La crociata. Appunti per una definizione

crociatiFides Chatolica anno II  n.1-2008

Si sta assistendo ad un sempre più elevato interesse per le crociate, in un mondo globale in cui si è alla ricerca di una definizione di identità europea. In questo crescendo d’interesse non mancano però pregiudizi e prevenzioni ideologiche. L’Autore, in questo saggio, si propone di dare una definizione alla crociata nel suo contesto storico e culturale, in antitesi alla tesi di F. Cardini. La crociata è vista come «categoria permanente, non mitica, ma metagiuridica, della cultura cristiana».

Anzitutto, si chiarisce il concetto di “guerra giusta” in san Agostino e in san Tommaso e si appura che, in entrambi, detta guerra non è difensiva – non avrebbe bisogno di una giustificazione teologica e giuridica in quanto diritto naturale – ma offensiva, che non significa però aggressione. Per san Tommaso l’uomo virtuoso e santo «respinge le cose nocive difendendosi, oppure vendicandosi delle ingiurie subite, non con l’intenzione di nuocere, ma con l’intenzione di eliminare il male».

Poi si definisce la crociata. Prima ex parte obiecti: la crociata in sé come spedizione militare per difendere un bene religioso; poi ex parte subiecti, ovvero dalla parte di chi risponde all’appello e partecipa alla crociata. Così si evidenzia l’aspetto inferiore e spirituale della crociata, facendone non solo una guerra giusta ma anche, come il martirio, una categoria dello spinto, un segno d’amore.

di Roberto de Mattei

1 La storiografia recente sulle crociate

Negli ultimi anni, gli studi sulle crociate si sono moltiplicati e ampliati in tutto il mondo. Questo fenomeno può essere inteso come fisiologico, se si considera la vera e propria esplosione saggistica che si è avuta in tutti i settori della storia, ma può anche essere visto come sintomo significativo di un’attenzione crescente ad una serie di problemi e di suggestioni che riguardano l’autocoscienza europea e occidentale.

Non si tratta solo di un interesse legato alla situazione internazionale successiva all’11 settembre 2001; una situazione in cui il termine “crociata” è stato spesso evocato dai mass-media come paradigma di contrapposizione tra Islam e Occidente. Si tratta di un interesse che nasce anche dalla necessità di ridefinire l’identità dell’Europa e di riscoprire le sue radici storiche, culturali e religiose, in un’epoca in cui il processo di globalizzazione sembra dissolvere ogni identità e ogni certezza.

Questa esigenza porta a mettere in discussione vecchi clichés e a sfatare le «leggende nere» che ancora aleggiano. Si pensi al recente film sulle crociate di Ridley Scoti (Kingdom of Heaven, 2005), in cui l’immagine del Saladino viene idealizzata come quella di un uomo saggio e illuminato, mentre i crociati sono dipinti come uomini venali, crudeli e soprattutto fanatici. L’operazione culturale è certamente grossolana.

Ma anche un’opera di buon respiro scientifico e di indubbio fascino letterario come la Storia delle crociate del bizantinista inglese Steven Runciman (1903-2000) (1), si presenta come un testo denso di pregiudizi e condizionamenti ideologici. Va dunque salutata con soddisfazione la svolta storiografica che negli ultimi anni ha contribuito a rinnovare gli studi sul Medioevo in generale e sulle crociate in particolare. Ciò che mi propongo, sulla base degli studi vecchi e nuovi sull’argomento, è offrire una vantazione, e quindi una definizione, della crociata. Rispondere insomma alla domanda cosa furono le Crociate?

Orientarsi nella bibliografia non è facile (2). Lo storico francese Alain Demurger, a cui si devono pregevoli opere di sintesi su questi temi (3), distingue due scuole o correnti: la prima, definita “tradizionalista” dai suoi oppositori, tende a ridurre le crociate alle sole spedizioni militari che ebbero come specifico obiettivo la presa di Gerusalemme. Essa ha un suo illustre esponente nello storico tedesco Hans Eberhard Mayer. La seconda corrente, “pluralista”, che tende a ricomprendere una pluralità di esperienze militari diverse sotto la categoria ideale della crociata, ha il suo altrettanto noto caposcuola nello storico inglese Jona-than Riley-Smith.

Per quanto riguarda la storia dell’idea di crociata, dovremmo invece distinguere tra una scuola attenta alla dimensione istituzionale delle crociate, comprendente nomi di studiosi come Carl Erdmann (1898-1945) e Michel Villey (1914-1988), che hanno messo in luce le fonti canonistiche e teologiche dell’idea di crociata (4); e, dall’altra parte, una corrente che vede le crociate, dal basso, come un fenomeno di esperienza religiosa collettiva, mutuando talvolta il linguaggio dalla psicanalisi, come è il caso di Alphonse Dupront (1905-1990), coautore con Paul Alphandery, di una celebre opera tesa a cogliere la dimensione psicologica e sociale del fenomeno crociato.

A questa linea si collega Franco Cardini (5), il più noto studioso italiano delle crociate, anch’egli attento alla dimensione escatologica e millenaristica del movimento, da lui sostanzialmente ricondotto alle ansie e paure apocalittiche che pervasero la «turbata coscienza dell’Occidente» (6).

Cardini, ha seguito la genesi e lo sviluppo dell’idea di crociata, fino alla soglia dell’età contemporanea cercando di dimostrare che una certa idea di crociata, tramandata dalla storiografia, non corrisponde alla multiforme realtà storica dei rapporti tra Islam e Cristianesimo e, più in generale, tra Europa ed Oriente. Egli mette in luce l’occasiona della nascita del movimento, confuta le cause tradizionalmente attribuite alla sua origine, a cominciare da una presunta minaccia musulmana che in quei tempi non avrebbe giovato né sull’Occidente né su Bisanzio (7); solo tardivamente del resto, secondo Cardini, quando ormai le crociate erano al tramonto, il termine crociata si sostituì a quello di iter o passagium, utilizzati alle origini per indicare la nuova esperienza religioso-militare. L’idea stessa di crociata risulta vanificata.

I secoli delle crociate, per lo storico fiorentino, sono segnati non solo dal conflitto tra Occidente ed Oriente, ma anche da un universo di intensi e fecondi scambi e rapporti. La crociata rappresenta, in questa prospettiva, un mito politicamente utile e propagandisticamente efficace, radicato nella storia della cultura occidentale. Si tratta di mettere in luce, al di là del “mito”, la polivalenza di malintesi e mistificazioni che in esse si intrecciano, come copertura ideologica di scelte politiche.

Mi sono soffermato sulla tesi di fondo di Cardini perché è in antitesi ad essa che proporrò una riformulazione del concetto di crociata, come categoria permanente, non mitica, ma metagiuridica, della cultura cristiana.

La prima considerazione che vorrei fare è che la scissione tra storia del movimento e storia dell’idea è infruttuosa, perché porta a perdere di vista l’unità del fenomeno. Il movimento, senza un’idea di fondo che lo sottenda è destinato a frammentarsi in rivoli. L’idea, sradicata dall’esperienza vissuta, diviene fatalmente mito o utopia. Tra idea e movimento esiste infatti quell’interrelazione e quell’osmosi che nella vita esiste tra pensiero ed azione.

Mi baserò soprattutto, in questa prospettiva, sulle acquisizioni storiografiche degli storici anglosassoni, che nel loro approccio empirico al movimento crociato, hanno colto la sua dimensione ideale ed ideologica forse meglio di quanto non sia accaduto ad alcuni storici di area culturale latina, tenendo sempre presenti i fondamentali contributi di Erdmann e di Villey, che vanno però integrati con quelli, non meno importanti di due studiosi salesiani: il cardinale Alfonso Maria Stickler (1910-2007) (8), e il suo allievo, anch’egli divenuto cardinale, Rosario Castillo Lara (1922-2007) (9). La ricognizione sul tema deve comunque partire necessariamente dalla dottrina cattolica della “guerra giusta” elaborata in particolare da sant’Agostino e da san Tommaso.

2. La teoria della guerra giusta in sant’Agostino

La prima elaborazione di una dottrina cristiana sulla guerra si deve a sant’Agostino (354-430), soprattutto nel XIX libro della Città di Dio. Le sue teorie servirono di ispirazione a tutta la speculazione medioevale e conservano ancor oggi una straordinaria validità.

Sant’Agostino insegna innanzitutto che tutti gli esseri bramano la pace; anche coloro che vogliono la guerra desiderano solo assicurarsi la pace con la vittoria; «ne risulta che la pace è il fine auspicabile della guerra. Ogni uomo cerca la pace anche facendo la guerra, ma nessuno vuole la guerra facendo la pace» (10). Non ogni pace però è giusta; esiste una pace apparente e falsa e una vera pace che è la «tranquillità dell’ordine» (11), secondo una formula destinata a divenire classica, ossia la retta disposizione di tutte le cose secondo i principi della legge naturale e divina.

Il pensiero del Dottore di Ippona si sviluppa quindi nei seguenti passaggi:

a) La guerra è un male, a cui però talvolta è necessario ricorrere per ristabilire la giusta pace ed evitare mali più gravi.

b) La guerra può essere “giusta” se è giusta la pace a cui tende. Sant’Agostino definisce in un celebre testo, con queste parole, le “iusta bella“, le “guerre giuste”: «si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo o una città che hanno trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente» (12). È importante rilevare in questo passo che ciò che rende giusta una guerra è l’iniquità della parte avversa. La guerra è giusta perché è stata consumata o sta per consumarsi un’ingiustizia

c) La volontà deve essere sempre tesa verso il bene della pace: la guerra si affronta per necessità, affinchè Dio ci liberi da uno stato di ingiustizia e ci conservi nella pace. Non si cerca infatti la pace per fare la guerra, ma si fa la guerra per conseguire la pace. «Sii dunque pacifico nel guerreggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere. Dice infatti il Signore: “Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)» (13)

Quanto alle sofferenze che risultano dalla guerra e che talvolta affliggono anche coloro che meriterebbero di esserne esenti, si tratta di un fatto permesso per fini provvidenziali di misericordia e di salvezza o di santificazione da Dio che «è Colui che dirige i principi, gli svolgimenti e i termini delle guerre» (14)- «È infatti l’ingiustizia del nemico che obbliga il saggio ad accettare guerre giuste; l’uomo deve dolersi di questa ingiustizia perché appartiene agli uomini, sebbene da essa non dovrebbe sorgere la necessità di far guerra. Chiunque pertanto considera con tristezza queste sventure così grandi, così orribili, così spietate, deve ammetterne l’infelice condizione; chiunque invece o le subisce o le giudica senza tristezza della coscienza, molto più infelicemente si ritiene felice perché ha perduto il sentimento di umanità» (15)

3 La teoria della guerra giusta in san Tommaso

San Tommaso d’Aquino (1225-1274) scrive quando le crociate hanno ormai iniziato il loro momento di declino, ma la sua teoria della guerra giusta ci aiuta a formulare un giudizio ex post sul fenomeno crociato.

Il giudizio sulla guerra di san Tommaso d’Aquino (1225-1274) è della massima importanza, non solo per il valore intrinseco, ma per l’influenza che esso ha avuto sulla dottrina successiva della Chiesa (16) San Tommaso parla esplicitamente di “iustum bellum“, “guerra giusta”, riprendendo il concetto di fondo di sant’Agostino, secondo cui «quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace.

Perciò essi sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore non è venuto a portare sulla terra (Mt 10,34)» . Anche chi cerca le guerre e le discordie, scrive il Dottore Angelico, non desidera altro che la pace, che crede di non avere, ma poiché non può esserci vera pace che nel desiderio del vero bene, «la vera pace non può trovarsi che nei buoni e nel bene, mentre la pace dei cattivi è una pace apparente e non vera» (17).

Le tre condizioni torniste della giusta guerra, destinate a rimanere classiche sono le seguenti:

– In primo luogo l’autorità competente, per ordine del quale deve essere proclamata: «infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra, poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore» (18). San Tommaso ricorda la frase di sant’Agostino che dice: «l’ordine naturale, indicato per la pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l’autorità e la deliberazione di ricorrere alla guerra» (19);

– in secondo luogo, si richiede una causa giusta: e cioè «una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra». San Tommaso si richiama alla definizione già citata di sant’Agostino, secondo cui «si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo o una città che hanno trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente» (20);

– per terzo, si richiede che l’intenzione di chi combatte sia retta: e cioè, «che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male». Ancora una volta l’Angelico ricorda sant’Agostino: «Presso i veri adoratori di Dio sono pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni». Pertanto «la brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra» (21).

La guerra giusta di cui scrivono san Tommaso e sant’Agostino è, si badi bene, una guerra offensiva. La guerra difensiva rientra nel diritto naturale dell’uomo alla legittima difesa e non ha bisogno per i nostri autori di essere giuridicamente e teologicamente giustificato: «Vim vi repellere omnia jura permittunt» (22)

Le guerre offensive (come ad esempio recuperare una provincia o una città perduta, punire un’altra nazione per l’aiuto dato al nemico; aiutare gli alleati; punire chi ha violato i trattati), in quanto giuste non hanno nulla a che vedere con l’aggressione. Il ricorso alle armi nella guerra offensiva si fonda sulla giustizia vendicativa, di cui san Tommaso descrive la natura in una quaestio della Summa Theologica (23).

L’istinto della vendetta, spiega l’Angelico, trattandosi di un moto di ripulsa naturale di fronte al male, non può non contenere qualcosa di buono; la “vindicatio“, la “giusta vendetta” è dunque lecita, purché si metta al primo posto non il male del colpevole, ma la sua emenda, oppure «la repressione del male per la pubblica quiete, la tutela della giustizia e dell’onore di Dio» (24). Perciò l’uomo virtuoso e santo «respinge le cose nocive difendendosi, oppure vendicandosi delle ingiurie subite, non con l’intenzione di nuocere, ma con l’intenzione di eliminare il male»

4 la crociata ex parte obiecti

Alla luce della dottrina cattolica della guerra giusta, le crociate possono essere considerate sotto due aspetti che definirei ex parte obiecti e ex parte subiecti (26): il primo aspetto relativo all’oggetto formale della crociata, ovvero al fine a cui oggettivamente esso è diretta, al di là delle intenzioni soggettive di chi la pone in essere; il secondo relativo all’animus, all’intenzione che ne anima i protagonisti.

Ex parte obiecti la crociata sì può definire come una spedizione militare promossa e diretta dalla Chiesa, ma attuata da laici, per difendere, usque ad effusionem sanguinis, un bene di natura religiosa.

a) II primo elemento fondamentale di questa definizione è costituito dall’auctoritas: solo la Chiesa ha l’autorità per bandire la Crociata, promulgata personalmente dal Papa, con un’apposita Bolla che stabilisce indulgenze e privilegi. Simbolo per eccellenza dell’intervento del Papa sui campi di battaglia è la bandiera della Chiesa, vexillum sancti Petri, che il Papa consegna a chi combatte in suo nome (27), come è raffigurato nel mosaico del triclinio lateranense in cui si vede san Pietro che concede lo stendardo a Carlo Magno.

Questo gesto, divenuto frequente nella seconda metà dell’XI secolo, fu uno dei primi con cui il Papato volle consacrare una spedizione militare. La storia di questo vessillo culminerà nell’istituzione della carica papale di “vessillifero di Santa Romana Chiesa”, le cui origini, come ricorda Erdmann, sono collegate con l’idea stessa di crociata (28).

La Chiesa interviene efficacemente nel reclutamento dell’armata, attraverso la predicazione e lo strumento del “votum crucis“, simboleggiato dalla croce imposta a tutti i fedeli e vi svolge un ruolo direttivo, determinando fini e mezzi della spedizione (29). Le clausole inserite nelle bolle di indizione della crociata dai successori di Urbano II sono le stesse che si ritrovano negli atti del concilio di Clermont: benefici spirituali, come l’indulgenza plenaria, e benefici materiali come la protezione da parte della Chiesa dei beni e delle famiglie per coloro che intraprendono l’iter transmarinum, il passagium ad Terram Sanctam.

b) II secondo elemento, ex parte obiecti, è costituito dal fine oggettivo della crociata, che non è di natura politica, ma sempre di natura religiosa: che si tratti di quella liberatio Orientalis Ecclesiae di cui già parla Urbano II (30) o della formula “ad vindicandam injuriam Crucifixi, ad defensionem Terrae Nativitatis Domini “, indicata da Innocenzo III e ribadita dal Concilio Laterano IV (1215) (31).

Sarà bene ribadire, come fa Thomas F. Madden in un’opera divulgativa ma puntuale, che «le crociate, come la Riconquista, iniziarono in seguito all’invasione islamica delle regioni cristiane» (32). Col tempo mutano gli scenari storici e di conseguenza gli interessi politici delle forze in campo, ma ciò che non muta è l’intenzione religiosa che caratterizza oggettivamente la crociata.

Esiste sotto questo aspetto una indubbia continuità tra la concezione urbaniana della crociata e la coscienza che ne ebbero i pontefici successivi. Al fine primigenio della liberazione del Santo Sepolcro altri se ne sovrappongono, come nel caso della Reconquista spagnola, in cui il fine religioso si intreccia con fini nazionali; ciò non toglie che la Chiesa interpreti e conduca la guerra contro i mori come un impresa eminentemente religiosa e tale, oggettivamente, essa sia (33).

La crociata si colloca dunque nella categoria tradizionale della “guerra giusta”, ma ciò che la distingue da quest’ultima è il fatto che la guerra giusta è generalmente condotta da un’autorità temporale per difendere un bene pertinente all’ambito civile, quale può essere la libertà e l’indipendenza di un popolo, laddove la crociata, pur attuata da laici, ha un fine religioso ed promossa e diretta dal Pontefice (34).

La Chiesa considera l’esercito crociato come un esercito proprio, la cui suprema direzione appartiene alla Sede Apostolica, che si fa rappresentare da un Legato che accompagna le truppe e indica gli obiettivi in pieno accordo con il Pontefice. Il Legato Pontificio, quantunque non deve mescolarsi personalmente alla guerra è, per l’autorità ricevuta dal Papa, il capo dell’esercito.

L’estensione della crociata a nuovi tipi di nemici, come i pagani del nord-est d’Europa, gli eretici albigesi, gli scismatici della Romania, perfino imperatori ribelli quale Federico II, è la conferma non della labilità dell’idea di crociata, ma della nettezza della teoria giuridica e morale che viene lentamente elaborata dai canonisti. La diversificazione, nel corso dei secoli, dei fini e dei mezzi, ci aiuta quindi a comprendere l’elemento caratterizzante ed unificante della crociata: una categoria che esprime la potestas coactiva della Chiesa.

5 La potestas coactiva della Chiesa

La potestas coactiva è il potere di coercizione, non solo spirituale, ma anche materiale, che scaturisce dalla natura giuridica della Chiesa, societas perfecta, indipendente da ogni autorità umana. Dal carattere di società perfetta che le è proprio, deriva alla Chiesa, pieno jure, la potestà di coazione, sia sul piano spirituale che su quello materiale.

La coazione spirituale, spirituale remedium, quale è la scomunica, è certamente più consona alla missione soprannaturale della Chiesa, che ricorre solo in casi estremi alla coazione materiale. Quest’ultima a sua volta è distinta in una potestas minor, citra sanguinis effusionem, che non contiene la pienezza della potestà ed una potestas maior, o suprema, che arriva fino al diritto di infliggere la morte. Le crociate costituiscono un’espressione storica di questo diritto della Chiesa ad usare della forza materiale per conseguire il suo fine soprannaturale (35).

Nel linguaggio allegorico medioevale, il potere di coazione della Chiesa è simboleggiato dal gladius. La potestas gladii o ius gladii discende a sua volta dal diritto romano, che costituisce la base di quello ecclesiastico.

«Nel lanciare l’appello alla Crociate, – ha osservato il card. Castillo Lara – nell’animare i soldati prendendoli sotto la loro alta direzione, i pontefici non si posero mai il problema della incongruenza della guerra con lo spirito della Chiesa, né si domandarono se avevano diritto di organizzare eserciti e lanciarli contro gli infedeli […] I Papi di conseguenza non solo non lo consideravano illecito, ma anzi avevano coscienza di esercitare in tal modo un proprio potere: il supremo potere di coazione materiale; né pensavano lontanamente di invadere in tal modo la sfera del temporale che sapevano riservata solo allo Stato» (36).

La più chiara espressione della vis armata ecclesiastica che discende dalla potestas coactiva della Chiesa è costituita dagli ordini religioso-cavallereschi che tra il XII e il XVIII secolo diventarono i principali strumenti militari della Santa Sede (37).

Gli Ospitalieri di San Giovanni, poi detti “Cavalieri di Rodi” e infine “di Malta”, e i cavalieri Templari e Teutonici che nacquero e si svilupparono nell’epoca delle crociate, unirono, «la mitezza del monaco e il coraggio del guerriero» (38), secondo il ritratto che ne tracciava Bemardo di Chiaravalle nel De laude nova3 milita3, composto tra iM 132 e il 1135.

«I cavalieri di Cristo possono con tranquillità di coscienza combattere le battaglie del Signore, senza temere in alcun modo di peccare per l’uccisione del nemico, né il pericolo di morire: poiché in questo caso la morte, inflitta o sofferta per Cristo, non ha nulla di criminoso e molte volte comporta il merito della gloria. Infatti, come con la prima si da gloria a Cristo, così con la seconda si ottiene Cristo stesso. Il quale senza dubbio accetta volentieri la morte del nemico come punizione, e ancor più volentieri si dona ai soldato come consolazione. Il cavaliere di Cristo uccide con tranquilla coscienza e muore con anche maggior sicurezza. Morendo favorisce se stesso, uccidendo favorisce Cristo. E non è senza ragione che il soldato porta la spada. Egli è ministro di Dio per la punizione dei malvagi e per l’esaltazione dei buoni. Quando egli uccide un malvagio non è omicida, ma per cosi dire malicida; è necessario vedere in lui tanto il vendicatore che è al servizio di Cristo quanto il difensore del popolo cristiano. Quando poi muore, bisogna pensare che non è morto, ma è giunto alla gloria etema» (39)

I membri degli ordini militari, in quanto religiosi, professavano i tre voti tradizionali, secondo una Regola approvata dalla Santa Sede; in quanto soldati, formavano un esercito permanente, consacrato alla guerra in difesa della fede.

«Gli ordini militari – scrive il cardinale Castillo Lara – sono una fedele espressione di ciò che sì potrebbe considerare come la vis armata ecclesiastica. Difatti i suoi membri erano allo stesso tempo soldati e monaci. In quanto religiosi, professavano i tre voti tradizionali su una Regola approvata dalla Santa Sede. In quanto soldati, formavano un esercito permanente pronto ad entrare in battaglia dovunque minacciassero i nemici della religione cristiana. Il fine ecclesiastico che esclusivamente si proponevano e la dipendenza dalla Santa Sede in cui venivano posti dal voto di obbedienza, ne facevano dei soldati della Chiesa» (40)

6 La crociata ex parte subiecti

Fin qui abbiamo considerato il fenomeno ex parte obiecti. La crociata può essere considerata però ex parte subiecti, dalla parte di chi risponde all’appello della Chiesa che, con la bolla di crociata, chiama alle armi tutti i fedeli della cristianità

In questo caso occorre mettere in luce la dimensione spirituale ed interiore della crociata, piuttosto che quella istituzionale e giuridica. Ciò è stato fatto, soprattutto, negli ultimi anni da numerosi studi che hanno messo in luce l’aspetto penitenziale delle crociate; oltre che come impresa bellica, esse si presentarono come una straordinaria occasione di conversione, nel senso profondo che il Medioevo dava a questo termine.

a) La crociata come pellegrinaggio. Il sentimento più forte che entra nella formazione dello spirito di crociata, secondo Jean Richard, è la coscienza del peccato (41). La liberazione del Santo Sepolcro, secondo altri studiosi, ha un significato teologico, nel senso che Cristo, morendo e risuscitando, ha liberato una volta per tutte gli uomini dalla morte e dal peccato (42). La perdita della Terra Santa è vista dunque come una conseguenza dei peccati degli uomini, inflitta da Dio perché le colpe dell’umanità fossero più evidenti.

Già il Concilio di Clermont aveva statuito che il pellegrinaggio a Gerusalemme sarebbe valso “prò omnia poenitentia” e Urbano Il ei suoi successori assicurarono la remissione di ogni colpa e l’indulgenza plenaria, a chi partiva per la Terra Santa. I crociati partono come “pellegrini armati” per espiare le proprie colpe in un «nobile pellegrinaggio che purifica l’anima peccatrice così da porgerla a Dio immacolata e limpida» (43). L’esercito crociato è in questo senso, come ha messo in rilievo Paul Alphandéry «un’armata di penitenti» che cerca, attraverso la lotta, di meritare la ricompensa eterna del cielo (44). «La crociata – scrive a sua volta Richard – fu un’armata di pellegrini; animata dallo spirito di povertà e di sacrificio divenne un’armata di penitenti» (45).

b) La Crociata come “atto d’amore”. Jonathan Riley-Smith, ha dedicato un importante studio alla Crociata come atto d’amore (46). In questo saggio egli ricorda la bolla Quantum praedecessores del 1 dicembre 1145 con cui Papa Eugenio III, riferendosi a coloro che avevano risposto all’appello della prima crociata, afferma che essi erano «infiammati dall’ardore della carità» (47).

Tale spirito e stato d’animo è abbondantemente documentato dalle fonti. Amore di Dio e amore del prossimo sono espressioni della stessa fiamma di carità: la crociata, scrive a sua volta Jean Richard, fu «prima di tutto la realizzazione di un dovere di assistenza verso i fratelli in pericolo ai quali si aggiunge l’assistenza a coloro che sono nel bisogno. Questo amore tra cristiani è il punto di partenza della crociata, così come è la ragion d’essere degli ordini religiosi nati dalla crociata, i Templari e gli Ospedalieri» (48).

Questo aspetto soggettivo corrisponde non alla “causa giusta” (fine oggettivo), ma piuttosto all'”intenzione” di chi promulga la crociata e, soprattutto, di chi assume la croce. Questa dimensione interiore non sorge come un fiume limaccioso dall’inconscio collettivo dell’Occidente, ma dall’atto libero di singoli uomini che rispondono ad un appello che si rivolge alla loro coscienza. Tuttavia, nella misura in cui l’appello della Chiesa costituisce una categoria permanente, anche la risposta a questo appello può essere considerata una permanente “categoria dello spirito”.

7 La crociata come categoria dello spirito

La crociata non è solo una “guerra giusta” o, come fu definita, “giustissima”. Essa è, come il martirio, una costante dell’animo cristiano. Nei crociati, la prospettiva del martirio è insita nel signum super vestem, la croce sull’abito che attesta la loro disponibilità a versare il sangue in battaglia contro gli infedeli. Se il martirio è l’atto con cui il cristiano è disposto a sacrificare la sua vita per preservare la propria fede, la crociata è l’atto con cui il cristiano è disposto a combattere, fino ad offrire la propria vita, per il bene soprannaturale del prossimo.

Anche sotto questo aspetto, l’idea di crociata non è solo un evento storico circoscritto al Medioevo, ma è una categoria antica e perenne dell’animo cristiano che nella storia conosce momenti di eclissi, ma che sotto diverse forme è destinata a riaffiorare.

Alla crociata fecero appello santa Caterina e santa Brigida nel XIV secolo (49) e, in nome della “guerra santa” contro i nemici della Cristianità, impugnarono le armi Giorgio Scanderberg e Giovanni Hunyadi nel XV secolo e i combattenti di Lepanto, di Vienna e di Belgrado nei secoli successivi (50).

Un grande storico, quale Hubert Jedin (1900-1980). ha analizzato l’idea di crociata in Pio V (51), Per quanto Papa Ghislieri non usi mai questo termine, forse perché esso era ormai riservato all’indulgenza valida in terra di Spagna, non c’è dubbio che la santissima expeditio contro i turchi da lui concepita e promossa nel 1570 corrisponde pienamente al concetto tradizionale di crociata. Il fine dell’impresa non è politico, ma religioso: El bien de la Cristianidad dice Pio V all’ambasciatore spagnolo Zuniga, il 18 dicembre 1570, esige la realizzazione della Lega (52).

Essa è considerata come “perpetua” e viene conclusa, scrive il nipote del Papa Bonelli al nunzio in Spagna, «per servizio del Cristianesimo» (53). Nonostante Pio V non abbia inviato alcun Legato Papale alla flotta cristiana, egli, come sottolinea Jedin, si è considerato come il vero capo della Lega Santa, in quanto egli si sentiva ancora capo della christianitas e tale la considerava. «La lega del 1571 – ribadisce lo storico tedesco – era concepita dal Papa come l’inizio dell’impresa di una crociata, essa era posta sotto l’idea di crociata» (54).

Quando Marcantonio Colonna I’11 giugno 1571 prestò giuramento nella cappella papale, ricevette dalle mani del Papa, oltre al bastone del comando, una bandiera di seta rossa. Su questa bandiera era impresso il Cristo crocefisso tra i principi degli apostoli Pietro e Paolo; sotto di essi vi era lo stemma di Pio V e come motto: In hoc signo vinces. «Il Cristo crocefisso non è una semplice immagine di Cristo, ma la croce dei crociati: Pietro e Paolo simbolizzano non solo che il Colonna comanda il contingente papale, ma che la Chiesa romana e il suo capo, il Papa, si identificano nell’impresa. Il motto in hoc signo vinces mostra come la guerra sia una guerra di fede» (55).

Le considerazioni di Jedin si potrebbero estendere alla difesa di Vienna e alla riconquista di Buda promossa dal Beato Innocenze XI tra il 1683 e il 1686: anche in questo caso, al di là della denominazione, il fine attribuito all’impresa dall’autorità pontificia e gli effetti oggettivi che essa ebbe permettono di ricondurla alla categoria metagiuridica della crociata.

Riley-Smith ricorda da parte sua il ruolo dell’Ordine di Malta in quasi tutte le leghe e le campagne per contrastare sul mare l’espansionismo islamico, da Lepanto alla guerra di Candia che lo impegnò accanto alla Repubblica di Venezia, per ben 25 anni dal 1645 al 1699 (56). L’ultimo grande impegno fu la partecipazione alla guerra veneto-turca del 1715-1718, culminata con la presa di Dulcigno del 1 agosto 1718.

Nei cinque secoli che intercorrono tra la caduta di San Giovanni d’Acri nel 1291 e l’occupazione napoleonica dell’isola di Malta nel 1798, i cavalieri giovanniti costituirono la vis armata più fedele alla Santa Sede, senza che mai tramontasse l’antico ideale crociato. «L’Ordine – osserva mons. Giovanni Scarabelli – con la sua attività e appello continuo allo spirito della “crociata perenne”, rappresenta quasi una specie di “coscienza critica” per i Paesi dell’Europa avviati ad una cultura sempre più superficialmente cristiana» (57).

Il 12 giugno 1798, Napoleone dopo aver occupato l’isola di Malta in violazione delle convenzioni internazionali che ne garantivano la neutralità di fronte alle potenze cristiane, costringeva alla resa il Gran Maestro Fra’ Ferdinando von Hompesch. Con la perdita di Malta, l’Ordine non cessava la sua vita, ma si chiudeva indubbiamente un’epoca storica.

I cavalieri giovanniti non furono strictu sensu crociati, per quanto religiosi professi permanentemente dediti alla difesa della cristianità, cosi come non furono stricto sensu crociate le leghe sante promosse da Pio V e da Innocenze XI. Eppure queste imprese, come ha ben visto Riley Smith, rientrano nel grande quadro storico di insieme. «La migliore cosa credo – scrive lo storico inglese – è considerare le crociate l’espressione di un movimento che le sottendeva tutte e che trovò anche altri sbocchi, un movimento che perdurò oltre le crociate e si concluse soltanto nel 1798 con la cessione di Malta a Napoleone Bonaparte da parte degli ospedalieri di San Giovanni» (58).

L’affermazione di Riley-Smith secondo cui le crociate finirono con la caduta di Malta il 13 giugno del 1798 (59), mi sembra possa essere condivisa, almeno sul piano simbolico. All’epoca delle crociate, che è l’epoca della cristianità, segue, dopo la Rivoluzione francese e Napoleone, l’epoca della Rivoluzione, con cui la stessa Restaurazione si pone in continuità, come dimostra il fatto che gli artefici del Congresso di Vienna, sacrificheranno sull’altare della ragion di Stato la Repubblica di Venezia e l’Ordine di Malta (60).

Nessuna crociata fu bandita dalla Santa Sede, in un’epoca che vedeva l’eclissi dello spiritus effusionis sanguinis. la perdita della vis armata della Chiesa, e con essa di quella stessa potestas coactiva che ne costituiva il presupposto. Con forse una sola parziale eccezione che non inficia, ma conferma il quadro fin qui tracciato: l’estrema difesa del territorio pontificio, culminata, nella resistenza ai piemontesi del 20 settembre 1870. Qualcuno l’ha definita, non impropriamente, l’ultima crociata (61).

Note

1) Steven Runcinan, Storia delle Crociate. Tr. It. Einaudi, Torino 2005, 2 voll

2) La bibliografia sulle crociale è vastissima (un sussidio, fino al 1962, è A. S. Atiya, The Crusade. Historiography and Bibliography, Bloomington 1962, da integrare con H.-E. Mayer, Bibliographie zur Geschichte der Kfezzùge, Hahnsche Buchhandlung, Hannover 1960, con suppl. 1958-1968 in “Histonsche Zeitschrift”, Sonderheft 9 (1969), pp. 641-731; F. Cardini, La crociata, in Aa. Vv., Il Medioevo, vol. Il: Popoli e strutture politiche, Utet, Torino 1986, pp. 393-426. Una prima distinzione è possibile tra la storia del “movimento” e quella dell’ “idea”. Sul movimento cf.: R. Grousset, Histoire des croisades et du royaume franc de Jérusalem. Perrin, Paris 1999 (1934-1936); P. Rousset, Histoire des croisades, Payot, Paris 1957; F. Cognasso, Storia delle crociate, Dell’Oglio, Varese 1957; K. M. Setton, (a cura di) A Historyof the Crusades, University of the Pennsylvania Press, Philadelphia 1955-1989,4 voll.; fd., The Papacy and the Levart (1204-15711, The American Philosophical Society, Philadelphia 1976, 2 voll.; H.-E. Mayer, Geschichte der Kreuzzuge, W. Kohihammer, Stuttgart 1965; S. Runciman, Storia delle Crociate, cit.; M. Balard, Les Croisades et l’Orient latin, Colin, Paris 2001; J. Richard, La grande storia delle crociate, tr. it. Newton Compton, Roma 1999; J. Riley-Smith, Breve storia delle Crociate, tr. it., O. Mondadori, Milano 1994; T. F. Madden, Le Crociate. Una storia nuova, Lindau, Torino 2005. Sull’idea e lo spirito di crociata, cf. C. Erdmann, Alle origini dell’idea di crociata, (1935) tr. it. Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1996; M. Villey, La Croisade. Essai sur la fondation d’une théorie juridique, Vrin, Paris 1942; P. Alphandery – A. Dupront, La Cristianità e l’idea di Crociata (1954), tr. it. Il Mulino, Bologna 1983 (nuova ediz. con una postfazione di Michel Balard, Albin Michel, Paris 1995); Richard, L’Esprit de la croisade, Cerf, Paris 1977; E. Delaruelle, L’idèe de croisade au Moyen Age, La Bottega d’Erasmo, Torino 1980; J. Riley-Smith, The Crusades: Idea and Reality, 1095-1274, E. Arnold, London 1981; Id. The First Crusade and the Idea of Crusading, Athlone, London 1993; Militia Sancti Sepulcri, Idea e Istituzioni: Atti del Colloquio intemazionale tenuto presso la Pontificia. Università del Laterano, 10-12 aprile 1996, a cura di K. Elm e C. D. Fonseca, Città del Vaticano 1998; P. Rousset, Histoire d’une ideologie. La Croisade, L’Age d’Homme, Lausanne 1999; J. Flori, La guerre sainte. La formation de l’idèe de croisade dans l’Occident chrétien, Aubier, Paris 2001.

3) A. Demurger, La Croisade au Moyen Age, Nathan, Paris 1998, pp. 111-114.

4) Su Erdmann, cf. in particolare L. Garcia – G. Ramos, Los origines del movimento cruzado. La tesis de Erdmann y sus crìticos en la segunda mitad del siglo XX, in As ordens militares e as ordens de cavalleria na construcào do Mundo Ocidental, a cura di Isabel Cristina F. Femandes, Edicoes Colibrì, Lisboa 2005, pp. 87-110.

5) Mi riferisco non solo all’opera classica di F. Cardini, Studi sulla storia e sull’idea di crociata, Jouvence, Roma 1993, ma anche a saggi più recenti, come L’idea di “Crociata” nelle insorgenze italiche, in: Aa. Vv., Le insorgenze popolari nell’Italia napoleonica, Ares, 2001 ; In Terrasanta, II Mulino, Bologna 2002; Europa e Islam, Storia di un malinteso, Laterza, Roma 2003; L’Invenzione dell’Occidente, II Cerchio, Rimini 2004.

6) F. Cardini Europa e Islam. Storia di un malinteso, cit. p. 88.

7) F. Cardini, Studi sulla storia e sull’idea di crociata, cit., p. 186

8) Tra i numerosi studi di A. M. Stickler, cf: Il potere coattivo materiale della Chiesa nella Riforma gregoriana secondo Anselmo di Lucca, in “Studi gregoriani”, II (1947), pp. 235-285: Id., Il “gladius” negli Atti dei Concili e dei Pontefici sino a Graziano e a Bemardo di Clairvaux, “Salesianum”, 13 (1951), pp. 414-445. Su questi aspetti, cf. anche J. A. Brundage, Medieval Canon Law and the Crusader, University of Wisconsin Press, Madison 1969; P. Bellini, “Bellum Romanum”: sulla fondazione canonistica della crociata in Terra Santa, in La nozione di Romano, tra cittadinanza e universalità, Napoli 1984.

9) Cf. il testo fondamentale di R. Castillo Lara, Coacción eclesiastica y Sacro Romano Imperio, Pontificio Ateneo Salesiano, Augusta Taurinorum 1956.

10) Sant’Agostino, De Civitate Dei, lib. 19, e. 12,1.

11) Ibid., c. 13

12) Sant’Agostino, Quaest. In Heptateuch., in Iosue, VI, q. 10, col. 781

13) Sant’Agostino, Epistola al conte Bonifacio, coll. 855-856

14) Sant’Agostino, De Civitate Dei, lib. 19, c. 30

15) Ibid.

16) Y. de Briere, le droit de Juste guerre. Tradition théologique, adaptations contemporaines, A Pedone, Paris 1938, pp.30-31

17) San Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, ll-llae, q.29, art. 2, ad 3.

18) Ibid., q. 40, a. 1, resp.

19) Sant’Agostino, Contra Faustum, lib. 22, c. 75, col. 448.

20) Sant’Agostino, Quaest In Heptateuch., in losue, VI, q. 10, col. 781.

21) Sant’Agostino, Contra Faustum, lib. 22, c. 74, col. 447

22) Ulpiano, liber 1 § 27, de vi, 43,16.

23) San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II llae, q-108, art. 1 e 2.

24) Ibid. art. 1.

25) Ibid. art. 2.

26) Analogamente, in campo morale, i teologi distinguono tra il fine di chi agisce (finis ope­rante) e il fine insito nell’oggetto stesso dell’azione (finis operis). Cf. R. G. de Maro, La vita cristiana, Ares, Milano 1995, pp. 276-283.

27) op. cit., pp. 59-61; C Erdmann, op. cit., pp. 181-200.

28) C. Erdmann, op. cit., p. 186.

29) L’idea che il Papa fosse il capo naturale della crociata già emerge nell’epistola che i capi crociati spediscono nel settembre 1098 a Urbano II da Antiochia, dopo la morte del Legato pontificio Ademaro (cf. H. Roscher, Papst Innozenz III und die Kreuzzùge, Vandenhoeck u. Ruprecht, Gòttingen 1969, pp. 31 sgg.

30) M. Villey, op. cit., p. 81.

31) R. Castillo Lara, op. cit., p. 86.

32) T. F. Madden, Le crociate, cit.

33) Cf. J. O’Callaghan, Reconquest and Crusade in Medieval Spain, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2003; D. W. Lomas, The Reconquest of Spain, Longman, New York 1978.

34) Graziano, nella causa XXIII del suo Decretum, definisce il iustum bellum in questi termini: «Iustum est belium quod ex edicto geritur de rebus repetendis, aut propulsandorum iustium causa» (Decretum. c. XXIII, q 12, coll. 1166-1167). Sulla guerra giusta nella cultura europea, cf. F. H. Russell, The Just War in the Mtddle Age, Cambridge University Press, Cambridge 1975; M.Villey, op. cit.,pp. 21-22; R. De Mattei, Guerra Santa. Guerra Giusta, Piemme, Casale Monferrato 2001 ; E. Di Rienzo, Guerra civile e guerra giusta nella prima crisi dello “jus publicum eurupaeum”, in “Filosofia politica”, 3 (dicembre 2002), pp. 375-390; “Guerra giusta”? Le metamorfosi di un concetto antico, a cura di Antonello Calore, Giuffré, Milano 2003. Il rapporto tra crociate e guerra giusta è al centro del volumetto di J. Riley-Smith, What were the crusades?, Palgrave, London 2002 (1997).

35) Cf. R. Castillo Lara, op. cit., pp. 7-10.

36) op. cit, p. 115.

37) A. Ilari, Luoghi santi: Musulmani e Ordini monastico-militari, in “Studi Melitensi”, IX (2001 ),pp.

38) San Bernardo, Liber ad milites Templi. De laude novae militiate, Introduzione, traduzione e note di C. D. Fonseca, in San Bemardo, Trattati, Milano 1984 (Opere di san Bernardo a cura di F. Gastaldelli, I) pp. 425-484.

39) San Bernardo di Chiaravalle, De Laude novae Militiae, cit, col. 924.

40) R. Castillo Lara, op. cit., p. 109.

41) Jean Richard, L’esprit de la croisade, Cerf, Paris 1969, p. 33.

42) Francois Vallancon, De la Croisade, in “Sedes Sapientiae”, 53 (automne 1995), p. 32.

43) Saverio Guida, Canzoni di crociata, Mondadori, Milano 2001, p. 165.

44) P. Alphandéry-A. Dupront, op. cit., pp. 19-48.

45) J. Richard, op. cit., p. 52; M. Villey, op. cit., pp. 85-88.

46) J. Riley-Smith, Crusading as an act of love, in “History. The Journal of Historical Association”, 65, 213 (february 1980), pp. 177-191; ora in The Crusades, ed. by Thomas Mad-den, Blackwell, Oxford 2003, pp. 31-50.

47) Eugenio III, Epistola ad Ludovicum regem Galliarum, 48, in Epistolae et privilegia, in Patrologia Latina, 180, col. 1064.

48) J Richard, op. cit. p. 30

49) Cf. massimo Vigljone, “…Rizzate el gonfalone della santissima croce”. L’idea di crociata in santa Caterina da Siena. CNR-lstituto di Storia dell’Europa Mediterranea, Cagliari 2007.

50) Sulla continuità dell’ideale crociato, cf tra l’altro: N. Housley, The Later Crusades, 7274-1580. From Lyon to Alcazar, Oxford University Press, Oxford 1992; J. Riley-Smith, Breve storia delle crociate, cit., pp. 275-328; M. Viglione, II problema della crociata dal II Concilio di Lione alla morte di Pio lI (1274-1464), in “Ricerche di Storia sociale e religiosa”, XXVII, 54(1998).

51) H. Jedin, Papa Pio V, la Lega Santa e l’idea di crociata, in Chiesa della fede. Chiesa della storia, Morcelliana, Brescia 1972, pp. 703-722.

52) Ibid., p. 714.

53) Ibid., p. 715.

54) Ibid., p. 718.

55) Ibid., p. 715.

56) J. Riley-Smith, Breve storia delle crociate, cit, p. 326.

57) G. Scartabelli op. cit., p.54.

58) J. Riley-Smith, Breve storia delle crociate, cit., p. 29.

59) Ibid.. p. 326.

60) U. Castagnini Berljnghieri, “Questione maltese” e principio di legittimità al Congresso di Vienna, in “Nova Historica”. 2 (2002), pp. 51-66.

61) Cf. P. Raggi, La nona crociata. I volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870). Libreria Tonini, Ravenna 1992.