L’islam e la scienza

scienza arabaIl Timone n.81 marzo 2009

Sintetiche considerazioni a proposito del rapporto fra religione e scienza nel pensiero islamico. Che presenta notevoli differenze con quello cristiano. Rendendo così difficile il dialogo scientifico.

di Silvia Scaranari

Cercate la scienza foss’anche in Cina» recita una frase di Muhammad, sempre ripetuta nel mondo islamico, e circa 750 versetti del Corano (più o meno un ottavo del Libro) esortano i credenti a studiare. In effetti il “Profeta” ripete spesso che il sapere è da ricercare sempre e che la cultura è un dovere per ogni buon credente, uomo o donna che sia. E si hanno esempi molteplici di centri culturali in cui anche le donne sono iniziate alle scienze più diverse fin dai primi secoli dell’islam.

L’islam eredita dal mondo greco-cristiano un immenso patrimonio che dal VII al X secolo studia, copia e traduce in arabo, e da cui acquisisce le principali informazioni. Il contributo che da è la rielaborazione delle nozioni trovate e soprattutto l’attenzione al particolare, attenzione forse meno cara al mondo antico. L’originalità sta proprio nell’aver saputo integrare e dotare di nuova fisionomia elementi che non erano di sua invenzione.

L’islam introduce la puntigliosa ricerca del calcolo esatto, l’idea della misurazione precisa, l’attenzione all’esperimento, soprattutto con Ibn Sina (Averroè). Secondo Alessandro Bausani, il suo pensiero è anticipatore di quello che Alexandre Koyré definisce «l’universo della precisione», cioè l’impostazione che si affermerà in Europa dal secolo XVII. Questo atteggiamento, importantissimo per il successivo sviluppo della tecnologia anche in Occidente ma nello stesso tempo potenzialmente distruttivo rispetto ai fondamenti ultimi della scienza, proviene in larga parte da un’impostazione coranica.

II Corano e la scienza

Secondo il Corano, tutto è ascrivibile a Dio e tutto avviene per puntuale intervento divino. Ne consegue che affermare l’esistenza di leggi astratte e immutabili come quella di causa-effetto o spiegare i fenomeni naturali con le causae secundae è atteggiamento inaccettabile perché implica porre dei limiti all’assoluta libertà di Dio. L’unica legge certa è quella di Dio che però è assolutamente imprevedibile e guidato solo dalla sua libera volontà. Il suo agire non può essere incatenato ad alcuna legge né codificato dalla mente umana.

Quella che a noi sembra una relazione causale certa è in realtà solo un’abitudine di Dio che tende a far seguire certi effetti a certe cause, ma se volesse potrebbe in qualsiasi momento cambiare il normale corso della natura. Il Corano insegna, ad esempio, che il sole ogni giorno sorge ad Oriente, ma che in qualsiasi momento, e forse lo farà alla fine dei tempi, Dio potrebbe farlo sorgere ad Occidente. Mentre in una mentalità cristiana il miracolo è visto come una sospensione delle leggi naturali per intervento divino, in arabo si dice kharq al-‘àdàt. cioè “rottura della consuetudine”.

Non si può mai essere sicuri della verità di un fenomeno fino a quando lo si verifichi con l’osservazione diretta: da qui l’attitudine sperimentale della mentalità islamica.

Ad esempio, lo scorrere del tempo, che ha una grande importanza anche religiosa perché in base alla luna e al sole si regolano tutti i tempi legali della preghiera o il succedersi dei mesi, non può essere stabilito in anticipo, ma solo con l’esatta osservazione del fenomeno. Questo ha fatto spesso avvicinare la mentalità islamica a certe forme di occasionalismo diffuse in Europa nel XVII secolo o alla filosofia di Hume.

Ma la scienza può fondarsi solo sull’esperimento” Lo sviluppo dell’Occidente sembra negare questo presupposto. Se l’esperimento è importante per verificare una legge, solo dalla convinzione che l’universo sia stato creato secondo un progetto razionale e quindi abbia in sé delle leggi che la mente umana (essa pure razionale ad immagine e somiglianza di quella del Creatore) può conoscere, può nascere una vera ricerca scientifica.

Oltre a questo presupposto fondamentale, occorre guardare come si è sviluppato il rapporto tra sapere e religione nel mondo islamico. Per indicare la scienza si usa la parola ‘ilm che però indica, senza chiare distinzioni, sia lo studio dell’uomo, sia la ricerca della Tradizione del ‘ “Profeta”, sia ancora lo studio delle regole per la recitazione coranica.

Il fatto che le tre aree siano confuse causa uno scivolamento graduale ma inevitabile verso uno sguardo di tipo religioso e fideista sulla natura. Secondo Giovanni Canova, per secoli lo studio della natura nell’islam ha avuto un aspetto principalmente devozionale. Se Jabir ibn Hayyan (Geber) nelI’VIII secolo, ha messo a punto l’uso della bilancia intuendo il passaggio da un sistema qualitativo a uno quantitativo nelle scienze, è pur vero che per secoli i suoi discepoli hanno tentato di usare la bilancia soprattutto per pesare la presenza dell’ “Anima del Mondo” nelle sostanze.

E in un altro campo, Ibn al-Haytham (vissuto nell’X-XI secolo nell’attuale Iraq) ha messo a punto le principali nozioni di ottica scoprendo le leggi della visione e ha anticipato il principio di tempo minimo di Fermat, spiegando che «Un raggio di luce, passando attraverso un mezzo, prende la via più semplice e più veloce». Ma in terra islamica il suo sapere è stato prima di tutto usato per lo sviluppo della mistica della luce, e solo in Europa ha ricevuto un’attenzione che ha portato a sviluppi propriamente scientifici.

Nel mondo islamico, poi. con la nascita delle scuole teologiche e giuridiche nei secoli IX e X e il loro successivo consolidarsi, la scienza (‘ilm) ha perso sempre più il suo carattere di studio del mondo e dell’uomo per spostare la sua attenzione sullo studio della Tradizione e della recitazione del Corano. Questo ha provocato lo slittamento dell’attenzione dalla ricerca sulla natura allo studio di ciò che è utile per la pratica religiosa. Per conoscere il mondo – cioè la volontà di Allah e i suoi modi d’intervento nell’universo – ci si è rivolti sempre di più quasi esclusivamente al Corano, anziché usare la ragione.

L’islam e l’uso della ragione

Vi è inoltre un altro aspetto non marginale da considerare. Nel libro del Genesi è scritto «(…) il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche» (Gen 2, 19-20).

L’uomo è chiamato da Dio stesso a prendere conoscenza della creazione e ad avere su di essa una certa sovranità (dare il nome indica in qualche modo un possesso). Dio, in un certo senso, affida la creazione all’uomo perché questi la usi, in modo ragionevole e giusto, a proprio vantaggio. Da questa convinzione è nato il costante tentativo dei cristiani di “umanizzare” il mondo, di trasformare l’ambiente in cui operano in un ambiente gradevole e confortevole, e per far questo l’ingegno umano deve continuamente cercare di andare oltre, di ampliare il suo sapere, di varcare nuove frontiere alla scoperta di quel magnifico dono che Dio gli ha fatto.

Una scoperta non illimitata ma guidata dalla ragione e dalla consapevolezza che questa non può mai essere autonoma dal suo Creatore, unico e vero Logos del mondo.

La scienza è quindi, per il cristiano, l’applicazione della ragione umana su una creazione effettuata secondo un piano razionale e per questo conoscibile. Il mondo è a vantaggio dell’uomo e la scienza è per l’uomo, per rendere migliore la sua vita e quella del prossimo. Tante scoperte sono proprio frutto del desiderio di operare a vantaggio del prossimo, prospettiva che purtroppo nella spiritualità islamica è veramente marginale.

Come papa Benedetto XVI ha mostrato nel celebre discorso del 12 settembre 2006 a Ratisbona, gli sviluppi della scienza in Occidente non sono casuali. Le radici del divorzio tra islam e scienza nell’epoca moderna non sono dovute, come pensa qualche marxista, a ragioni economiche, ma alla teologia.

Se Dio non ha creato né governa il mondo secondo leggi razionali (che possono essere talora sospese dal miracolo, cioè dal Suo intervento straordinario, ma che ordinariamente l’uomo può conoscere), anzi può modificare continuamente i principi che regolano l’universo, allora non vi può essere una ricerca teoretica che fondi la vera scienza e il prezzo che l’islam paga è la negazione dei fondamenti del vero sapere scientifico.

Bibliografia

Gutas Dimitri, Pensiero greco e cultura araba, Einaiidi, 2002,

Seyyed Hossein Nasr, Scienza e civiltà nell’Islam, Feltrinelli, 1977.

Carmela Baffoni, Filosofia e religione in Islam, La Nuova Italia Scientifica, 1997.

Alessandro Bausani, II contributo scientifico, in  Gli Arabi in Italia, Scheiwiller, 1979, pp. 629-660.

Ahmed Djebbar, Storia della scienza araba. Il patrimonio intellettuale dell’Islam, Raffaello Cortina, 2002.