Gerarchie giuste e necessarie

gerarchieTradizione, Famiglia, Proprietà

n.68 –marzo 2016

 Assistiamo oggi a un lento e continuo movimento verso l’uguaglianza totale in ogni campo. Si tratta di un fenomeno spontaneo? Oppure di un preciso disegno rivoluzionario? Alcune riflessioni in merito, tratte dagli scritti del prof. Plinio Correa de Oliveira.

a cura di Diego Zoia

Non vi è oggi alcuna trasformazione che non produca, che non favorisca, direttamente o no, l’incamminarsi della società verso uno stato di cose completamente egalitario. Ciascuno di noi è testimone di molteplici vicende, fra loro forse non connesse, che apportano piccole modifiche nella vita quotidiana in senso sempre più egalitario.

Un movimento lento e continuo verso l’uguaglianza totale

Così, ad esempio, i rapporti fra professori e allievi. Non molto tempo fa, il rispetto dovuto al professore si manifestava in diversi modi: ci si alzava in piedi quando entrava in classe; nessuno avrebbe tenuto in testa un cappello in sua presenza, né si sarebbe permesso di rivolgersi a lui in modo grossolano e via dicendo.

L’ineguaglianza fra professori e allievi, che è giusta e necessaria, cominciò a svanire dopo il maggio del 1968. Poco alla volta, l’autorità del maestro andò scomparendo. Mentre il maestro cercava di essere nient’altro che un simpatico compagnone, l’allievo non voleva altro che il proprio divertimento. Tali cambiamenti, però, sono avvenuti gradualmente. Pochi se ne sono accorti. Alla fine, l’insegnamento ha subito un radicale mutamento.

Lo stesso si può affermare delle regole di cortesia e del savoir-vivre. Prima, un giovane doveva alzarsi, sui mezzi pubblici, per cedere il posto a una persona più anziana, un uomo doveva cedere il passo a una signora, o aprirle la porta. Tali segni di educazione mostrano delle ineguaglianze giuste e necessarie. Tuttavia, giorno dopo giorno, stanno diventando sempre più rari. Siccome, però, l’abbandono dei modi cortesi avviene poco a poco, così anche questo processo è impalpabile. Ce ne accorgeremo, con sorpresa, solo quando si sarà giunti a certi estremi.

Quando si introducono nella vita quotidiana di oggi tali cambiamenti, è sempre con l’intento di livellare e di abolire utili segni di preminenza o di superiorità.

L’assommarsi di tali mutamenti configura una rivoluzione, che tuttavia procede per lo più inavver­titamente, poiché per ciascuna di queste piccole trasformazioni si riesce a trovare una puntuale giustificazione. Questa rivoluzione egalitaria non esplode come una bomba; è invece impalpabile, quasi fosse un anestetico sprigionato nell’aria.

L’egalitarismo s’insinua negli aspetti esteriori dell’esistenza, nel modo di comportarsi in società, o ancora nel campo dell’economia, della politica, della religione, delle relazioni internazionali, della cultura, e addirittura nel rapporto stesso fra gli uomini e Dio. Senza dubbio, l’aspetto più cospicuo della nostra epoca sembra essere questa vasta rivoluzione, che orienta a proprio vantaggio il corso degli eventi in un lungo processo (talvolta graduale e surrettizio, talvolta dichiarato e brutale), allo scopo d’instaurare nel mondo l’eguaglianza totale.

Questo immenso movimento, che è in marcia da molti secoli, genera un potente flusso che avanza senza fermarsi, alternando mulinelli lenti e profondi, sbalzi bruschi e passaggi di calma apparente

Qualche esempio dell’avanzata del movimento egalitario universale

Negli aspetti esteriori dell’esistenza, si nota la tendenza a sfumare sempre di più la naturale differenza fra i sessi. I modelli maschi che sfilano nelle passerelle, per esempio, sono sempre più spesso androgini. Contemporaneamente, si assiste alla svalutazione, alla deviazione, all’inversione dell’immagine della virilità. Quanto alle donne, è da quasi un secolo che han cominciato a tagliarsi i capelli alla garçon, iniziando un percorso che le ha condotte fino ad abbigliarsi quasi fossero uomini, nel nome di una falsa “liberazione”, rinunciando così all’eleganza, allo charme e alla delicatezza femminile. Ed è proclamando un erroneo concetto di eguaglianza che le lobby LGBT fanno oggi proselitismo dell’omosessualità, cercando d’imporre il riconoscimento sociale di pratiche contro natura.

Un altro esempio: la differenza fra le età viene quanto possibile ridotta. L’ideale di padre alla moda è di essere “il miglior amico” dei suoi figli. I nonni alla moda non esitano a vestirsi come degli adole­scenti, e a comportarsi con la stessa spontaneità dei loro immaturi nipoti.

Le automobili tendono sempre di più ad assomigliarsi, anche nel colore, confondendosi in una banale monocromia. Le costruzioni moderne sono pressoché identiche. Non v’è nulla di più tristemente noioso di una sfilza di palazzi nella periferia di qualsiasi città del mondo. Anche i grattacieli, perfino quelli più stravaganti, non consentono affatto di distinguere se ci si trova a Parigi, a Boston, a Shangai o a Buenos Aires. Tutti i centri commerciali si assomigliano, contrariamente ai negozi tradizionali dei centri storici.

La crescente scomparsa della cortesia ha prodotto una spontaneità volgare e aggressiva. Si aggiunga a ciò l’esagerata esaltazione dello sport e delle prodezze fìsiche, col disprezzo per le attività intellettuali. Così scompare la naturale superiorità del lavoro intellettuale su quello meccanico.

Non è nemmeno trascorso un secolo dacché la società si caratterizzava con l’essere un insieme di famiglie armoniosamente diversificate. Oggi, la norma è l’individualismo. Mai tanti esseri umani hanno abitato da soli. Al posto di una gerarchia di famiglie articolate in gruppi sociali, così da formare un quadro variopinto e armonioso, v’è un grigio affollamento d’individui indifferenziati, l’uno accanto all’altro come i granelli di sabbia su una spiaggia, con l’unica aspirazione di essere rigorosamente identici ai loro vicini e di confondersi nella massa amorfa.

Il movimento egalitario tende alla soppressione delle differenti classi sociali: contadini, artigiani, operai, impiegati, funzionari, militari, persone di media e alta borghesia, nobili e aristocratici, tutto deve essere passato al frullatore. In particolare, si cerca l’abolizione sistematica di qualsiasi influenza aristocratica sulla vita della società.

In campo economico, si avanza passo dopo passo verso l’idea comunista per cui la proprietà è un furto. Per questo, occorre punire i ricchi. Nessuno può guadagnare “troppi” soldi. Molti trovano normale che la maggior parte del reddito privato debba essere confiscato dallo Stato per essere dunque mal gestito “per la collettività”. Chi possiede un patrimonio, non dovrà metterlo più in mostra, e sarà malvisto chi ha dei domestici. Le automobili di lusso dovranno sempre più assomigliare a veicoli più modesti. Si dovrà rinunciare a ricercare l’eccellenza anche negli oggetti che ci circondano. Perfino l’alta gastronomia dovrà indirizzarsi verso uno stile minimale.

Le eredità e i lasciti testamentari, che sono un modo per trasmettere, all’interno di una famiglia, non solamente un patrimonio materiale, ma una storia, un’identità, una personalità propria – in una parola, una tradizione senza cui andrebbe persa la civiltà – sono divorati da uno Stato insaziabile. Malauguratamente, un gran numero di cattolici si è lasciato intossicare da tale ideologia egalitaria contraria alla proprietà.

In campo politico, si smorza sempre più la naturale distinzione fra governanti e governati. La maniacale ossessione di coloro che oggi occupano importanti cariche di sembrare “normali”, e il comportarsi sempre come se fossero dei volgari zotici, non ha corrispondenza alcuna se non con la rabbiosa volontà dei sudditi, volta sistematicamente a sminuirli dalle loro funzioni. Tutto il contrario della disposizione di spirito anticamente espressa dall’aforisma “noblesse obligé”

Nemmeno sfugge al progressivo cambiamento egualitario la sfera religiosa. L’essenziale distinzione tra clero e fedeli tende a sparire. I preti si vestono come dei civili, e i laici (prime fra tutti, le donne) si arrogano il servizio all’Altare. La pompa, i paramenti sacri, l’architettura e l’arte raffinata sono rifiutati e rimpiazzati da cose che rasentano la miseria: tessuti grossolani, forme spoglie, statue orripilanti. Il Primato pontificio e la potestà petrina sono contestati. Le distinzioni gerarchiche interne al clero si assottigliano. La Chiesa cattolica non deve più presentarsi come l’unica vera religione: sarebbe antipatico. Invece, considerare su un medesimo livello tutte le religioni diventa obbligatorio.

Parallelamente, vediamo come in tutto il mondo le divise militari perdono il loro sfarzo, diventando meramente funzionali, quasi fossero tute da lavoro. Non ci sono più quegli ornamenti che conferivano prestigio e dignità ai militari. Anche il copricapo, che dava una nota di autorità, è sempre più sostituito dal berretto. L’uniforme è un’evidente testimonianza di ineguaglianze giuste e necessarie, che il movimento egalitario vuol dissolvere.

A livello internazionale, si vagheggia di fondere tutti i popoli e gli stati in una sola repubblica universale, così da far scomparire le legittime caratteristiche e le differenze fra le nazioni, con lo scopo di annientarne a poco a poco la loro sovranità. E quanto mai opportuno rimarcare che la sovranità è, nel di­ritto pubblico, l’immagine della proprietà. La marcia forzata verso l’integrazione europea è un triste esempio di tale movimento, che tende all’egalitarismo mondiale.

In tal senso, una constatazione che forse potrà apparire aneddotica, senza pur esserlo, è il venir meno del ruolo degli ambasciatori nelle relazioni internazionali, in concomitanza col declino delle sovranità. L’ambasciatore, uomo di salotto e di rappresentanza, fine conoscitore della mentalità del paese ove si trova e dei rapporti di forze politiche talvolta complessi, vede oggigiorno la sua nobile carica ridotta a una mera comparsa ornamentale. L’addetto commerciale, o il capo dei servizi segreti, rivestono oggi maggior importanza.

Nel mondo della cultura, poi, gli esempi dell’avanzata egalitaria sono molto numerosi. Tutti hanno come comune denominatore l’abolizione della differenza fra il bello e il brutto nelle produzioni artistiche.

Egalitarismo e odio verso Dio

Gli stessi rapporti fra gli uomini e Dio non sfuggono al cambiamento livellatore. La mentalità moderna è, infatti, profondamente influenzata dal panteismo, dall’immanentismo e da tutte le forme esoteriche di religione che tendono a stabilire fra Dio e gli uomini rapporti d’uguaglianza mentre divinizzano l’umanità.

L’ateo è un egalitario che, volendo evitare l’assurdità dell’affermazione che l’uomo è Dio, cade in un altro assurdo, affermando che Dio non esiste. Il laicismo è una forma di ateismo, e quindi di egalitarismo. Esso afferma l’impossibilità di giungere alla certezza dell’esistenza di Dio. Quindi, nella sfera temporale, l’uomo deve agire come se Dio non esistesse, ossia, come qualcuno che ha detronizzato Dio.

San Tommaso insegna che la diversità delle creature e la loro disposizione gerarchica sono un bene in sé, poiché così risplendono meglio nella creazione le perfezioni del Creatore. E dice che, tanto tra gli angeli quanto tra gli uomini, nel paradiso terrestre come in questa terra d’esilio, la Provvidenza ha stabilito la disuguaglianza. Per questo, un universo di creature uguali sarebbe un mondo in cui sarebbe cancellata, in tutta la misura possibile, la somiglianza tra le creature e il Creatore. Quindi odiare, per prin­cipio, ogni disuguaglianza equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza tra il Creatore e la creazione, significa odiare Dio.

Il carattere religioso del movimento egalitario

Si potrà discutere se questa o quella modifica, in concreto, possa trovare una sua giustificazione, ad esempio, nella correzione di un abuso evidente, o se quell’altra possa essere un’accettabile novità. Ma non ci si stupirà affatto se le soluzioni proposte ai moderni problemi siano tutte in senso egalitario. Un’uniformità che non è per niente naturale. È un modo di forzare la realtà e dar corpo a un sogno, a una sorta di mistica che dirigerebbe l’azione di quasi tutti gli uomini, l’idolo sotto il cui segno l’umanità troverebbe la sua epoca d’oro.

Questo movimento, o piuttosto questa rivoluzione impercettibile, riveste uno spiccato carattere religioso. In fondo, è una mistica. L’uguaglianza è innalzata a valore metafisico supremo, presentandosi come il principio direttivo cui tutti gli uomini devono adeguarsi se vogliono raggiungere la perfezione. Un “ideale” che è perseguito con un fervore religioso.

Donde viene un tale atteggiamento di “adorazione”, giacché, propriamente parlando, non v’è alcuna divinità da venerare e nessun culto da praticare? Promana e trae la propria forza dalla passione del­l’orgoglio, che conduce chi vi ha ceduto ad amare, con tutta l’anima, l’egalitarismo. Poiché l’orgoglioso è il primo a pretendere di essere superiore a chiun­que, brama di non aver alcuno superiore a lui, a qual­siasi livello.

L’egalitarismo è dunque un misticismo religioso, e come tutti i misticismi, è intollerante. Il vento che soffia oggi nel mondo è un vento d’intolleranza egalitaria, che può giungere alla persecuzione. Di fronte a questa rivoluzione egalitaria universale, che infetta tutti gli ambiti della vita e della società, e che tuttavia assai spesso è impalpabile, il cattolico si trova in una situazione diametralmente opposta e incompatibile con essa

Una verità dimenticata: l’ideale cattolico di una società fraterna, perché armoniosamente gerarchica

Per comprendere il Magistero dei Papi circa le ineguaglianze giuste e necessarie, occorre dapprima comprendere il concetto cristiano di uguaglianza, basato sulla realtà della natura umana, nonché i suoi limiti, e dunque come si oppone al movimento egalitario. Vi sono due concetti di uguaglianza radicalmente opposti. La linea di demarcazione fra questi contrapposti concetti divide la società in due campi inconciliabili. I cattolici hanno a poco a poco abbandonato la propria visione del mondo, che aveva plasmato un’autentica civiltà cristiana.

Il concetto cristiano di uguaglianza si affermò col Vangelo, mettendo in discussione la crudeltà del mondo pagano. Grazie agli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo, gli uomini hanno compreso di essere tutti figli di Dio, di esser tutti uguali per il fatto di appartenere al genere umano. In quest’ottica, tutti i diritti connessi alla natura umana sono identici per ciascuno, a cominciare dai principali e fondamentali: il diritto alla vita, alla dignità e all’onore e, dunque, alla libertà. Lo stesso si dica sul diritto alla proprietà, ossia il diritto di possedere i frutti del proprio lavoro, conseguenza diretta della dignità e della libertà della persona umana.

Il mondo pagano dell’antichità si rifiutava di riconoscere la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani. Donde la schiavitù, la condizione d’inferiorità della donna, il disprezzo della vita umana e tutte quelle manifestazioni d’ingiustizia e di crudeltà di un mondo barbaro e primitivo, che imbrigliavano il pieno affermarsi della persona.

Per il cristianesimo, e per tutti coloro che si riconoscono nella sua concezione del mondo, non esiste affatto una sub-umanità che si possa privare dei diritti fondamentali, sicché il diritto alla vita è lo stesso per tutti i membri del genere umano, qualunque sia la loro razza, età o condizione. D’altra parte, però, la concezione cristiana dell’uguaglianza riconosce che esistono delle ineguaglianze che sono giuste e necessarie. Non certo ineguaglianze essenziali, ossia connesse all’umana natura, quanto piuttosto ineguaglianze circostanziali. E il caso del talento, della bellezza, della virtù, del sapere e anche della nascita o della ricchezza. Ad esempio, l’ineguaglianza fra professore e alunno, è un’ineguaglianza giusta e necessaria.

L’insegnamento della Chiesa afferma così una duplice realtà: gli esseri umani sono tutti uguali per quanto riguarda i diritti essenziali connessi e derivanti dall’umana natura stessa, ma contemporanea­mente esistono delle ineguaglianze circostanziali che sono giuste e necessarie. Nei secoli in cui la visione cattolica del mondo era origine e modello di civiltà, l’età, l’educazione, la cultura, le arti, i mestieri e un’infinità di altre circostanze davano il tono ai rapporti sociali, segnandone leggi, costumi ed economia, e conferendo a tutta la vita pubblica e privata quel senso di gerarchia, di rispetto, di solennità. Era una delle caratteristiche più rimarchevoli della societas cristiana.

Senza dubbio, sarebbe un’esagerazione affermare che oggi questi costumi siano del tutto dimenticati. Nondimeno, si dovrà pur ammettere che molto di ciò è scomparso, e che il poco che resta va diminuendo e impallidendo di giorno in giorno. I cattolici hanno abbandonato, a poco a poco, la loro visione del mondo, che aveva forgiato un’autentica civiltà cristiana, e si sono lasciati travolgere, spesso inavvertitamente, da un processo egalitario molto distante dal loro ideale di una società veramente fraterna perché armoniosamente gerarchica.

Come siano arrivai all’odierna società, caratterizzata da una continua ribellione dell’inferiore contro il superiore, dal rifiuto di rendere il dovuto omaggio ai superiori, a cominciare da Dio, sino a una rivolta contro tutte le ineguaglianze più razionali e più necessarie? Tutto è avvenuto mediante un lento processo che, trasformando gradualmente le espressioni della vita in società, ha imposto un secondo concetto di uguaglianza, opposto a quello cristiano.

Il concetto materialista di uguaglianza nega la natura umana

Il secondo concetto di uguaglianza è l’esatto opposto del precedente. Questo stesso concetto, incivile e pericoloso, nega in profondità che esista una natura umana ben definita, da cui promanano dei diritti fondamentali per il semplice fatto di appartenervi. Tale concezione, rinnovando pienamente quella pagana antica, trova la sua piena affermazione nel materialismo evoluzionista marxista che, purtroppo, ha infettato vasti settori della popolazione, ambienti cattolici compresi.

Negando la realtà dell’umana natura, gli adepti di questa teoria affermano che i diritti fondamentali non sono affatto uguali per tutti. Ecco perché un bimbo nel grembo della madre non è più considerato una persona umana, al punto che non ha più diritto alla vita (aborto). Ecco perché malati, anziani o portatori di qualche handicap fisico o mentale non hanno lo stesso diritto alla vita dei giovani o sani di corpo e di mente (eutanasia).

Negando la dignità della persona, nemmeno vedono alcun ostacolo alle manipolazioni dell’ingegneria genetica, tanto che ritengono possa avanzare fino a “creare” un nuovo essere umano. Pronti ad accettare il libertinaggio, costoro rigettano l’autentica libertà della persona, condannata a una sorta di minorità perpetua, incapace di assumersi le proprie responsabilità, sicché lo Stato (sorta di “grande fratello”) deve prenderla in carico per tutta la vita. Conseguentemente, i fautori del Legalitarismo rifiutano anche la piena, personale disponibilità dei frutti del lavoro di ciascuno, sostenendo che questi debbano essere trasferiti per la maggior parte alla collettività, attraverso tasse e imposte che somigliano a vere e proprie confische.

Per contro, i fanatici dell’invidia egalitaria vorrebbero un mondo ove ogni ineguaglianza circostanziale fosse soppressa.

Similmente, costoro vorrebbero che tutti abbiano la medesima scienza: una vera utopia, nociva e irrealizzabile; fremono dal desiderio di eliminare differenze di censo e di stato sociale, vogliono garantire che tutti abbiano le stesse caratteristiche fisiche, giungendo infine a eliminare la differenza – necessaria e legittima – fra uomo e donna, da rimpiazzare con individui dal sesso incerto e mutevole (si pensi alla questione del cosiddetto gender).

Motore della concezione egalitaria è, dunque, l’invidia e la gelosia. La divorante passione egalitaria fa in modo che le persone preferiscano una miseria generalizzata pur di non avere nessuno sopra di loro. Quando si diffonde tale concezione, nella misura in cui mette radici in una società, i frutti non sono altro che rovina e disperazione, morale e materiale.