Quando l’Italia si svegliò

insorgenze_TiroloIl Giornale 19 agosto 1996

 Il fenomeno delle insorgenze antifrancesi e antigiacobine

Franco Cardini

Con il secondo centenario della campagna del generale Bonaparte in Italia si è aperta quest’anno una lunga fase di occasioni per ripensare il passato. Le vicende connesse con il consolidamento interno e la proiezione esterna della Francia rivoluzionaria, culminate con le campagne d’Italia e d’Egitto del Bonaparte, la «Seconda Coalizione» e il Consolato, furono un periodo nodale per la storia d’Italia e d’Europa. Il triennio 1796-99 fu anche quello delle grandi «illusioni giacobine», il banco di prova dell’esportazione nella penisola d’un radicalismo rivoluzionario che in Francia era già perdente e della soluzione dei tentativi (che c’erano stati: e interessanti, da Milano a Firenze a Napoli) di attuare le riforme connesse con il pensiero dei «Lumi» e con il decollo della rivoluzione industriale.

L’accelerazione imposta a questa dinamica dagli eventi francesi e il corto circuito che essa determinò nei rapporti tra vita civile, vita economica e vita religiosa furono come sappiamo causa dell’esplodere di un disagio che esisteva già prima che il Bonaparte varcasse le Alpi ma che si trasformò a causa dell’arrivo dei francesi e dell’imposizione da parte loro delle nuove istituzioni repubblicane in un vero e proprio scontro fra ceti interessati al rinnovamento e ceti ben decisi invece a conservare un ancien regime magari cautamente rivisto o magari ad approfittare della reazione alla calata delle truppe del Bonaparte per eliminare anche gli esiti delle già avviate riforme settecentesche.

E’ un fatto che anche la questione religioso-civile e quella meridionale, due altri nodi storici dell’Italia contemporanea, prendono l’avvio dal 1796. Ragione di più per ripensarci.

È comprensibile che questo nodo di problemi si sia tradotto in una «riscoperta» di quelle che – con entusiasmo e con allarme entrambi eccessivi – si sono definite le «Vandee italiane», vale a dire i molti episodi d’insorgenza antifrancese e antigiacobina che nel triennio 1796-99 si verificarono un po’ dappertutto nella penisola, dal Veneto, alle Romagne, alle Marche, alla Toscana, al Merdione. Il rapporto con la tragedia vandeana è nato forse spontaneo, anche dato il carattere marcatamente religioso delle ragioni degli insorgenti (o di quelle che essi adducevano) e delle loro insegne e quindi il clima comune che sembra respirarsi nei casi appunto vandeano, italico o in quello spagnolo di qualche anno più tardo.

Va da sé che le somiglianze ci sono, ma che molte di esse sono solo esteriori e che comunque non è proponibile fermarsi a esse.

Più interessante appare l’interrogarsi sulla natura dei moti antifrancesi.

Spontanea reazione popolare contro le misure antiecclesiastiche degli invasori e l’appoggio a essi fornito da alcuni intellettuali locali? Sistematica controffensiva dei vecchi ceti dirigenti appoggiati dalle potenze europee in lotta contro la Francia? Esito di antiche e nuove tensioni, di nodi talora secolari esplosivamente «venuti al pettine»?

Si sono provati in molti a rispondere. Massimo Viglione, in La «Vandea italiana» (Effedieffe), ha tentato un bilancio generale delle insorgenze sottolineando non solo le somiglianze, ma anche le differenze rispetto alla Vandea. Per esempio, mentre l’aristocrazia francese del nord fu in genere solidale con i moti popolari contro la Repubblica (causati principalmente dalla Costituzione civile del clero e dalla leva obbligatoria), quella italiana fu molto più cauta e attendista. Un «carattere originale» dei nostri ceti dirigenti, storicamente inclini al trasformismo?

Analoghe conclusioni fornisce la bella ricerca Insorgenti marchigiani (Sico) di Sandro Petrucci, mentre sull’ambiguità della situazione toscana alla base del movimento del «Vìva Maria» (reazione alla violenza anticattolica dei giacobini o esito del diffuso malcontento per quelle ch’erano già state le riforme religiose e socioeconomiche dell’età leopoldina, come aveva sostenuto anni fa in una ricerca fondamentale Gabriele Turi?) si è tornati con una pubblicazione del Comune di Montevarchi dedicata all’eroina dell’insorgenza in Valdarno, Alessandra e la famiglia Mari di Montevarchi.

Che il Comune di Montevarchi si sia ricordato della sua Sandrina è significativo anche sotto un altro profilo. La storia del giacobinismo e dell’antigiacobinismo italiani alla fine del Settecento è infatti importante come capitolo della storia delle donne. Se ne sono ricordate Cecilia Brogi, che in Per il trono e per l’altare (Alberti & C.) ha tracciato il ritratto commosso di alcune eroine di quelle vicende, da Maria Antonietta a Luisa Sanfelice a Lady Hamilton; e Maria Antonietta Macciocchi, che ha riproposto il suo Cara Eleonora (Rizzoli)

La vicenda di Eleonora Fonseca Pimentel è esemplare: non solo per l’alta qualità morale e intellettuale del personaggio e le sua tragica fine, ma proprio per i nodi problematici che vi sono sottesi. A questo riguardo, forse, un confronto tra le pagine del Viglione e quelle defla Maciocchi appare illuminan­te. Che in effetti il cattolico e «filosanfedista» Viglione non esita a condannare senza mezzi termini l’atteggiamento sanguinario e vendicativo della regina Maria Carolina: il chè però ridimensiona di parecchio le responsabilità del cardinale Ruffo mentre di pesantissime ne assegna all’ammiraglio Nelson, sul quale la Macciocchi appare più elusiva.

Certo è che su tutte queste cose dovremo tornare. E dovremo tornare su un movimento che coinvolse personaggi per carattere, cultura e posizione latitudinaria tanto diversi quali Andreas Hofer e Michele Pezza detto «fra Diavolo», su cui si sono chinati con simpatia dall’Ongaro e il Morganti. Le polemiche sulle Insorgenze sono arrivate; ma, al pari delle Idi di Marzo, non trascorse.

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