“Amoris laetitia” l’enciclopedia di papa Francesco sulla famiglia

lettera_papaLa Nuova Bussola quotidiana

8 aprile 2016

di Massimo Introvigne

È stata pubblicata l’8 aprile l’esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia Amoris laetitia, formalmente datata 19 marzo 2016, Festa di San Giuseppe, che fa seguito ai due Sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015 e consta di nove capitoli, 325 paragrafi e 264 pagine complessive. Prima di provare a presentare questo testo enciclopedico, va premessa obbligatoriamente un’osservazione.

Il Papa stesso all’inizio del documento mette in guardia contro tutte le «letture generali affrettate» e ogni commento che non parta da un esame attento dell’intero documento. Un esame, evidentemente, impossibile a caldo. Nello stesso tempo è evidente che testate quotidiane come la nostra non possono esimersi dal presentare subito il testo ai lettori. Quella che propongo dunque è una presentazione, spero fedele, della semplice “architettura” del documento, che privilegia la struttura generale sugli aspetti particolari. Non è, in nessun modo, un commento, né ovviamente presenta le mie opinioni o reazioni al testo, che tutti dovremo approfondire e digerire nei prossimi giorni. Se posso dare un consiglio, è proprio quello di leggere con calma l’intero documento, che ha fra l’altro numerosi passaggi dotati di una loro bellezza anche letteraria

Il fatto che la Sala stampa della Santa Sede abbia fornito anche una sintesi è una cortesia per i giornalisti. Ma si rivelerà un boomerang se i cronisti leggeranno, o peggio commenteranno, solo la sintesi senza accedere al testo completo, che tra l’altro interviene su temi di grande attualità – uno per tutti: le leggi che riconoscono le unioni civili fra persone dello stesso sesso sostanzialmente equiparandole al matrimonio, che sono condannate senza ambiguità – di cui nel riassunto sintetico non si trova nessuna menzione. Trattandosi di fare emergere l’architettura del testo, occorre seguire la sua divisione in nove capitoli

Una premessa indica che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero», e precisa che «nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano». E il Papa mette in guardia sia contro il «desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento», sia contro «l’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche».

Il primo capitolo presenta alcuni insegnamenti sull’amore familiare tratti dalla Sacra Scrittura. Il Papa nota che, proprio all’inizio della Bibbia e contro ogni prospettiva gnostica, è rivendicata la bontà della differenza sessuale fra l’uomo e la donna. «Sorprendentemente, l’ “immagine di Dio” ha come parallelo esplicativo proprio la coppia “maschio e femmina”». Francesco segue poi la traccia del Salmo 128, commentandolo passo passo. Più in generale, il capitolo nota che la Scrittura è una storia di famiglie, con le loro gioie e i loro dolori.

Lo sguardo della Parola di Dio sulla famiglia è molto realistico. «Non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino». La Scrittura esalta la bellezza dell’amore sponsale e la gioia dei figli, ma presenta anche «un sentiero di sofferenza e di sangue» che la famiglia deve attraversare nella storia, e che spesso riesce a superare grazie a «una virtù piuttosto ignorata in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali: la tenerezza».

Nel secondo capitolo, dalle vette del messaggio biblico il Papa scende ai «piedi per terra» della realtà attuale, che vede l’istituzione familiare ampiamente in crisi, anche se non va sottovalutata la sua capacità di resistere e va evitata una cultura della lamentela sterile. Il Papa cita fra le cause della crisi l’accelerazione del «ritmo di vita attuale» – un tema caro ai sociologi che studiano il tempo – e l’individualismo che induce molti giovani a diffidare del matrimonio e della famiglia o ad averne paura. Ma «come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano». Tra le conseguenze della crisi, il Papa ricorda la rottura dell’unità familiare spesso causata dalle migrazioni, la mentalità antinatalista, l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, la pornografia, la droga, l’abuso dei minori, la trascuratezza verso i disabili e gli anziani, la violenza sulle donne di cui molti parlano evitando però di denunciare le sue forme costituite dalla «pratica dell’“utero in  affitto” o la strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica».

«Contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto» sono «inaccettabili anche in luoghi con alto tasso di natalità, ma è da rilevare che i politici le incoraggiano anche in alcuni Paesi che soffrono il dramma di un tasso di natalità molto basso». Per le autorità, questo è «agire in un modo contraddittorio e venendo meno al proprio dovere». Dura la condanna anche di «un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia». Ed è grave quando la teoria del gender cerca di «imporsi come un pensiero unico che determina anche l’educazione dei bambini». Occorre evitare la tentazione di «non riconoscere più la decadenza culturale» o di rinunciare a denunciarla. D’alto canto, è difficile far comprendere, specie ai giovani, la bellezza dell’amore familiare «solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla Grazia».

Il terzo capitolo presenta il Magistero della Chiesa sulla famiglia. Un’ampia sintesi rivendica il carattere profetico e sempre attuale dell’enciclica Humanae vitae del Beato Paolo VI è dei testi di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ribadisce che la Chiesa non può in alcun modo rinunciare ad annunciare la sua dottrina secondo cui il matrimonio è indissolubile, perché «nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo». Questo non toglie che forme di impegno positivo almeno potenziali possano essere riscontrate – ma al fine di accompagnarle verso la «conversione» e dove possibile verso «il sacramento del matrimonio» – anche tra coloro che vivono forme di convivenza diverse da quella matrimoniale. «Mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».

Il quarto capitolo è un inno all’amore matrimoniale, fatto di pazienza, amabilità, tenerezza, fiducia, perdono. Non manca un accenno alle gioie della bella tavola e della buona cucina, con una citazione del film prediletto dal Papa, «Il pranzo di Babette». Dal Concilio Vaticano II e dal ricco Magistero di papa Wojtyla sul corpo umano si ricava l’insegnamento secondo cui il matrimonio non si riduce alle sue componenti affettive e sessuali, tuttavia queste non vanno sottovalutate, ma vanno anzi valorizzate. Se «non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si spersonalizza ed anche si colma di patologie», in generale «in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi».

Verginità e celibato sacerdotale non negano questo insegnamento, ma con la loro speciale testimonianza, che non è per tutti, lo rafforzano. Il Papa accenna pure alla «trasformazione dell’amore» negli anziani, quando «il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni». «L’aspetto fisico muta, ma questo non è un motivo perché l’attrazione amorosa venga meno. Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore».

Il quinto capitolo presenta la fecondità dell’amore: la bellezza della gravidanza, della nascita, delle relazioni familiari che si estendono ai nonni, ai fratelli, alle sorelle, agli zii e si allargano ad abbracciare nella solidarietà politica ed ecclesiale i più poveri e i più bisognosi. Si fa anche cenno al fatto che la nostra è spesso una «società senza padri», che ha assoluto bisogno di ritrovare il senso sia dell’essere padre sia dell’essere figlio.

Nel sesto capitolo il Papa affronta il problema della pastorale familiare, rilevando come spesso i sacerdoti non abbiamo una preparazione sufficiente per fare fronte alle sfide che si pongono alla famiglia nel XXI secolo. Se sono poco preparati i sacerdoti, e va quindi migliorata la formazione sul punto nei seminari, anche i laici e i fidanzati arrivano spesso mal preparati al matrimonio, a causa della cattiva qualità dei corsi prematrimoniali nelle parrocchie, che andranno dunque rivisti e riformati. I sacerdoti dovranno anche imparare ad accompagnare i primi anni di matrimonio, spesso difficili, i vedovi, e le persone separate o divorziate. Dopo avere sottolineato l’importanza della recente riforma della procedura canonica per il riconoscimento della nullità matrimoniale, il Papa invita a ribadire anzitutto che «il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi».

Nello stesso tempo, «ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale. Queste situazioni esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità», mai però a scapito della «testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale», cui la Chiesa non può rinunciare. Un rapido cenno è dedicato alle persone omosessuali, che vanno accolte, come insegna il «Catechismo della Chiesa cattolica» con «rispetto, compassione e delicatezza».

Quanto però al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, il Papa fa sue integralmente le conclusioni del Sinodo del 2015. «Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia ed è inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».

Il settimo capitolo è dedicato all’educazione. Ribadisce i principi della dottrina sociale della Chiesa in materia di libertà di educazione e presenta elementi di pedagogia per fare fonte alla crisi educativa attuale. Afferma che la Chiesa oggi accetta l’educazione sessuale, purché non abbia come risultato quello di «banalizzare e impoverire la sessualità» e si colleghi a una integrale «educazione all’amore». È sbagliato educare al «sesso sicuro» insegnando a usare gli anticoncezionali, perché così si promuove «un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza».

Il capitolo ottavo era certamente molto atteso, perché è quello che riguarda le situazioni di fragilità – in particolare quelle dei divorziati risposati – e il loro statuto nella Chiesa. Deludendo certamente qualche aspettativa giornalistica, il Papa afferma che non ci si doveva aspettare «da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi». Si possono ammettere alla comunione, in alcuni casi, i divorziati risposati? Il Pontefice risponde appunto di non volere promulgare una «nuova normativa». Vescovi e sacerdoti dovranno ribadire le «norme generali» per cui il matrimonio è indissolubile e il divorzio è sempre un male.

Nello stesso tempo è loro affidato «un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari». «I divorziati che vivono una nuova unione possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento» dei singoli casi, dove colpe, responsabilità e «circostanze attenuanti» possono essere molto diverse. Il discernimento «dovrebbe riconoscere che, poiché il “grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi», e questo – precisa una nota a piè di pagina – «nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave».

Francesco invita «i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale». Ai pastori, il Papa raccomanda la «logica della misericordia», la quale considera che, «pur conoscendo bene la norma», «in determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni».

Infine, il nono capitolo presenta la spiritualità coniugale e familiare, e riafferma con forza che la condizione matrimoniale non è un ostacolo e neppure una via minore alla santità. «Coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica». La preghiera conclusiva del lungo documento è un esempio di questa spiritualità.