Storie di cristiani perseguitati nell’Urss

messa_clandestinaAvvenire 10 ottobre 2003

Quanti sono i cattolici caduti vittime della dittatura comunista nei quasi 80 anni in cui essa dominò l’ex Unione Sovietica?

di Giovanni Bensi

LE VITTIME DELLA DITTATURA

Quanti sono i cattolici caduti vittime della dittatura comunista nei quasi 80 anni in cui essa dominò l’ex Unione Sovietica? Una risposta precisa a questa domanda non c’è, almeno per quanto riguarda i laici. Nessuno, tanto meno le autorità sovietiche, la polizia di Stalin (Nkvd), ha tenuto statistiche. Dagli archivi della Lubjanka sono usciti documenti, pubblicati in Russia nel 2000, secondo i quali dal 1918 al 1958 per motivi “politici, ideologici e religiosi” furono arrestati 7.024.936 persone, delle quali 839.772 condannate a morte, le altre disperse nel gulag.

Fra di esse ci sono anche sacerdoti, laici, cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei. Ma quanti laici e quanti cattolici? Non si sa. Alcuni anni fa Aleksandr Jakovlev, nominato dal presidente russo Boris Eltsin responsabile per le riabilitazioni, disse che il numero dei “ministri del culto” di tutte le religioni deportati o uccisi in periodo sovietico si aggira sui 200.000. Anche qui la percentuale dei cattolici è sconosciuta.

DEPORTATI IN SIBERIA 

Il cattolicesimo nell’ex Urss aveva due zone di diffusione principale: l’Ucraina occidentale (latini e greco-cattolici) ed il Baltico, soprattutto la Lituania. In quest’ultima repubblica nel corso delle due occupazioni sovietiche nel corso della seconda guerra mondiale, nel 1941 e poi nel 1944-1949, furono deportate in Siberia circa 60.000 persone accusate di anticomunismo: sicuramente la maggior parte di essi erano cattolici. Le stesse fonti della Chiesa greco-cattolica ucraina, vietata nel 1946 e risorta nel 1989, non sanno dire quante furono le vittime, e parlano di “centinaia di sacerdoti, monaci e laici”.

TESTIMONI NEL LAGER

Alcune testimonianze di laici greco-cattolici che hanno duramente sofferto in Ucraina dopo la soppressione della loro Chiesa nel 1946 sono state pubblicate in un libro uscito recentemente a L’viv, centro, appunto, di questa Chiesa. Una è di Marija Bashyns’ka, nata presso L’viv nel 1917 e deportata dopo il 1946 in un lager siberiano. Il suo racconto parla di un’esperienza che ha del miracoloso. Marija non nascondeva la sua fede e con altre due detenute pregava nella baracca del lager. “I carcerieri ordinarono loro di smettere. Mai, risposero.

Furono rinchiuse in cella di isolamento, ma anche là continuavano a pregare. Allora i carcerieri decisero di portarle all’aperto, a 60 gradi sotto zero, scalze e con solo una camicia addosso, affinché morissero assiderate. I carcerieri osservavano curiosi la scena. Ma esse presero a pregare, e dopo alcune ore erano ancora vive. Le guardie capirono che c’era qualcosa di superiore che non potevano comprendere e prese da timore ordinarono loro di ritornare nella baracca. Le tre donne non furono più perseguitate e poterono continuare a rendere lode a Dio”.

MESSE CLANDESTINE

Un altro caso è quello di Maria Shevda, 25 anni, che fu uccisa in una delle vie centrali di L’viv nel 1982 da sicari del Kgb locale a cui aveva rifiutato di consegnare una borsa contenente gli arredi sacri necessari alla celebrazione della messa in un luogo clandestino. A causa della proibizione che gravava sulla Chiesa greco-cattolica, i sacerdoti superstiti dovevano ricorrere a particolari misure precauzionali.

Le celebrazioni avvenivano in luoghi diversi e poiché i sacerdoti erano quasi tutti conosciuti al Kgb, non portavano mai con sé oggetti “compromettenti”, affidando questo compito a volontari laici. La morte di Marija Shevda suscitò grande impressione a L’vive tuttora viene ricordata con grande rispetto.