L’epopea dei cristiani di Shimabara

samurai_coverRassegna Stampa

Al prefetto del pretorio che gli domanda se c’è in lui una volontà di morte, il senatore romano Apollonio, condannato sotto Commodo nel 185, durante una delle ricorrenti persecuzioni, risponde: «Volentieri vivo, ma l’amore della vita non mi induce ad avere paura della morte, perché niente è più prezioso della vita eterna, che è l’immortalità dell’anima che in questa vita ha vissuto bene».

E vive bene chi segue Cristo e i suoi comandamenti. La costatazione di questa semplice verità ha fatto si che la storia della Chiesa, in ogni epoca e in ogni luogo, si sia lastricata di martiri; alcuni noti e venerati, altri sconosciuti.

Tra quelli per lo più ignoti a noi occidentali vi sono gli oltre cinquantamila cristiani di Shimabara, penisola ad est di Nagasaki, nell’isola giapponese di Kyushu. Di loro si è occupato nel 2003 Rino Cammilleri, apprezzato saggista e giornalista, con un articolo pubblicato sul mensile Il Timone, che oggi torna sull’epopea di quegli eroici cristiani con un libro edito da Rizzoli: Il crocefisso del samurai, in questi giorni nelle librerie: un avvincente e commovente romanzo che nello stile consueto dell’autore unisce al ritmo incalzante della narrazione una puntuale ambientazione storica.

Anticipiamo di seguito una intervista che sarà pubblicata su Il Corriere del Sud, a cura di Andrea Bartelloni

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Il Giappone è un paese lontano da noi non solo geograficamente, ma anche e soprattutto da un punto di vista culturale, filosofico e religioso. Sicuramente non mancano testi e manuali che approfondiscono la storia e la cultura di questo paese, ma, spesso, il romanzo e quello storico in particolare, sono efficaci veicoli di conoscenza.

Rino Cammilleri è un autore di saggi e romanzi. Ultimamente ci ha abituati a letture che portano ad approfondire la storia dei periodi in cui si svolgono le vicende raccontate. Non fa eccezione la sua ultima fatica che affronta la storia del Giappone, degli anni dal XVI al XIX secolo, attraverso la storia dell’evangelizzazione cristiana.

Ne parliamo con l’autore iniziando a chiedergli cosa lo ha spinto ad affrontare questo periodo di storia e della storia di questo particolare paese.

«Ci sono state, nella storia, situazioni in cui i cristiani perseguitati hanno cercato di difendere il loro diritto alla libertà religiosa con le armi. Questi episodi sono poco conosciuti, anche perché per certa sensibilità odierna il cristiano dovrebbe solo fare il martire e non reagire al sopruso. Ma la Chiesa ha una precisa dottrina sulla «guerra giusta» che il cristiano può, se del caso, intraprendere. Così, ho voluto far conoscere un episodio cruciale della cristianità giapponese, la grande rivolta cristiana del 1638, di cui solo pochi sanno, sebbene sia fondamentale per l’intera storia del Giappone. Letta nella giusta prospettiva, quella cattolica, è ignota anche ai giapponesi stessi».

L’evangelizzazione del Giappone ha caratteristiche particolari, ma nello stesso tempo simili a quella delle nazioni “barbare” dell’Europa. Dove stanno le analogie e le differenze?

«Il primo evangelizzatore, s. Francesco Saverio, si rese presto conto della similitudine: se si fossero convertiti i capi, il popolo avrebbe seguito l’esempio. Così, in breve tempo, parecchi signori feudali del Giappone accettarono il battesimo e i cristiani arrivarono prestissimo alle 300mila unità. Ma fu proprio questo a perderli: quando lo Shogun si accorse che i battezzati obbedivano a Dio piuttosto che a lui, iniziò la persecuzione».

C’è una parte del suo libro (la vicenda si svolge tra il 1637 e il 1638) dove i cristiani superstiti della prima evangelizzazione fanno una specie di esame al sacerdote che li trova. Quali insegnamenti possiamo trarne?

«I gesuiti evangelizzatori avevano insegnato ai loro padri che la Cristianità era divisa e che parte dell’Europa era diventata protestante. I discendenti dei pochi cristiani giapponesi sopravvissuti alle persecuzioni, quando nel XIX secolo incontrarono un missionario, vollero accertarsi che fosse cattolico. Una buona evangelizzazione, operata in profondità e accolta di cuore, non si cancella e, concretizzandosi nella virtù della speranza, attraversa i secoli».

Il popolo giapponese ha un carattere estremamente forte, estremo in tutte le sue manifestazioni, è forse questo che ha consentito ai personaggi del suo romanzo di conservare la fede?

«I personaggi del mio romanzo, tranne pochissimi, sono tutti realmente esistiti. I giapponesi erano (e sono) educati fin da piccoli all’autodisciplina e alla fedeltà fino alla morte alle istanze superiori. I pagani usavano questa loro virtù con l’Imperatore, i cristiani lo fecero (e lo fanno) con Cristo».

Nagasaki. È una città che si ritrova spesso come sede di persecuzioni dei cristiani. La bomba atomica del 1945 è forse stata l’ultima di queste?

«Nagasaki era il porto obbligato per gli occidentali e là si concentrava la maggior parte dei cristiani. Furono decimati là nel 1638 e una seconda volta nel 1945. Le bombe furono due, una a Hiroshima e l’altra a Nagasaki. Ancora oggi, nelle commemorazioni, si usa dire da quelle parti che “Hiroshima protesta, Nagasaki prega”. In fondo, tutt’ora gli storici non hanno una spiegazione soddisfacente sul perché si volle colpire con l’atomica non una ma due volte, e la seconda proprio a Nagasaki».

Padre Bernard Petijean, il gesuita al quale viene raccontata l’epopea dei cristiani giapponesi da parte dei discendenti dei superstiti, fa un paragone tra le persecuzioni subite in Giappone e quelle che i cristiani dell’Africa mediterranea subirono da parte dei musulmani. Dove stanno, se ci sono le differenze?

«Tranne alcuni casi, l’Africa romana non subì una persecuzione religiosa ma una conquista militare. I musulmani tolleravano i cristiani, purché restassero nella posizione subordinata di dimmi. Non così in Giappone, dove il cristianesimo, a differenza di tutte le altre fedi (buddismo, shintoismo, confucianesimo), fu quasi completamente cancellato».

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Rino Cammilleri Il crocifisso del samurai Rizzoli, 2009

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