Solidarietà e confusione: il caso Eluana Englaro.

Eluana_Englaroil Foglio, 17 luglio 2008

Caro Direttore,

voglio esprimerLe, insieme all’adesione all’iniziativa”Acqua per Eluana Englaro”, il ringraziamento per avere – insieme a pochi altri, e purtroppo non a tutti coloro che pure si dicono pubblicamente cattolici – fatto finalmente chiarezza sulla natura della questione di cui stiamo parlando.

Il caso di Eluana non c’entra nulla con il diritto a rifiutare cure mediche o forme di accanimento terapeutico, perché l’alimentazione e l’idratazione – mangiare e bere – non sono cure mediche.

Anche sul testamento biologico è giusto che ciascuno esponga chiaramente le sue posizioni, ma senza inganni e senza giri di parole. Possiamo discutere sull’esatta natura, giuridica e morale, di un testamento biologico dove si chieda anticipatamente di sospendere talune cure mediche in caso di malattia terminale senza speranza di guarigione.

Possiamo anche discutere su un documento dove nel caso di certe malattie si chieda anticipatamente l’interruzione della somministrazione di acqua e cibo. Quello che non dovremmo fare è definire pudicamente il documento, in questo secondo caso, “testamento biologico”, perché si tratta a tutti gli effetti di un consenso anticipato all’eutanasia, che – precisamente come temono i vescovi – introdurrebbe nel nostro ordinamento giuridico l’eutanasia senza chiamarla con il suo nome.

Il 1° agosto 2007 la Congregazione per la dottrina della fede nel documento “Risposta a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiali” aveva appunto pazientemente spiegato che l’interruzione della somministrazione di cibo e acqua non costituisce interruzione di cure mediche ma soppressione deliberata di una vita umana, cioè eutanasia.

All’epoca del documento alcuni “cattolici adulti” nostrani avevano avanzato la solita obiezione: la Congregazione per la dottrina della fede si occupi dei cattolici ma non pretenda d’ingerirsi negli affari dello Stato.

In altre parole – si diceva – i cattolici sono liberi di non chiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione per sé e per i loro cari ma non possono impedire che la chiedano altri, non credenti, che ragionano in base a principi morali diversi.

Ma anche qui – a chiamare le cose con il loro nome – tutto si chiarisce. Basta sostituire le parole “sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione” con la parola “omicidio” (in effetti, si può certamente commettere un omicidio per omissione: se una madre smette di dare da mangiare e da bere a un neonato che non è in grado di procurarsi cibo e bevande da solo, il neonato muore).

Neppure il più forsennato dei relativisti sottoscriverebbe una frase come: “I cattolici sono liberi di non commettere omicidi ma non possono impedire che li commettano altri, che ragionano in base a principi morali diversi”.

La verità è che quando il Papa, i vescovi e la Congregazione per la dottrina della fede ricordano che somministare cibo e bevande non è una cura medica non desumono questo dato da un versetto della Bibbia ma dalla ragione e dal semplice buon senso.

E i dati di ragione e di buon senso fanno parte di quelle regole del gioco su cui si regge la società, e che obbligano tutti: cattolici e buddhisti, credenti e non credenti. Se viene meno questa che il Papa chiama “grammatica della vita sociale” viene meno, propriamente, la società e il diritto della ragione è sostituito dalla semplice violenza del più forte. Che il più forte, qualche volta, sia vestito da giudice non cambia la sostanza delle cose.

Con stima

Massimo Introvigne

(A.C. Valdera)