La Cei, il Pd e le «suore democratiche»

primarie PdRagionpolitica, 18 ottobre 2007

di Gianteo Bordero

In molte delle fotografie che nei giorni scorsi hanno immortalato le code ai seggi delle primarie del Pd si poteva subito notare la presenza di suore che pazientemente attendevano il loro turno per votare.

Un fatto, questo, che non è piaciuto a monsignor Giuseppe Betori, numero due della Conferenza Episcopale italiana, il quale, intervistato ieri da Andrea Tornielli de «Il Giornale», ha manifestato apertis verbis il suo disappunto: «A noi dicono che facciamo ingerenza ogni qual volta interveniamo, poi si esalta la partecipazione di religiosi a una consultazione che riguarda la vita interna di un partito. Noi non partecipiamo alla vita dei partiti e interveniamo soltanto quando sono messi in gioco alcuni grandi valori umani».

Come dire: i maggiori quotidiani nazionali e i partiti da essi sostenuti, che entrano a gamba tesa ogni volta che la Chiesa italiana prende posizione sui temi riguardanti il bene comune, si mostrano invece assai compiacenti quando esponenti della stessa Chiesa si dichiarano vicini alle loro posizioni politiche.

Nel grande battage mediatico che ha accompagnato le primarie di domenica, così, anche le suore sono tornate utili per agitare il turibolo di fronte alle «magnifiche sorti e progressive» del nuovo soggetto del centrosinistra. Il messaggio che si voleva lanciare è chiaro: se perfino le religiose di nero vestite accorrono ai seggi e partecipano al «grande evento», è chiaro che i cattolici tutti possono tranquillamente riconoscersi nel Pd e nel suo (per ora fumoso) progetto politico.

Peccato, però, che la realtà sia un’altra, e la sottolinea su «Il Corriere della Sera» il senatore teodem (a proposito, che fine hanno fatto i paladini Dl del cattolicesimo duro e puro?) Luigi Bobba. L’ex presidente delle Acli cita un sondaggio effettuato qualche mese fa tra i cattolici praticanti e afferma che «nel febbraio 2005, il 44% di questa fascia di elettori diceva di votare per il centrosinistra.

Nel giugno del 2007 sono crollati al 26%. E il Polo, che prima conquistava il 36% di quei consensi, è salito al 49%». Un dato davvero interessante, se si pensa a tutta la retorica messa in campo nei mesi scorsi dai promotori del Pd per far apparire il nuovo partito come aperto ai valori cari alla Chiesa, improntato a una idea di «sana laicità», attento alle tanto evocate «radici cristiane». Una cortina fumogena che lo stesso Bobba smaschera senza indugio, una pura operazione propagandistica tutto fumo e niente arrosto.

La verità è che la «questione cattolica» sarà uno dei temi più spinosi attorno ai quali si dovrà cimentare il neo-segretario Walter Veltroni. Perché se da un lato è vero, come ha osservato don Gianni Baget Bozzo, che l’ascesa al trono del Pd del sindaco di Roma rappresenta una sconfitta dei dossettiani alla Prodi e della loro linea cattolico-adulta, dall’altro lato è altrettanto vero che nel nuovo soggetto sono ben presenti le spinte nella direzione del radicalismo laicista senza se e senza ma, ostile a qualsiasi ripensamento sulla questione della laicità e del rapporto tra la politica e le questioni «eticamente sensibili».

Come tale nodo verrà sciolto è, per ora, difficile a dirsi, anche perché bisognerà attendere i risultati definitivi della primarie per poter valutare appieno gli equilibri che andranno a formarsi tra le varie anime del nascituro Pd. Una cosa, però, è certa: non sarà facile, per Veltroni, districare una matassa che ha già creato in passato (un caso su tutti, quello dei Dico) tensioni di non poco momento tra l’ala cattolica della Margherita e l’ala radicale dei Ds.

Per ora al sindaco di Roma sono state sufficienti le ecumeniche enunciazioni di principio, ma da domani, quando bisognerà prendere posizione sui casi concreti, non sarà più così. E i nodi ora abilmente elusi verranno al pettine. Per questo monsignor Betori, prendendo le distanze dalle suore che sono andate a votare alle primarie, afferma papale papale che «quanto al Pd, non prendiamo alcuna posizione: sarà giudicato sulla base dei fatti». Ai posteri l’ardua sentenza.

(A.C. Valdera)