “un nemico della sua istituzione e della sua visione del mondo” (p. 36). Questa comprensione si affermò solo gradatamente, lungo un percorso che va dalle grandi encicliche sulla politica del XIX e del XX secolo al Concilio Ecumenico Vaticano II e in particolare alla sua Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.

Oggi sarebbe necessario riconoscere che una tale fondazione dei diritti ha rappresentato uno sviluppo positivo, evitando “una nostalgia culturale tinta di pessimismo per l’integralismo medievale” (p. 43).

Come si vede – né ho voluto sottacere spunti di carattere storico del volume che mi sembrano più problematici rispetto alla sua parte più propriamente socio-economica – si aprono qui problemi di notevole portata, e peraltro noti, che riguardano l’interpretazione della Dignitatis humanae alla luce dell’intera tradizione del Magistero della Chiesa e il giudizio dello stesso Magistero, sempre tendenzialmente positivo anche se mai oleografico, sul Medioevo, a proposito del quale andrebbero distinti i principi dalle loro applicazioni storiche, fermo restando che una mera “nostalgia culturale” non è, in effetti, sufficiente.

È peraltro interessante il tema della distinzione fra diversi Illuminismi, che – come accennato – riecheggia spesso, probabilmente sulla base delle stesse fonti, anche nei discorsi del regnante Pontefice.

Questo discorso, è importante notare, si riferisce ai diritti della persona nella loro dimensione più strettamente politica. Quanto alla dimensione economica, il cardinale Marx ricorda come nel campo “dei diritti sociali fondamentali [il pensiero cattolico] ebbe un ruolo di precursore. In questo campo il liberalismo, nel corso della storia, arrancò zoppicante alle sue spalle” (pp. 152-153).

Il Medioevo cristiano era in effetti più avanzato del mondo post-illuminista della rivoluzione industriale, per non parlare delle culture non cristiane che, per esempio, ignoravano l’istituzione dell’ospedale. “Per l’intero Medioevo la Chiesa fu l’unica istituzione pubblica sensibile all’assistenza ai poveri e agli ammalati.

Accanto alle chiese episcopali e ai conventi furono fondati ospedali e alloggi; interi ordini religiosi si dedicarono alla cura di poveri, orfani, anziani, pellegrini, ammalati e derelitti. La Chiesa non si limitò ad approntare e mantenere queste organizzazioni caritative, ma cercò anche di ottenere un reale miglioramento delle condizioni di vita degli indigenti” (p. 150). Il post-Illuminismo della rivoluzione industriale europea si comportò purtroppo ben diversamente.

A proposito della rivoluzione industriale il cardinale Marx si confronta con il suo omonimo Marx (Karl). Ma l’unico apprezzamento che gli rivolge è per qualche formula particolarmente brillante e incisiva. I rimedi proposti da Karl Marx sono peggiori dei mali: “Con la Rivoluzione d’ottobre del 1917 su milioni di persone calò una notte che durò decenni. Una simile esperienza non si deve ripetere” (p. 233).

Ricordando le critiche di Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi, il cardinale rileva come non vada confuso il principio di solidarietà della dottrina sociale della Chiesa con la nozione marxista di solidarietà, che è una mera “solidarietà di classe” (p. 285) fra quei proletari che riconoscono come loro avanguardia il Partito Comunista. “Per questo non è dipeso da un tragico incidente della storia se nei Paesi del socialismo reale, ovvero nei Paesi comunisti, le condizioni effettive di oppressione politica ed economica hanno dato un significato perverso al concetto di solidarietà: si trattava di uno sviluppo intrinseco all’ideologia marxista” (p. 285) Se oggi, a causa della crisi economica, si verificasse “una rinnovata adesione ai falsi ideali di Karl Marx e dei suoi epigoni […] non c’è bisogno di dirlo, questo sarebbe tremendo” (p. 302).

A differenza di Karl Marx, la dottrina sociale della Chiesa affrontò i problemi della rivoluzione industriale in termini non di rivoluzione, ma di giustizia. La nozione di giustizia sociale nel senso moderno del termine non nasce con il marxismo e neppure nell’ambito del liberalismo, ma – ricorda il cardinale Marx – con un grande pensatore cattolico anti-socialista e anti-liberale, il padre gesuita torinese Luigi Taparelli d’Azeglio S.J. (1793-1862), “il più importante precursore della dottrina sociale della Chiesa” (p. 152).

Da Taparelli d’Azeglio nasce un movimento che si esprime nelle grandi encicliche sociali, a cominciare dal corpus di Leone XIII (1810-1903) che, ricorda il porporato tedesco, in gioventù ebbe sia pure brevemente il gesuita di Torino come insegnante (p. 152). Ma si esprime anche nel pensiero e nell’azione di vescovi come Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877), di cui il cardinale Marx è studioso (mentre, ricorda, Karl Marx era fiero avversario) e che apre una tradizione tedesca di prelati insieme impegnati nelle opere sociali e nello studio della dottrina sociale della Chiesa che arriva fino al cardinale Joseph Höffner (1906-1987), passando per la scuola economica – i cui esponenti sono in buona parte cattolici – detta “ordoliberale”, che intendeva difendere contro le critiche marxiste l’economia di mercato introducendo nello stesso tempo correttivi e provvidenze a favore dei più poveri.

Il cardinale Marx attribuisce a questa scuola un positivo influsso sul cosiddetto miracolo economico tedesco del secondo dopoguerra. Ne ricorda l’influenza sul magistero sociale di Giovanni Paolo II (1920-2005), che “fu molto vicino a questa corrente di pensiero” (p. 94). Segnala anche il dialogo degli esponenti della scuola ordoliberale con “uno dei più importanti pensatori liberali del secolo scorso” (p. 52), Friedrich August von Hayek (1899-1992), “noto agnostico che tuttavia non ha mai abbandonato la Chiesa” (p. 53) e che spesso è presentato come un teorico del mercato senza freni e senza regole, mentre una delle sue frasi preferite era che “la libertà senza principi morali non ha mai funzionato” (ibid.).

La riflessione sulla storia della dottrina sociale della Chiesa permette anche al cardinale Marx di criticare come imprecisa l’immagine secondo cui tale dottrina sociale sarebbe una “terza via” intermedia fra capitalismo e socialismo. Anzitutto, molto dipende da come si definisce il capitalismo.

Il porporato ricorda il n. 42 dell’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II: “È forse questo [il capitalismo] il modello che bisogna proporre ai Paesi […] che cercano la via del vero progresso economico e civile? La risposta è ovviamente complessa. Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d’impresa», o di «economia di mercato», o semplicemente di «economia libera». Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa”.

Il cardinale Marx ne ricava che “non si deve pensare che la dottrina sociale della Chiesa si collochi esattamente a metà strada tra l’individualismo liberale e il collettivismo. È vero che la nostra posizione si situa tra questi due estremi, ma tuttavia registra una sorta di «sbandamento» verso il liberalismo” (p. 42). Il porporato è molto chiaro: sui temi fondamentali del diritto alla proprietà privata, anche dei mezzi di produzione, tra Karl Marx e l’economia di mercato la Chiesa sceglie l’economia di mercato. Perfino a fronte della crisi economica, rileva il cardinale, egli rimane “a favore dei mercati aperti, anche in ambito finanziario” (p. 232) – s’intende, non senza regole.

Che cosa è successo nel 2008? Secondo il cardinale Marx le radici profonde della crisi economica vengono dal 1989 e dalla caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Si sono affermate tesi sulla “fine della storia” (è il titolo di un famoso libro del politologo statunitense Francis Fukuyama, del 1992) – presto smentite dai fatti, ma non è questo il punto – secondo cui ormai il capitalismo occidentale aveva vinto per sempre, per il venire meno dei suoi avversari storici. Coloro che come Fukuyama “hanno creduto che all’economia di mercato non ci fossero alternative […] non si sono dati più pensiero del suo fondamento etico” (p. 291). Ne è nato uno “sviluppo pericoloso” (p. 292), la tendenza della “economia di mercato a trasformarsi in una nuova sorta di capitalismo primitivo” (ibid.).

Con grande fatica la dottrina sociale della Chiesa – non il marxismo – aveva dato all’economia di mercato (al capitalismo, se si vuole, anche se i due concetti non sono esattamente identici) il suo volto umano, mantenendone i principi generali ma rettificandoli con il riferimento al fondamento etico, sorgente d’interventi a favore dei più deboli e di regole per impedire degenerazioni. Venuto meno l’avversario marxista, il mito della “fine della storia” ha determinato la tentazione di un ritorno al “capitalismo primitivo” della rivoluzione industriale. “La crisi finanziaria dell’estate 2008 ci mostra chiaramente come sia facile finire su un terreno scosceso quando la morale e l’etica vengono escluse dall’economia” (ibid.).

Nei diversi capitoli del libro, il cardinale Marx mostra la tragica situazione in cui versano sia l’Occidente, sia i Paesi in via di sviluppo, in particolare dopo la crisi economica del 2008. Poveri e nuovi poveri (fra cui i working poor, che non sono calcolati nelle statistiche sui disoccupati, ma i cui salari non sono sufficienti a superare la soglia di povertà) sono presenti, in misura maggiore o minore ma sempre allarmante, in tutti i Paesi, compresi i più avanzati. L’avidità dei gestori di fondi speculativi ha raggiunto alla vigilia della crisi economica proporzioni inimmaginabili, mandando alla rovina milioni di risparmiatori.

La delocalizzazione ha moltiplicato la disoccupazione: e, attraverso la parabola degli stabilimenti Nokia in Germania – creati con ampi sussidi statali, e prontamente trasferiti in Romania dove il costo del lavoro è minore – il cardinale spiega come in un’economia libera non si possa impedire alle imprese di trasferirsi dove produrre costa meno, ma almeno si dovrebbe evitare d’incoraggiarle con incentivi ed esenzioni fiscali.

I piccoli e medi imprenditori sono spesso lasciati da parte da politiche concordate con le sole grandi imprese, e che vanno a esclusivo beneficio di queste ultime. I programmi di aiuto allo sviluppo per i Paesi del Terzo Mondo non funzionano, frenati come sono dalla corruzione dei governanti locali e dall’accostamento inadeguato e ideologico di chi li gestisce. Soprattutto, le prime vittime della crisi sono la famiglia e l’educazione – insieme alla vita, aggredita dai programmi internazionali di diffusione dell’aborto – su cui s’investe sempre meno, perpetuando anche in un’epoca post-comunista il vecchio “disprezzo per la famiglia da parte delle ideologie marxiste” (p. 213).

Questo quadro – per molti versi affine alle denuncie del “turbocapitalismo” da parte del ministro italiano Giulio Tremonti – non chiama in causa solo l’Occidente, dominato dal regresso avido da un capitalismo temperato dalla solidarietà cattolica al capitalismo primitivo della rivoluzione industriale. La situazione peggiore, nota il cardinale Marx, è forse quella della Cina, dove in molte fabbriche si comincia a lavorare alle sette e trenta del mattino e per molti, come riferiva una cucitrice, “il giorno più bello era la domenica, quando dovevamo lavorare solo fino alle ventuno e trenta” (con “mezz’ora di tempo per mangiare e riposarci”) mentre negli altri giorni si lavora “fino alle due o alle tre del mattino” (p. 256). “Sembra quasi che l’attuale dirigenza cinese si sia posta l’obiettivo di operare una sintesi senza precedenti dei lati più oscuri del comunismo e del capitalismo” (p. 259).

L’esempio della Cina – e per altri versi quello dei fondi e dei prodotti finanziari speculativi che hanno determinato la crisi del 2008 – mostra la necessità di una nuova presentazione della dottrina sociale della Chiesa. I principi fondamentali di sussidiarietà e di solidarietà devono assumere, e non solo a parole, una dimensione internazionale, senza demonizzare la globalizzazione ma anche senza ignorarne i problemi: “la globalizzazione non è un fenomeno naturale, ma un processo che spetta all’uomo ordinare e coordinare” (p. 265).

Né, a fronte della complessità dell’economia e della finanza contemporanee, si può più ragionare nei semplici termini tradizionali di una torta che non è spartita equamente e che potrebbe essere divisa in modo più giusto.Oggi la torta varia continuamente e “potremmo metterla così, dunque: non si tratta di dividersi una torta già pronta, bensì di prepararne una più grossa” (p. 277). Il cardinale Marx rimane affezionato alla tradizionale formula tedesca dell’“economia sociale di mercato”. Ma anche questa formula dev’essere oggi adattata a una realtà che certo non è più quella degli anni 1950.