Considerazioni sull’islam / 2 – rubrica Vivaio

islam_espansioneAvvenire – rubrica Vivaio –

13 novembre 1990

Vittorio Messori

Proseguiamo il discorso (iniziato domenica) sull’Islam, interrogandoci sul “mistero”, e lo “scandalo”, del passaggio alla nuova fede di Muhammad-Maometto di popoli già cristiani.

Il profeta muore nell’anno 632. Già sei anni dopo il Califfo (cioè “successore”) Omar strappa Gerusalemme ai Bizantini e nel 640 i musulmani entrano in Egitto dove Alessandria, la grande metropoli divenuta importantissimo patriarcato cristiano, è conquistata un anno dopo. La corsa a ovest continua e, dopo essersi spinti per le migliaia di chilometri del litorale mediterraneo, nel 711 gli arabi varcano lo stretto di Gibilterra e sbarcano in Spagna. Occorreranno più di 7 secoli di lotte per scacciarli

Riservandoci di parlare in seguito delle altre conquiste di vastissimi territori già cristiani in Asia, oggi vorremmo esaminare la sorte del Nord Africa, una tra le prime regioni a essere evangelizzate. San Marco stesso, stando alla Tradizione, avrebbe predicato la fede in Egitto e nelle sedi vescovili di quell’Africa mediterranea c’erano pastori del calibro di sant’Agostino. L’attività teologica nelle città, soprattutto ad Alessandria, era sin troppo ricca e vivace. Il deserto pullulava di eremi e di mo­nasteri dove si viveva l’ascesi con drammatica serietà. Com’è potuto avvenire che una simile vita cristiana abbia potuto spegnersi e che la fede nata dal Corano abbia potuto tutto ricoprire?

In realtà, le cose sono ben più complesse di certe presentazioni che di esse sono ancora fatte. Non è che, come folgorati dal Nuovissimo Verbo portato dagli arabi, i cristiani abbiano ripudiato il Vangelo scoprendo che la verità stava nel Corano. A portare al cambio religioso furono (dopo secoli, e talvolta non del tutto) le vicende militari e poi la politica sociale, fiscale, matrimoniale.

Per capire, dobbiamo innanzitutto ricordare che l’islamizzazione dell’Africa mediterranea ha caratteri diversi nell’Egitto e nella restante parte sino all’Atlantico. Le due parti erano state divise dalla linea di demarcazione tra Impero Romano di Occidente e di Oriente. L’Egitto parlava greco e aveva rapporti con Costantinopoli; le regioni a Occidente parlavano latino e guardavano a Roma. Con la caduta di Roma, tutta l’Africa settentrionale ricadeva nell’impero bizantino che però non aveva, e nei casi migliori, che il controllo di qualche città costiera.

Gli arabi non ebbero difficoltà a invadere questi territori perché, caduta già in mano loro la Siria. Bisanzio non poteva inviare rinforzi. In realtà, la resistenza fu fiacca perché furono i cristiani egiziani stessi ad accogliere i musulmani come liberatori. Qui, come altrove, gli arabi trovarono popolazioni pronte ad aprire loro le porte in nome dell’antica rivolta dell’Oriente, e dei popoli semitici in particolare, contro l’Occidente che, dalla Grecia e da Roma, aveva esercitato la sua egemonia su popolazioni già fiere della loro indipendenza.

In Egitto, poi, c’erano condizioni particolari: il patriarcato di Alessandria si era staccato da Costantinopoli per ragioni teologiche, dietro le quali si nascondeva anche l’antica rivalità. Gli egiziani, cioè, avevano scelto il monofisismo (una sola natura, in Cristo: quella divina), resistendo al governo imperiale che, richiamandosi ai decreti conciliari, voleva affermare il dogma delle due nature. La maggioranza del popolo era con il clero monofisita. mentre Bisanzio aveva imposto la sua gerarchia, detta “melchita”.

Si sa che, per una logica costante, quando due fazioni della stessa religione sono in lotta, ciascuna preferisce la vittoria di un’altra religione piuttosto che quella della parte avversa. Così ragionarono anche i monofisiti in odio ai melchiti. L’islamismo era tra l’altro ancora in formazione, i popoli che ne venivano investiti non sapevano bene di che si trattasse, probabilmente doveva sembrare loro un’altra chiesa giudeo-cristiana, in ogni caso era chiaro il suo monoteismo e la sua rivendicazione dei profeti biblici, anzi di Gesù e di Maria stessi.

Così, ci furono accordi e le porte dell’Egitto furono spalancate: rispettando i patti gli arabi tra le prime misure soppressero la chiesa imperiale melchita e i vescovi monofisiti poterono prendere il comando della cristianità. Vittoria di Pirro, perché fu anche applicato il diritto religioso musulmano che proprio allora faceva le prime prove: mentre i musulmani erano tenuti al solo versamento dell’elemosina legale, la comunità cristiana —in cambio della “protezione” e del diritto di continuare e risiedere in zona occupata dagli islamici — doveva versare tasse esorbitanti, il cui reddito era a favore dei soli musulmani. Non solo: i cristiani non erano cittadini ma sudditi, tutte le carriere nell’amministrazione e nell’esercito essendo riservate ai credenti in Allah, trasferitisi tra l’altro in massa in Africa a infoltire l’esigua schiera dei primi conquistatori.

Non va poi dimenticato il diritto matrimoniale arabo che è sempre stato fattore potente di lenta ma implacabile islamizzazione: una musulmana, cioè, non può sposare né un cristiano né un ebreo. Mentre lo può fare un musulmano e i figli, per legge, sono musulmani anch’essi. Inoltre, a erodere ancor più le dimensioni della comunità, vigeva per i cristiani il divieto di far proseliti, nonché la proibizione di costruire nuove chiese e persino di restaurare le esistenti. Condizioni che peg­giorarono, tra l’altro, quando agli arabi si sostituirono i turchi.

Il risultato fu quello che è ancora attualmente: la popolazione cristiana si stabilizzò attorno al dieci per cento della popolazione. Dunque, malgrado tutto, il Vangelo non fu mai sradicato completamente dall’Egitto in più di 13 secoli di dominazione musulmana. Accanto alle conversioni per convenienza, vi furono anche i molti che preferirono, nei secoli, il martirio piuttosto che rinnegare Gesù per Maometto.

Non così nella zona a Occidente dell’Egitto. nell’Africa “latina”, dove l’islamizzazione fu completa, anche se non rapida come molti affermano. Da storici arabi sappiamo che ancora nell’XI secolo c’erano vescovi in quelle zone e qualche tribù dell’interno non aveva rinunciato al cristianesimo. Le province imperiali di Africa (l’odierna Tunisia e parte dell’attuale Algeria) e di Numidia (il resto dell’Algeria) erano cristianizzate, ma quasi solo nell’elemento cittadino di origine latina. Le popolazioni berbere spesso non erano state ancora raggiunte dall’evangelizzazione. Soprattutto, il cristianesimo non era quasi giunto nelle due Mauretanie, la vastissima regione cioè a Occidente della Numidia sino all’Atlantico, che costituisce il Maghreb e che corrisponde alla parte più a ovest dell’attuale Algeria e tutto il Marocco. Questa era “l’Africa dimenticata”.

La colonizzazione romana si era estesa facendo perno sulla penisola tunisina, a destra e a sinistra di Cartagine. Soltanto tardi, quando già l’Impero scricchiolava, ci si era decisi a creare le due province di Mauretania. sino ad allora regni più o meno federati. Quale fosse la situazione lo mostra il fatto che questa era una delle tre zone dell’Impero dove i Romani avevano costruito un limes, una frontiera fortificata, per difendersi contro le incursioni a Sud.

Pochissimi anni dopo la conquista dell’Egitto, i musulmani sferrarono l’attacco contro le province d’Africa, di Numidia. di Mauritania. Troveranno una cristianità indebolita e travagliata, malgrado gli apparenti splendori. Non ne rimarrà nulla: il perché contiamo di vederlo giovedì. (389 )

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