Meno neonati e più anziani Questo è il futuro

culle_vuoteLa Nuova Bussola quotidiana

21 febbraio 2016

di Tommaso Scandroglio

Si nasce di meno, si vive di più e si muore di meno. Questa, in sintesi, l’istantanea scattata dall’Istat su nascite e decessi in Italia per l’anno 2014. In particolare, si contano 5.000 culle vuote in più e 4.000 bare in meno rispetto all’anno precedente. I nati sono stati 509mila e i morti 597mila. Il tasso di natalità continua a scendere: nel 2014 siamo arrivati a 1,39 figli per donna, quando il tasso di sopravvivenza per un Paese dovrebbe essere di 2,1.

Tale trend negativo secondo l’Istat è ovviamente «insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale». Questo accade anche perché l’età media in cui una donna diventa per la prima volta mamma sale, arrivando quasi a 32 anni. Si allunga poi la vita media. Gli uomini superano di poco gli 80 anni, le donne arrivano quasi a 85. Cresce inoltre il numero di stranieri in Italia. Questi ormai sono l’8,3% della popolazione. Nonostante siano quindi meno di un decimo degli italiani, il 19% dei neonati è figlio di una straniera. Ciò a dire che un quinto dell’ultimissima generazione che vede la luce sul suolo italico vanta almeno un genitore straniero. Gli islamici ci colonizzeranno senza sparare un colpo, ma a suon di nascite.

Lo scenario futuro è a tinte fosche: sempre meno italiani, sempre più stranieri e quindi sempre meno cattolici, uno stivale che comunque, nonostante l’iniezione di nuovi immigrati, da una parte si svuoterà e dall’altra vedrà come abitanti un gruppo sempre più longevo di anziani. Pochi, ma vecchi, verrebbe da chiosare. Perché gli italiani nutrono poca propensione a fare figli? In primis è da ricordare che se fosse proibito l’aborto, avremmo un incremento delle nascite tra il 20 e il 25%, senza poi contare i moltissimi aborti prodotti da pilloline varie. Altro che incentivi economici per la natalità. Servirebbero disincentivi giuridici all’aborto se si avesse a cuore davvero il futuro dell’Italia.

In secondo luogo è da rilevare che il figlio – sempre più progettato e sempre meno accolto – è l’esito di un rapporto che si deve sentire solido. Se il rapporto è quello matrimoniale questo si concretizza sempre più in là nel tempo e le donne a 30-35 non sono così fertili come a 20-25. Senza poi contare che la generazione femminile attuale è cresciuta a pane e contraccettivi orali e l’efficacia contraccettiva di questi ultimi, anche se non più assunti, continua nel tempo compromettendo spesso molte speranze di diventare genitori.

Se invece il rapporto affettivo si assesta sulla convivenza anche questa sarà idonea ad accogliere il figlio solo dopo molti anni. C’è poi da rilevare che la tendenza a sposarsi sempre meno e a convivere sempre più incide anche su alcuni aspetti legati alla natalità. I nati all’interno del matrimonio scendono nel corso degli anni: nel 2014 sono stati 363.916, circa 100mila in meno rispetto al 2008. Di contro crescono i nati da genitori non coniugati: oltre 138mila nel 2014, quasi 26mila in più del 2008. Questi sono il 27,6% del totale delle nascite. Ciò accade sia perché il numero di matrimoni diminuiscono sia perché, nella percezione collettiva, matrimonio e convivenza pari sono, anche sotto il profilo della genitorialità, perché “love is love”, il resto è solo sovrastruttura formale.

Altro motivo della scarsità di fiocchi azzurri è rosa fa riferimento a come i coniugi e i conviventi intendono la vita a due. Non più donazione gratuita, bensì costituzione di una s.p.a in cui ogni partner mette una propria quota e si aspetta, da lì a poco, di incassare molti utili in termini di felicità, soddisfazioni personali e benessere. In questa prospettiva individualistica, dove la coppia è la somma aritmetica di due monadi e non una sola carne, il figlio è un rischio, un investimento ad alto tasso di incertezza, un titolo sospetto di essere tossico perché sottrae risorse, tempo e spazi. Quindi bene avere il figlio, ma pensandoci a fondo, con prudenza e non più di uno, al massimo uno e mezzo. L’abbandono poi della pratica di fede mina in radice la propensione alla maternità e paternità. Il futuro, visto senza più gli occhiali della Provvidenza, appare in un orizzonte solo umano come minaccioso e gravido di incertezze.

Il figlio non viene più inteso come dono, ma come diritto ad arredare la propria esistenza umana con un bel bebè. La secolarizzazione incide poi sui comportamenti morali: sessualità sregolata che porta a gravidanze impreviste e quindi rifiutate, piena accettazione di contraccezione e aborto, mancanza di maturità personale che fa slittare il momento di decisioni importanti come sposarsi o diventare madri e padri, rifiuto dell’indissolubilità del matrimonio e precarietà dei rapporti personali che rendono difficile far nascere nel cuore delle persone il desiderio di mettere al mondo un bambino, che necessita come ovvio di rapporti stabili e duraturi.

Cosa ci salverà da questo deserto demografico? Ma ovviamente le coppie omosessuali, le uniche oggi che pare non abbiano in testa altro che “sposarsi” e fare figli.