Il ritorno degli animalisti

animalistiStudi Cattolici febbraio 1993

di Paolo Pugni

«Io amo l’umanità: sono gli uomini che non riesco a sopportare», esclama Linus in una famosa striscia di Charles M. Schulz. «In ogni angolo della terra c’è qualcosa di troppo: l’uomo», aggiunge una rivista ecologista di qualche anno fa. Purtroppo mentre la prima affermazione è carica di simpatica ironia, la seconda è solo viziata da una presunzione che origina dall’ignoranza. L’uomo è davvero di troppo su questo pianeta? L’uomo è solo un animale tra gli animali, anzi il peggiore degli animali? Che rapporto c’è tra l’uomo e gli animali?

Stiamo assistendo in questi ultimi tempi a una nuova carica da parte degli animalisti, cioè di quelle frange del pensiero ecologista che sostengono l’assoluta uguaglianza tra l’essere umano e il mondo animale, con tutte le conseguenze, anche giuridiche, che si possono immaginare. Lo scorso mese di novembre un articolo di La Civiltà cattolica dedicato alla dignità dell’uomo e dell’animale ha sollevato un vespaio di reazioni stizzite anche in àmbito cattolico.

Sulla rivista Il Segno — mensile della diocesi di Milano – del settembre ’92 sono state pubblicate tre lettere nelle quali altrettanti lettori si lamentavano di una precedente missiva, pubblicata sul numero di giugno, intitolata Non merita l’uomo più rispetto di un cane?. Ecco qualche significativo stralcio: «Quali sono le qualità per cui si ritiene che un uomo abbia più diritto al rispetto e alla vita di un cane? L’intelligenza, il sentimento, il dolore? Un cane forse più dell’uomo ama il dono della vita, soffre e ha terrore della morte. […] Questa assurda prerogativa è il frutto della concezione antropocentrica della cultura occidentale propinata per millenni dalla Chiesa cattolica, in cui si dà al mondo l’idea di un Dio parziale e crudele con tutta la creazione ma benigno solo con la specie umana. Tale concetto ha abituato l’uomo a convivere con la logica dello sfruttamento del più debole».

«Secondo me l’unica e sola verità è che Dio ha creato e conservato per mezzo del Verbo tutte le cose offrendo agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé, anche negli animali». La risposta de Il Segno è ferma e limpida: non confondiamo l’uomo con gli animali.

Parità di diritti?

Ciò che preoccupa è che pare di veder nascere una nuova forma di lotta di classe, di intolleranza politica: quasi che gli orfani del comunismo, impossibilitati a proseguire nella marcia verso la dittatura del proletariato, vogliano imporre una lotta dell’animale contro l’uomo: sfruttamento del più debole, concezione antropocentrica e simili sono concetti presi di peso dall’ideologia marxista e trasferiti al conflitto tra l’uomo e gli animali. Ciò è ancor più grave, perché se il marxismo opponeva proletari a borghesi, pur sempre di uomini si trattava. L’animalismo invece attacca l’uomo per difendere l’animale.

Queste lettere sono solo la spia di un nuovo modo di pensare che sta infiltrandosi nella nostra cultura. Il primo numero della rivista Alisei (ottobre 92), il nuovo mensile del Touring Club Italiano, discute di questa posizione in un interessante articolo a firma di Michele Farina, presentando le filosofie di Peter Singer e Tom Regan. «Non dobbiamo più pensare, come Cartesio, che gli animali siano macchine naturali, né considerarli, come fa la mentalità commerciale, come oggetti d’uso e risorse rinnovabili. La menzogna sempre in agguato è che gli animali siano “qualitativamente” diversi da noi», scrive Regan nel suo libro I diritti degli animali, pubblicato in Italia da Garzanti.

Il concetto che sta alla base di questa supposta parità di diritti – ma nessun animalista parla di doveri e responsabilità – è la capacità di soffrire che accomuna uomini e animali. Ma sono le sensazioni, le emozioni, i sentimenti, il dolore che contraddistinguono la persona umana? Se è vero che anche gli animali soffrono e che nulla autorizza gli uomini a far soffrire gratuitamente le bestie, possiamo per questo concludere che l’uomo è solo un animale tra gli altri? Che cosa contraddistingue l’essere umano dalla bestia? Esaminiamo dapprima la questione da un punto di vista – ci si passi l’aggettivo – laico, per poi prendere in considerazione le Sacre Scritture.

Secondo ragione

L’uomo è una persona, cioè un essere unico e irripetibile dotato – in ordine di importanza – di ragione, volontà, sentimenti e istinti. Sicuramente gli istinti e forse anche, in un certo qual modo, i sentimenti sono comuni anche agli animali. Ora, l’uomo – persona – fruisce, grazie a ragione e volontà, della libertà, cioè della capacità di orientare le proprie azioni verso un fine ultimo che è la sua felicità ovvero la piena realizzazione del suo essere uomo e persona. Ciò che guida l’uomo in questo suo libero viaggio verso la felicità è la ragione, che l’animale non possiede.

Com’è evidente, non può esistere libertà – che si esprime nella scelta – senza responsabilità per le conseguenze delle scelte compiute: ciò che differenzia l’uomo dalla bestia è quindi la libertà di compiere degli atti e la responsabilità di questi. Che l’uomo possegga questa caratteristica che lo distingue in maniera netta dagli animali lo riconoscono implicitamente anche gli animalisti, i quali proclamano il verbo dell’alimentazione vegetariana solo per l’uomo.

Se infatti questi è un animale tra gli altri, perché vietargli di mangiare carne così come fa il leone, che sbrana la gazzella, o lo squalo che divora il delfino? Perché non impedire parimenti alla tigre di cibarsi di altri animali? Perché gli animali non possono scegliere, quello è il loro istinto, l’uomo invece può scegliere. Infatti. Allo stesso modo all’uomo gli ecologisti rinfacciano, anche a ragione, di aver deturpato il pianeta con le industrie, con gli scarichi, con i rifiuti: nessuno se la prende con le cavallette per le loro invasioni, con gli elefanti che distruggono la savana o con altri animali per lo scempio che fanno del loro ecosistema. Non ne sono responsabili. Infatti, non possedendo la libertà non possono neppure essere indicati come responsabili delle loro «cattive» azioni.

Un cane morde un uomo? E’ il padrone a venir chiamato in giudizio, non l’animale. Dunque appare evidente che l’uomo, libero e responsabile, è non solo diverso, ma superiore agli altri animali poiché è chiamato a ordinare la natura compiendo delle scelte e assumendone responsabilmente le conseguenze.

Se ciò esclude lo sfruttamento selvaggio di ambienti e animali, non toglie tuttavia la possibilità all’uomo di far ricorso agli animali per le sue necessità reali. Approvare l’uso delle cavie di laboratorio, perché la vita di un uomo è decisamente superiore a quella di un animale, non esclude peraltro che si debba condannare la violenza gratuita, a tini sadici o anche commerciali, sulle bestie. La scala di priorità non va però mai smarrita: l’uomo è più importante degli animali.

Neppure san Francesco

Se ci spostiamo poi sul piano religioso, la distanza tra uomini e animali diventa abissale. Nel libro della Genesi è praticamente contenuto tutto quanto e necessario per capire la relazione tra uomo e animale. Innanzitutto solo dell’uomo è scritto che fu fatto a immagine e somiglianza di Dio. Non solo, ma il Sacro Testo è chiaro: «quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà da cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe» (Gn 9, 2-3).

Solo del sangue dell’uomo Dio chiede conto: «Chi sparge il sangue dell’uomo dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo» (Gn 9, 6). L’Eden, il Creato, e tutto quanto in esso è contenuto, è affidato da Dio all’uomo. San Tommaso, nella Somma teologica ribadisce questo concetto: «Nessuno pecca per il fatto che ci si serve di un essere per lo scopo per cui è stato creato. Ora, nella gerarchia degli esseri quelli meno perfetti sono fatti per quelli più perfetti […]. Dunque è lecito sopprimere le piante per uso degli animali e gli animali per uso dell’uomo in forza dell’ordine stesso dato da Dio» (II-II, q. 64, a. 1).

E’ evidente che ciò non significa che sia lecito uccidere o distruggere per il mero gusto di farlo, senza uno scopo, ma che quando il fine è valido, è lecito usufruire degli animali, esseri meno perfetti. A questo proposito è significativo l’episodio evangelico degli indemoniati di Gadara (Mt 8, 28-34): pur di liberare dai demoni due uomini Gesù permette che sia sacrificata una intera mandria di porci.

E san Francesco? E’ proprio vero che questo splendido santo è stato quell’ecologista ante litteram che si vuol far credere? Sebbene tanti verdi, laici e religiosi, ne siano convinti, non sembra proprio. Due brevi cenni prima di rimandare alla bella e decisiva biografia del poverello di Assisi compilata alcuni anni fa da Franco Cardini per la Mondadori.

Innanzitutto nella sua opera più famosa, il Cantico delle Creature, accanto a fuoco, gelo e rugiada non compare nessun animale: strana dimenticanza per chi è supposto ritenere che gli animali siano consanguinei dell’uomo. Inoltre Francesco non rifiuta le carni come cibo con motivazione animalista, ma come mortificazione da offrire a Dio, tant’è che non nega questo tipo di alimento ai confratelli. Francesco si sente solo vicino al creato perché è la strada per salire verso Dio. Non nega ceno l’evidenza della creazione. L’uomo è superiore all’animale e al creato e proprio per questo è chiamato a ordinarlo, a «coltivarlo e custodirlo», com’è ancora spiegato nel secondo capitolo della Genesi: ciò comporta un doveroso ed esemplare rispetto per gli animali e per l’ambiente, ma anche la chiara consapevolezza della preminenza dell’uomo su ogni altro essere vivente.