Ogm aiutano il Terzo Mondo

Abstract: ogm aiutano il Terzo Mondo, per questo i ricercatori chiedono di non essere boicottati nelle loro ricerche.  Il Terzo Mndo non vuole rimanere stritolato dalle due superpotenze e dalla prepotenza economica delle aziende e dei consumatori occidentali, per questo nascono Ogm di terza generazione, diversi da quelli concepiti per un’agricoltura intensiva, forse dannosi o forse no.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’8 aprile 2001

Terzo Mondo, aiuti dagli Ogm

In Cina, India, Kenya, Brasile i ricercatori chiedono di non essere boicottati  

di Sylvie Coyaud

Al forum sulle biotecnologie di Lione, il ministro cinese per la Scienza e la tecnologia Lilan Zhu ha detto: «Il nostro Governo ha varato la prima legge sulla biosicurezza nel 1983 e da allora incoraggia attivamente la ricerca e lo sviluppo delle biotecnologie. Negli ultimi dieci anni la vendita dei prodotti che ne derivano è aumentata di 50 volte, nel 2000 ha superato i 20 miliardi di renmimbi… Armati di tecnologia di punta, il Governo e il popolo confidano di raggiungere l’autosufficienza alimentare. Se ci riusciremo, con più del 22% della popolazione mondiale e appena il 7% della terra coltivabile, avremo dato al mondo un grande contributo.»

Il Governo cinese ha adottato gli Ogm prima delle multinazionali agrobiotech con le quali si è poi alleato. Ai rari occidentali che esprimono riserve, il ministro chiede con un sorriso se sono pronti ad accogliere centinaia di milioni di emigrati affamati. Tra il marketing brutale delle multinazionali e il pragmatismo brutale del Governo cinese, sembra non esserci posto per le distinzioni. Proviamo a fare lo stesso. Nel Terzo Mndo che non vuole rimanere stritolato dalle due superpotenze e dalla prepotenza economica delle aziende e dei consumatori occidentali, nascono Ogm di terza generazione, diversi da quelli concepiti per un’agricoltura intensiva, forse dannosi o forse no.

Alla conferenza di Madras l’estate scorsa, associazioni umanitarie indiane dicevano di finanziare ricerche per modificare una ventina di vegetali locali da distribuire gratuitamente alle organizzazioni contadine che ne faranno richiesta L’Istituto Tata di Bangalore – finanziato da una fondazione umanitaria – elencava ricerche simili in 80 paesi. Secondo la signora Lilan Zhu, la sola Cina ha stretto accordi per lo sviluppo di queste tecnologie con 152 Paesi. il genetista Monkombu S. Swaninathan che lanciò la rivoluzione verde in India egli anni Sessanta, ora ne vuole lanciare un’altra: l’ecotecnologia.

Ha creato a Madras una fondazione per studiare le innovazioni sostenibili in termini di rapporti sociali, sicurezza alimentare e ambiente. «Non scartiamo nessuna soluzione a priori, nemmeno gli Ogm» dice. «Abbiamo già tanti problemi, non chiedeteci di avere anche dei pregiudizi». Dal Vietnam al Sudafrica, da Cuba al Marocco, ricercatori senza pregiudizi stanno creando nuove varietà dopo un dottorato in Occidente, con borse di studio come. quelle istituite dalla Comunità europea su pressione dei movimenti terzomondisti e degli scienziati impegnati nel trasferimento delle conoscenze dal Nord al Sud.

Pochi esempi. In Malesia, Yeang H. Yeet e il suo gruppo ottengono particolari proteine dall’albero del caucciù, trasformandolo in una fabbrica di farmaceutici. Dice Yeang: «La gente sa già come estrarre il lattice e in questo caso può ricavarne qualcosa che ha un po’ di valore, per la società e non soltanto per l’economia. Inoltre questi alberi sono più compatibili con il nostro ambiente dei bioreattori usati dalle aziende farmaceutiche». Emmanuel Dias Neto e il suo gruppo della Fondazione per la ricerca dello stato di San Paolo hanno inventato il metodo “Orestes” con il quale un anno fa hanno sequenziato ll genoma della Xillela fastidiosa (grande prima scientifica ma ignorata qui), il parassita che distrugge gli aranceti del Brasile, primo esportatore mondiale di aranci da succo, e causa perdite di 130 milioni di dollari all’anno.

In una conferenza stampa a Milano il 19 febbraio scorso, il ministro Pecoraro Scanio ha detto che il Brasile si è impegnato a non produrre cibi transgenici e l’Italia potrebbe quindi privilegiarlo come partner commerciale al posto degli Stati Uniti (lo faccia subito, e favorisca finalmente il “commercio equo e solidale”). A noi risulta che il Governo federale e lo Stato di San Paolo abbiano rinnovato i finanziamenti al 33enne Dias Neto perché modifichi il genoma degli aranci per renderli resistenti alla X. fastidiosa. Boicotteremo il succo brasiliano perché transgenico? E perché non l’abbiamo fatto prima, per costringere i latifondisti ad anteporre la salute dei braccianti – che intanto Spargono pesticidi cancerogeni e ne muoiono – a quella degli aranci? Dias Neto e Yeang lavorano per enti statali e non per qualche Monsanto.

La keniota Florence Wambugn ci ha lavorato per impratichirsi ed è rientrata in patria per fare piante utili alla sua gente. Dopo aver ottenuto un banano ad alta resa, ora prova insieme al Turitana una patata dolce che sopporta la siccità. Considera la posizione anti-Ogm di Greenpeace quella di «una multinazionale che difende il proprio giro d’affati miliardario» e non gli interessi dei Turkana. Da ambientalista di Sinistra, Luis H. Estrella cerca invece contatti con Amici della Terra, Greenpeace e gli zapatisti. il suo lavoro è innovativo, ecologico e pluripremiato. Fra i tropici e nel sud del mondo, l’alluminio presente nella crosta terrestre inacidisce il suolo, si fissa sulle radici delle piante alimentari e impedisce loro di assorbire nutrienti come potassio e azoto.

Nel sud del Messico, i contadini spargono calce sul terreno per tamponarne l’acidità, inquinando i corsi d’acqua nei quali le alghe poi prosperano e sottraggono ossigeno ai pesci che scompaiono; e insieme a loro una fonte di cibo. La calce uccide i batteri utili e anche il suolo muore. Ogni due o tre anni, gli indios sono costretti a ricavarsi un nuovo appezzamento incendiando un pezzo di selva tropicale. Finché erano pochi, la biodiversità non era a rischio. Oggi sono tra i 25 e i 30 milioni. O migrano nella capitale, come i genitori di Estrella, o nel giro di vent’anni resteranno poche chiazze di selva. Estrella e il suo gruppo del Cinvesta, nel Guanajuato, hanno studiato l’agricoltura di sussistenza tradizionale.

Attorno agli orti precari degli indios, hanno prelevato piante non commestibili che crescevano a dispetto dell’alluminio. Nel loro genoma, hanno trovato i geni di un batterio che fa produrre alle radici acido citrico (come negli agrumi) il quale blocca il legame con l’alluminio e facilita l’assorbimento dei nutrienti. Hanno trasferito quei geni in mais, fagioli, papaya. Hanno letto Vandana Shiva e conoscono i danni delle monoculture, perciò non cercano di rendere più redditizia un’unica pianta bensì un metodo valido per tutte quelle che gli indios coltivano per mangiare.

Se potesse parlare con i movimenti verdi internazionali e con i loro dipendenti di Città del Messico, crede Estrella, capirebbero che i suoi Ogm non sono nefasti a priori. Ma nessuno accetta di incontrarlo. Intanto gli indios lo aspettano per gli esperimenti, non sanno che poco prima delle. elezioni del 2000, il precedente Governo ha ceduto alle pressioni di ambientalisti e di intellettuali della capitale e decretato una moratoria. Per cui Estrella ha dovuto abbattere le piante che coltivava nel recinto accanto al suo centro di ricerca. Estrella ritiene che, con l’ibridazione, otterrà piante con identiche proprietà nel giro di vent’anni. Gli sembra ingiusto chiedere vent’anni di pazienza al poveri. Non dice di avere la soluzione alla fame nel mondo. Come il subcomandante Marcos, sa che «ci vuole una riforma agraria vera».

Non è nemmeno certo che le sue piante funzionino, perciò vuole studiarle nell’habitat al quale sono destinate, osservarne gli effetti sull’ambiente insieme a chi ci vive e sa leggerne i Segni. Ma come tutte le pratiche agricole sia pure “biologiche” o “naturali”, obiettiamo, gli Ogm possono selezionare parassiti più resistenti e incontrollabili, stando a Stephen Palumbi di Harvard e ai biologi evoluzionisti specializzati in ecologia predittiva (disciplina di cui Jeremy Rifkin lamenta a torto la mancanza).

Certo, risponde Estrella, e potrebbero perfino rivelarsi troppo fragili. Dobbiamo verificarlo. «Perciò servono esperimenti in campi aperti, in condizioni controllate anche da voi, se non verrete per esportare qui le vostre lotte ma per aiutarci davvero. Poi valuteremo rischi e vantaggi con tutti gli interessati». È stupido, venduto o in malafede e con lui tutti gli altri? O non vogliamo ascoltarne le ragioni perché pensiamo che dai Paesi poveri o dalla gente di colore non possa venire «scienza con coscienza»?

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Per approfondire:

Biotecnologie basta bugie