Lo statuto biologico e ontologico dell’embrione

Renzo_Puccetti  Ag Zenit, lunedì 4 febbraio 2008

Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento del dottor Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.

Salve, complimenti per la vostra ottima rubrica scientifica e culturale. Sono un docente di religione, ma in questo momento sto facendo un tirocinio per prendere un’abilitazione in storia e filosofia (sono laureato anche in filosofia); e siccome dovrò affrontare l’argomento se l’embrione è individuo/persona, nell’ambito dell’epistemologia che stanno studiando a scuola (un liceo scientifico), volevo avere delucidazioni a livello scientifico-biologico che giustifichino il divieto assoluto di manipolare la sacralità della vita. Grazie e a presto. L.P.

Ringrazio il lettore per la domanda che consente di fornire qualche elemento utile per inquadrare la questione dell’embrione. I termini in cui la domanda è posta, al di là delle intenzioni dello scrivente, rischiano di riproporre una fallacia: stabilire prima qual è il comportamento da tenere e poi trovare le giustificazioni ad esso.

La questione inerente lo statuto biologico e ontologico dell’embrione interpella coloro che vi si accostano a misurarsi ultimamente con la verità dell’embrione. In ambito medico-scientifico la via privilegiata e comunemente battuta per giungere alla verità è quella correspondista tomistica (adequatio rei et intellectus). Si tratta di un criterio in cui si riconosce nelle cose la presenza di una verità oggettiva che è comprensibile dalla ragione umana, la quale, a sua volta, è conformata in modo da potersi aprire ad essa ed accoglierla.

Certo, talora in ambito medico viene impiegato anche un criterio pragmatico che individua come vero ciò che funziona, ma anche in questo caso la ricerca di una più completa conoscenza della verità rimane sempre sullo sfondo come un’aspirazione ultima. Nello specifico ci pare necessario definire in via previa lo statuto ontologico dell’embrione, cioè capire la natura dell’embrione intesa come essenza e poi procedere alla valutazione morale dei comportamenti rivolti nei suoi confronti.

Come fa notare il professor Pessina, usare il termine persona in riferimento all’embrione induce molto spesso ad una complicazione del dibattito, giacché il termine persona ha nel linguaggio comune assunto, oltre all’originale significato descrittivo, anche una connotazione valoriale.

Per questo risulta più semplice sottoporre a verifica la seguente ipotesi: l’embrione è dal momento della fecondazione un individuo umano vivente?

In ambito medico legale l’analisi del DNA viene utilizzata come criterio probante per identificare l’individuo autore o vittima di un determinato delitto, o la genitorialità di un figlio, per l’identificazione dell’individuo.

Il momento della singamia, cioè della fusione delle membrane dei due gameti, corrisponde al momento in cui è possibile individuare un patrimonio genetico diploide inedito, cioè non riconducibile a quello di nessun altro essere sulla terra. Prima della cariogamia (fusione dei patrimoni genetici dei gameti genitoriali) questo patrimonio non è ancora riarrangiato in una struttura identificabile anatomicamente, ma lo è già in termini funzionali.

I DNA materno e paterno attivati, benché non ancora uniti fisicamente, colloquiano (1) e operano in maniera coordinata guidando il processo di avvicinamento dei pronuclei genitoriali e la formazione del fuso mitotico, prodromico alla prima divisione cellulare (2). Ulteriori conferme giungono dagli studi che hanno mostrato come gli assi embrionali sono definiti già nei minuti ed ore che seguono la singamia (3) e non, come precedentemente ritenuto, al momento della stria primitiva, elemento questo che induceva qualcuno a pensare l’embrione nei primi 14 giorni come ad un grumo di cellule.

In base alle evidenze più recenti, la posizione del secondo globulo polare, il punto di entrata dello spermatozoo e la forma dell’ovocita sono in grado d’influenzare l’asse della prima divisione cellulare che, a sua volta, determina il destino delle cellule figlie in cellule progenitrici dell’embrione e cellule progenitrici dei tessuti non embrionali (3).

Una delle argomentazioni impiegate per porre in discussione in maniera alquanto surrettizia la dignità dell’embrione è quella secondo cui l’embrione non sarebbe in grado di entrare in relazione con la madre, almeno fino alla fase dell’impianto nella parete endometriale. Si tratta di un’argomentazione difficilmente sostenibile.

Dal punto di vista biologico la fase pre-impiantatoria si caratterizza per un intenso colloquio biochimico materno fetale (crosstalk) in cui si assiste alla produzione di fattori embrionali (Early Pregnancy Factor, Leukemia Inhibitory Factor, Perimplantation Factor) a cui la madre risponde con modificazioni anatomo-funzionali e fornendo substrati energetici attraverso i fluidi tubarici che sostengono il metabolismo anaerobico dell’embrione nella fase pre-impianto.

Inoltre l’imprinting genomico (inattivazione epigenetica di uno degli alleli di un gene, alla base del fenomeno dell’espressione monoallelica) è in grado d’influenzare sia le relazioni materno fetali che i comportamenti e le attitudini post-natali (suzione, termoregolazione, sviluppo puberale) (4).

A queste considerazioni si possono inoltre aggiungere le osservazioni derivate in particolare dalla dottoressa Diana Bianchi che ha dimostrato la presenza di un vero e proprio “traffico cellulare” in cui cellule staminali di derivazione embrionale si collocano in numerosi organi della madre e vi persistono per decenni con funzione anche riparatoria (5;6;7).

Non sembra quindi irragionevole la frase di un editoriale del British Medical Journal: «L’embrione non è passivo, ma è un attivo orchestratore del suo impianto e del suo destino» (8). A queste considerazioni che colgono nella prospettiva statica specifici aspetti della realtà dell’embrione si può aggiungere uno sguardo che cogliendo il dinamismo embrionale ne accerti la natura.

Perché dall’osservazione della natura tumorale di poche cellule in un preparato citologico è universalmente accettato che la condotta clinica si disponga considerando cosa sarà di quelle cellule una volta progredite nel loro ciclo vitale, mentre dovrebbe essere illogico affermare la natura d’individuo umano mortale dell’embrione dalla sua osservazione al microscopio e soprattutto non agire pensando a come sarà una volta che abbia completato il suo sviluppo?

Paradossalmente è possibile imbattersi in esimi studiosi che pretendono di mantenere separati il piano scientifico da quello etico introducendo nel discorso scientifico considerazioni ad esso assolutamente estranee.

Affermare che lo zigote (embrione unicellulare) e la morula (stadio embrionale di otto cellule) siano «progetti di individuo» (9) perché destinati a perire in altissima percentuale o per la potenziale gemellarità è un non senso logico.

L’embrione è già individuo, condivide con qualsiasi individuo vivente un destino di mortalità, spontanea o provocata. Dovremmo allora forse affermare che i condannati a morte, i fanti nelle trincee e tutti i morituri non sono individui perché destinati in elevatissima percentuale ad una morte imminente? Forse che dalla gemellazione non ottieniamo pur sempre due individui, anziché due non individui?

Non pare inoltre ragionevole negare l’identità individuale ovina alla pecora che ha fornito la cellula somatica da cui è derivata Dolly in virtù della potenziale clonabilità. Una volta riconosciuto quindi che «dal punto di vista biologico non c’è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita» (9) l’ipotesi di «porre degli spartiacque» sulla base di «una convenzione» (9) modificabile non è innocente, ma introduce nel percorso conoscitivo un’evidente volontà manipolativa, in cui la realtà dell’altro (in questo caso dell’embrione) è funzione dell’utile che ne può derivare.

Concetto pericoloso, anzi pericolosissimo quello di stabilire per convenzione quando l’altro sia intangibile, una volta comunque accertata la sua natura di individuo umano vivente. È stato fatto in passato e quando la memoria non si era ancora dissolta i medici avevano giurato che non lo avrebbero fatto mai più. Ma quei medici oggi sono morti, altre generazioni si sono succedute e la legge della caduta della civiltà descritta da Solone sembra voglia riprendere a disegnare la sua traiettoria.

Stabilito che l’embrione sin dalla fecondazione è un individuo umano vivente si pone la questione morale: “Tutti gli individui umani viventi hanno diritto a che la loro vita sia rispettata?”.

Crediamo che non si possa che rispondere affermativamente, essendo la vita umana bene primario e condizione necessaria per il godimento dei beni secondari. Lo stesso concetto di legittima difesa non costituisce una deroga al principio d’intangibilità della vita umana, dal momento che non indica l’uccisione per difendersi, ma l’uccisione nel difendersi (10).

Ogni volta che viene introdotto il minimo pertugio tra il concetto biologico di individuo umano vivente e quello morale di persona, senza accorgercene, pur con le intenzioni più nobili, apriamo la porta al demone dell’arbitrio. Si tratta di una minaccia estremamente reale in cui l’uomo per difendersi dai leoni si costruisce un bastone segando il ramo su cui siede al riparo dalle belve.

Scrive Romano Guardini nel 1949: «Azioni eticamente sbagliate, anche se appaiono utili, alla fine conducono alla rovina. Mentire può recare vantaggio una, dieci, cento volte; alla fine stronca ciò su cui poggia la vita: nella propria interiorità il rispetto di se stessi, nel rapporto con gli altri la fiducia» (11).

Si tratta di una prospettiva consonante con quella proposta trent’anni più tardi dal filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, fuggito dalla dittatura nazista la cui madre fu tra le vittime di Auschwitz: «Si dovranno apprendere nuovamente il rispetto e l’orrore per tutelarci dagli sbandamenti del nostro potere. Soltanto il rispetto, rivelandoci “qualcosa di sacro”, cioè d’inviolabile in qualsiasi circostanza ci preserverà anche dal profanare il presente in vista del futuro, dal voler comprare quest’ultimo al prezzo del primo. Un’eredità degradata coinvolgerebbe nel degrado anche gli eredi. Conservare intatta quell’eredità attraverso i pericoli dei tempi, anzi, contro l’agire stesso dell’uomo, non è un fine utopico, ma il fine, non poi così modesto, della responsabilità per il futuro dell’uomo» (12).

Riferimenti:

1. Ostermeier GC, Miller D, Huntriss JD, Diamond MP, Krawetz SA. Reproductive biology: delivering spermatozoan RNA to the oocyte. Nature. 2004 May 13;429(6988):154.

2. Pontifical Academy for Life. The human embryo in its preimplantation phase. Scientific aspects and bioethical considerations.

3. Pearson H. Your destiny, from day one. Nature. 2002 Jul 4;418(6893):14-5.

4. Isles AR, Holland AJ. Imprinted genes and mother—offspring interactions. Early Human Development (2005) 81, 73-77.

5. Bianchi DW, Fisk NM. Fetomaternal cell trafficking and the stem cell debate: gender matters. JAMA. 2007; 297(13):1489-91.

6. Bianchi DW, Romero R. Biological implications of bi-directional fetomaternal cell traffic: a summary of a National Institute of Child Health and Human Development-sponsored conference. J Matern Fetal Neonatal Med. 2003 Aug;14(2):123-9.

7. Johnson KL, Bianchi DW. Fetal cells in maternal tissue following pregnancy: what are the consequences? Hum Reprod Update. 2004 Nov-Dec;10(6):497-502.

8. Horne AW, White JO, Lalani EN. The endometrium and embryo implantation. A receptive endometrium depends on more than hormonal influences. BMJ. 2000 Nov 25;321(7272):1301-2.

9. Edoardo Boncinelli. Embrioni. Non esiste l’ora X. Corriere della Sera 26.01.2005.

10. San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.64, a. 7.

11. Romano Guardini. Il diritto alla vita prima della nascita. Ed Morcelliana, Brescia, 2005.

12. Hans Jonas. Il principio di responsabilità. Einaudi, Torino, 1990.

(A.C. Valdera)