Il medioevo di Giorgio Falco

Falco_coverStoriaLibera Anno II (2016) n. 3

 di Beniamino Martino (*)

 

Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della morte di Giorgio Falco, uno storico italiano, sconosciuto ai piu, ma i cui scritti hanno non pochi motivi per essere ricordati ed apprezzati. Falco si spense a Torino il 26 aprile 1966 (in quella stessa città era nato il 6 febbraio 1888). Nel capoluogo piemontese, nel 1911, si era laureato in Lettere con una tesi in storia medievale; aveva iniziato ad insegnare in alcune scuole superiori sino al superamento del concorso universitario che lo portò prima sulla cattedra di Storia moderna (nel 1930), poi su quella, da lui maggiormente ambita, di Storia medievale (dal 1933).

A questi primi anni di docenza presso l’Università degli Studi di Torino risalgono le sue opere più importanti: La polemica sul Medioevo, pubblicata già nel 1933, e La Santa Romana Repubblica, scritta solo qualche anno più tardi (nel 1937) che, però, non poté essere stampata prima del 1942 e con lo pseudonimo di Giovanni Fornaseri. Falco era ebreo e, a causa delle leggi razziali, nel 1938 era stato costretto ad abbandonare l’insegnamento.

Soprattutto in La polemica sul Medioevo, ma anche in La Santa Romana Repubblica, si avverte bene l’influenza dello storicismo: Falco, infatti, si considerava un discepolo di Benedetto Croce (1866-1954). Con il filosofo napoletano, lo storico torinese mantenne uno stretto legame di amicizia dovuto, inizialmente, alla conoscenza esistente tra le reciproche fidanzate: Nelda Sampo (1) sarà moglie di Falco e Adelina Rossi sposerà Croce.

Nonostante l’adesione al pensiero idealista del filosofo napoletano, durante il periodo romano a seguito dell’allontanamento dalla cattedra, lo storico torinese si convertì al cattolicesimo e volle essere battezzato. Accanto a sé, nel ruolo di padrino, Falco volle un suo discepolo, lo storico Paolo Brezzi (1910-1998) (2).

Conclusa la guerra, Falco fu reinsediato in Università, prima dividendosi tra la sede di Genova e quella di Torino, poi (a partire dal 1954), definitivamente nella sua città natale, lì dove, oramai emerito, mori all’eta di 78 anni. A ben ragione, Giorgio Falco e considerato tra i maggiori medievalisti italiani del secolo trascorso (3). Giustamente è stato affermato che Falco «ha occupato un posto di rilievo nel campo degli studi medievali e, più in generale, un posto altrettanto rilevante nella cultura storica italiana dei decenni centrali del nostro secolo» (4).

Per dare giustificazione a questo riconoscimento proviamo a dettagliare scelte di fondo e scansione del contenuto della sua più stimolante opera, La Santa Romana Repubblica.

Falco e la storiografia

Alla scuola di Croce a cui Falco non ha negato di appartenere – sebbene in modo cauto – (5), lo storico del medioevo non ha inteso eludere due grandi questioni storiografiche che costituiscono, anche per noi, un’inevitabile premessa: la nozione di medioevo e il tema della periodizzazione. Il concetto di “medioevo” – ed il relativo termine – sono il prodotto della storiografia che va dal XVI sino al XVIII secolo; e, questa, la storiografia che ha, in tale modo, inteso indicare la civiltà europea tra l’evo antico e l’evo moderno.

La genesi del concetto, quindi, appartiene propriamente alle età successive a quella designata ed e estranea alla coscienza che gli uomini del periodo avevano del proprio tempo. Furono gli umanisti del rinascimento, nel loro sogno di far rivivere la civiltà classica, ad iniziare a descrivere i secoli intercorsi tra la decadenza di quella civiltà e la sua rinascita come “età media”.

Scriveva Falco, aprendo con queste parole La Santa Romana Repubblica: «il concetto di medio evo, cioè di un’età intermedia fra l’antica e la moderna, nasce, com’e ovvio, quando il medio evo stesso sta per tramontare, o e tramontato» (6). Termini quali media tempestas, media antiquitas, media aetas cominciarono  cosi a definire quell’epoca come “età di mezzo”, appunto come “medioevo”.

Queste formule si trovano adottate già nel 1469 in un’epistola che conteneva un elogio in favore di Niccolò Cusano (1400-1464), scritta da Giovanni dei Bussi (1417-1475) a papa Paolo II (1464-1471) e, se e vero che e difficile ritenerle espressione di una precisa e definita periodizzazione, comunque il loro uso è già sintomo della coscienza di nuovi tempi. Probabilmente il termine fu consacrato definitivamente dall’uso che di esso fece l’erudito tedesco Christoph Keller (1638-1707, latinizzato Cristoforo Cellario) che, nel 1688, pubblico la sua Historia Medii Aevi a temporibus Constantini Magni ad Costantinopolim a Turcis captam. Nell’opera, difatti, era presentata la tripartizione poi divenuta comune: Historia antiqua, Historia medii aevi ed Historia nova (7).

Appariva comunque evidente come, dalla stessa denominazione dell’epoca, emergesse già una valutazione negativa. Il termine, infatti, implicava, in qualche modo, già un giudizio di valore. La sfumatura negativa che il concetto e il termine racchiudevano non era certo misconosciuta o celata. In quanto “età media” il periodo veniva di fatto considerato esclusivamente in riferimento alla classicità ed alla rinascita di questa. La caratterizzazione semantica indica quasi una definizione in negativo, per cui il medioevo appare determinato in forza del suo contrario, laddove gli unici termini di confronto sono le epoche che godrebbero di quasi unanime giudizio favorevole.

Ancora nelle primissime battute de La Santa Romana Repubblica leggiamo: «per gli uomini dell’Umanesimo e del Rinascimento, medio evo era il lungo periodo di barbarie, che li divideva dalla perfezione della letteratura e dell’arte classica, oggetto della loro emulazione» (8). La coniazione stessa dei termini riproponeva una connotazione tanto di ombre per un’età (quella media), quanto di vitalità (rinascimento) e di luce (illuminismo) per le altre che ad essa succedevano.

Un pregiudizio (e non unicamente nel senso innocente di “giudizio previo”) sia concettuale, sia linguistico, che, seppur non conduce automaticamente ad un uso deliberatamente spregiativo del termine, certamente porta con se il rischio di una visione riduttiva e semplicistica dell’intera epoca. Il medioevo sarebbe appunto un “ponte”, un periodo d’intermezzo, quasi un semplice “intervallo” della civiltà, una lunga epoca di transizione tra l’antichità classica e la modernità, o, se si preferisce, tra il tramonto dell’età classica e l’alba dell’evo moderno.

E’ indubbio che gli effetti di alcune impostazioni storiografiche si protraggono tuttora; esse impediscono od ostacolano l’approccio ad un’epoca che, nella mentalità dei suoi contemporanei, non apparve certo come un tempo di mero passaggio o, peggio, come un insieme di secoli privi di civiltà e senza cultura. Dichiarava Falco: «quando si parla di medio evo, non ci si richiama a nessun fatto particolare, a nessun ricordo preciso; se ne parla in generale, come di un’età torbida e confusa, piena di violenza, di rozzezza e di superstizione» (9).

E’ certamente merito dell’intenso lavoro storico svolto in tempi più recenti, intorno a quell’epoca, l’eliminazione di prospettive parziali che avevano impedito di cogliere la funzione di un’epoca comunque maestosa. Lo studio della storia non può ammettere valutazioni precostituite nè in termini di riduzionismi ingiustificati, nè in termini di esaltazioni esagerate; solo la serenità del metodo storico-critico e la passione per l’oggettività, infatti, permettono di “leggere” i secoli “medioevali” con la indispensabile obiettività.

Sulla storia del concetto e sulle posizioni storiografiche assunte dai vari pensatori si è largamente soffermato Falco nella sua prima opera, La polemica sul Medioevo. Le varie e contrastanti interpretazioni che si sono alternate su questo controverso periodo e sulla sua civiltà hanno purtroppo risposto, se non a precise scelte di parte e a chiare opzioni ideologiche, certamente a visioni già precostituite in forza di ottiche particolari. Cosi, nel Rinascimento, gli umanisti hanno rimproverato all’uomo medievale l’aver ottenebrato l’ideale di bellezza dell’età classica: la preoccupazione estetica e filologica fece allora valutare sfavorevolmente la cultura latina imbarbarita (10).

Questa valutazione negativa ebbe ulteriore impulso e diffusione per l’atteggiamento fortemente polemico, in funzione antipapale e anticattolica, che fu espresso dal protestantesimo (11). Gli storici riformati fecero propria la concezione dei tre fatales periodi, secondo la quale nei primi cinque secoli era prevalsa la verità sull’errore (primo periodo), poi la lotta tra verità ed errore aveva caratterizzato i secondi cinquecento anni fino all’undicesimo secolo (secondo periodo), infine tra il Mille e il Millecinquecento era senz’altro trionfato l’errore (terzo periodo).

L’errore era riconosciuto e fatto coincidere con la teocrazia pontificia a cui la rivoluzione religiosa aveva voluto porre termine. Per questo motivo il medioevo – visto in stretta connessione con il cattolicesimo romano – veniva giudicato come l’epoca che aveva soffocato lo spirito evangelico, l’epoca contrassegnata dalla corruzione temporale – con il potere papale – e dalla corruzione filosofica – con la scolastica e l’utilizzazione dell’aristotelismo. Tra la Chiesa delle origini e la Riforma si sarebbe esteso, cosi, questo periodo di oscuro compromesso.

Gli illuministi del secolo XVIII ebbero un senso di biasimo esasperato e deciso nei confronti dell’epoca, che, senza pari, avrebbe confinato l’uomo nelle tenebre della superstizione. Forti del loro razionalismo, il medioevo venne da essi considerato con inappellabile disprezzo quale età d’ignoranza per eccellenza, poi finalmente vinta dal progresso (12).

All’illuminismo si contrappose il romanticismo, che nel medioevo volle vedere un’epoca tutta poesia e sentimento, fatta di tradizioni e germi di civiltà da cui le nazioni, successivamente, avrebbero saputo trarre la propria identità linguistica e culturale (13). All’illuminismo che aveva prodotto una “leggenda nera”, si contrappose, quindi, la “leggenda rosa” generata dal romanticismo. Ma, come il pregiudizio illuminista, anche il sentimentalismo romantico non poteva comportare alcun serio apporto alla ricerca storica.

Al di la della connotazione fondamentalmente negativa del concetto “medioevo”, bisogna anche dire che la stessa fortuna del termine e stata determinata dalla mancanza di un’espressione alternativa che rispondesse sinteticamente e pregnantemente al compito di delineare in modo appropriato il profilo dell’epoca. Questo il motivo per cui la dizione – seppure libera da ogni giudizio di valore – continua ad essere adottata anche in ambito scientifico ed accademico da parte di studiosi e ricercatori, sia pure nella consapevolezza della sua imprecisione.

L’altro problema storiografico investe la delimitazione cronologica dell’epoca medievale. «Pensare la storia è certamente periodizzarla» (14), aveva affermato Croce, al quale Falco amava ispirarsi. In questo modo il filosofo napoletano sollevava il problema del “periodizzamento” della storia, come lui lo chiamava (noi preferiamo la dizione “periodizzazione”): «noi, europei moderni, la dividiamo in antichità, medioevo ed epoca moderna […]. L’essersi [questo periodizzamento, ndr] formato insensibilmente torna piuttosto a suo merito che a demerito, perchè vuol dire che non fu escogitato da arbitrio individuale, ma ha accompagnato lo svolgimento stesso della coscienza moderna» (15).

Venendo alla specifica storiografia sul medioevo, Falco volle replicare agli studiosi che – che influenzati dal positivismo – avevano contestato «l’esistenza […] e il valore del Medioevo come periodo storico unitario» (16). Per far ciò occorreva, di questo periodo storico, comprendere i tratti fondamentali e precisare i confini cronologici. Quanto a questi ultimi, l’opzione del terminus a quo e del terminus ad quem utili a fissare i limiti dell’epoca non può che essere determinata dal rinvenimento di quelle caratteristiche specifiche che contraddistinguono una data epoca.

La pertinenza di una periodizzazione storiografica e, quindi, in relazione all’oculata intuizione di quello specifico proprium che rende possibile, in modo più o meno esatto, identificare un arco storico.

Il già citato Keller, nella sua Historia Medii Aevi, circoscrisse l’epoca tra la legalizzazione del Cristianesimo (con l’editto del 313) e la caduta di Costantinopoli (nel 1453). Più tardi i termini convenzionali si fissarono con la deposizione dell’ultimo imperatore di Roma (anno 476) e con la scoperta di Colombo (ottobre 1492). Rivoluzionando la tesi abituale, lo storico belga Henri Pirenne (1862-1935) ha sostenuto che la frattura nella continuità storica non fu tanto prodotta dalla caduta dell’impero e dalle invasioni barbariche, quanto dall’espansione islamica e dalla costituzione dell’impero latino-germanico di Carlo. La fine della millenaria unità del Mediterraneo sarebbe, a suo avviso, la vera novità che determinerebbe la nuova era, cosicché l’inizio del medioevo occidentale dovrebbe essere posposto al secolo VIII (17).

L’essenza del medioevo

Esattamente da queste disquisizioni storiografiche prende le mosse Giorgio Falco nell’avvio della sua opera più famosa, La Santa Romana Repubblica. Il volume era il risultato di una serie di lezioni tenute a Torino tra il 1936 ed il 1938 ad un gruppo di colte signore (18). E sorprendente che un testo di tale importanza sia nato all’esterno degli atenei e sia da considerarsi nient’altro che la raccolta di conferenze per un ristretto circolo privato. Tuttavia, ancora oggi, a decenni di distanza dalla sua prima apparizione, La Santa Romana Repubblica e considerato un classico di storia medievale; addirittura per un altro illustre medievalista, il lombardo Piero Zerbi (1922-2008), e «forse il più bel libro di storia che sia stato scritto » (19).

Il lavoro di Falco comparve con il significativo sottotitolo Profilo storico del medioevo; come dicevamo già, la prima edizione del testo risale al 1942, quando il volume dovette essere pubblicato sotto falso nome a causa della legislazione razziale. La seconda edizione – che e del 1954 – e sensibilmente più ampia, mentre le successive – sino alla quarta del 1963 (20) – contengono solo mutamenti marginali (21).

Tra i piu significativi rappresentanti della storiografia cattolica, Giorgio Falco, insieme al belga Leopold Genicot (1914- 1995) (22), e tra quei medievalisti che hanno voluto leggere l’epoca e la civiltà soprattutto attraverso lo studio degli aspetti della vita culturale e spirituale. Attraverso questa prospettiva, gli studi di Falco possono essere considerati sostanzialmente unitari. Una continuità di visione che appare netta anche per alcune evidenti identità, come la derivazione dell’introduzione e della conclusione de La Santa Romana Repubblica dalle altre pubblicazioni, ed in particolare, da La polemica sul Medioevo, come l’autore stesso precisa (23).

Sin dall’esordio – nel primo capitolo introduttivo –, Falco dimostra di voler rispondere alla domanda su che cosa abbia caratterizzato il medioevo, cosa abbia essenzialmente accomunato gli uomini dell’epoca. L’individuazione del quid proprium della civilta medievale e cosi definita: «la coscienza cristiana e romana, in una parola, cattolica, e la sostanza del medio evo. […] A questo fondamento religioso vanno ricondotti tutti i grandi aspetti del periodo» (24).

Allorquando un periodo non riuscisse ad esprimere una sua peculiare specificità, la sua svalutazione sarebbe pressoché inevitabile, oltre che legittima. Ma Falco metteva immediatamente in luce la capacita – oltre che l’autocoscienza dell’epoca – di dare vita, prima, a quella originalissima sintesi tra cristianesimo e cultura romana – che costituirebbe già il primo momento della civiltà medievale (cfr. Cap. II: L’impero cristiano. Costantino) – e, successivamente, di fusione tra cristianesimo romano e germanesimo (cfr. Cap. III e IV).

Questa sintesi è alla base della formidabile unità europea. Questa è la ragione per la quale lo storico torinese, piuttosto che di medioevo, preferisce parlare di “Santa Romana Repubblica”: «se davvero vogliamo configurare in maniera chiara e persuasiva, con un proprio problema e un proprio significato un momento della storia generale mediterranea, al quale legittimamente vada attribuito il nome di medio evo, questo non potrà essere se non la storia di quella che ameremmo chiamare la Santa Romana Repubblica, cioè la storia della fondazione d’Europa su base cristiana e romana, della formazione e della dissociazione del cattolicesimo europeo» (25).

Se e vero che nessuno studio non può mai presentare in modo esaustivo e completo una fase storica, e comunque altrettanto vero che legittimamente si possono operare delle scelte, privilegiare dei campi, optare per ottiche che mettano maggiormente in luce aspetti particolari e visuali peculiari, aspetti atti a sottolineare significati e momenti specifici. Ogni approccio alla storia è frutto di decisioni e opzioni storiografiche. Oltre i grandi motivi ispiratori già richiamati, quali sono, dunque, le scelte – diremmo cosi – tecniche che soggiacciono al lavoro di Falco?

Primo. L’autore de La Santa Romana Repubblica è ben cosciente che nello stesso periodo nel bacino mediterraneo sono presenti non una, bensì almeno tre grandi civiltà distinte: oltre quella cristiano-germanica, vi e quella bizantina e quella araboislamica. Lo storico torinese ne dichiara le differenze e non si riconosce nella tendenza a considerarle insieme, abbracciandole in un’unica analisi storica (26).

Secondo. Scorrendo l’indice, si ci accorge che ad ogni capitolo, corrispondente ad un ciclo di anni, è quasi sempre legato un personaggio. Si tratta, di volta in volta, di figure che per la loro statura non solo hanno profondamente influenzato un’età, ma che di questa età sono anche l’espressione più significativa (27). La “biografia storica” cosi assume, in questa opera, rilievo davvero singolare.

La Santa Romana Repubblica

Proviamo a scorrere il testo di Falco cercando di dare spazio alla sua suadente prosa.

1. L’impero cristiano e i germani

La fusione del mondo cristiano con quello romano, quindi, ha dato vita all’universalismo cristiano-romano, focalizzato nei due passaggi-chiave: quello di Costantino e quello di Teodosio (cfr. Cap. II: L’impero cristiano). La tolleranza religiosa che si attua a partire dall’editto dell’anno 313 «era nel tempo stesso la dichiarazione di impotenza, da parte dell’impero, a rianimare ciò ch’era morto, a soffocare ciò ch’era più vivo nella coscienza degli uomini» (28). Ma l’incontro e lo scontro, immediatamente successivi, tra romanità e germanesimo determinò la rottura del primo momento della civiltà medievale, provocando una crisi profonda.

Un urto personificato da due uomini significativamente emblematici: Stilicone (395-408) e Alarico (+410 ca.). Mentre Stilicone, che fu valente generale di Teodosio, prima, e di Onorio, poi, esprimeva e manifestava la fusione delle due realtà, Alarico, il re dei visigoti, rappresentava il contrasto e l’opposizione germanica all’impero romano (cfr. Cap. III: I Germani. Stilicone e Alarico).

Dirà altrove Falco: «la verità è che l’impero muore in Occidente nello sforzo eroico di accogliere i barbari nell’orbita della civiltà; [la verità e, ndr] che i barbari, ariani o pagani, ottengono la nuova cittadinanza solo a condizione di piegarsi alla disciplina e alla dottrina di Roma» (29). Ed infatti: «la morte della Roma imperiale era il trionfo della Roma di Cristo; a prezzo della vita dell’impero riportava l’ultima e la maggiore vittoria della sua esistenza secolare accogliendo i barbari nell’orbita civile di Roma» (30).

Saranno, però, due le soluzioni a questo conflitto di civiltà ed alla difficile integrazione romano-barbarica: la mera coesistenza delle due entità, avutasi con il re ostrogoto Teodorico (493-526) e la piena fusione tra esse, che invece si realizzo con Clodoveo (481-511), re dei franchi. Gli ostrogoti, fermi alla loro vita germanica e alla loro fede ariana, non si amalgamarono mai con i romani; i franchi, al contrario, con la conversione al cattolicesimo, iniziarono a porre in essere quell’alleanza con la Chiesa romana da cui, attraverso l’impero, nascerà l’Europa medievale (cfr. Cap. IV: Germanesimo ariano e cattolicismo romano. Teodorico e Clodoveo).

«Né il credo religioso era questione di pacifica convivenza individuale, o di vuota, consuetudinaria pratica di culto. Chi dice cattolico, dice al tempo stesso romano, cioè tutta una tradizione, tutto un modo di vivere e di pensare; chi dice ariano, dice nel tempo stesso germanico, tutta una cultura opposta, inconciliabile con la Romanita» (31).

2. Costruzione dell’Europa e differenziazione con l’Oriente

Al disfacimento del secolo VI subentra l’esperienza del monachesimo e, mentre la civiltà pare distruggersi, san Benedetto (480-547) e l’ordine benedettino (32), all’interno delle mura dei monasteri, edificano, in embrione, l’Europa (cfr. Cap. V: Il monachesimo occidentale. San Benedetto). «Fuggire, ma – è questo il grande significato – non per rinnegare, potremmo anzi dire per affermare, per salvare i valori più alti della civiltà, per creare, tra le tempeste, l’isola di pace» (33).

Vi e un’altra decisiva forza che contribuisce a questa grande opera di fondamento: il Papato (cfr. Cap. VI: La Chiesa romana. San Gregorio Magno). La figura di Gregorio I (590-604) dà prova di questa centralità ormai continentale e non solo spirituale. «L’impero dimostrava alla prova dei fatti la sua insufficienza a mantenere le conquiste di Giustiniano; con uno sforzo lento e doloroso si avviava il distacco definitivo dell’Occidente dall’Oriente; la Chiesa aveva trovato un uomo non inferiore alle circostanze ed era condotta, sotto il suo governo, a districarsi dal cesaro-papismo bizantino, a contare sulle proprie forze e ad esercitare il potere, a farsi in certo modo arbitra della contesa tra Bisanzio e i Longobardi» (34).

La divisione dell’impero operata da Diocleziano nell’anno 293 aveva segnato l’inizio di un processo politico-culturale religioso che non si era più arrestato. Ma tra il VII e VIII secolo la differenziazione nella cristianità tra Occidente ed Oriente, tra la Chiesa latina e la Chiesa bizantina si avviava oramai ad un’irreparabile ed anche formale separazione (35). I motivi dei contrasti erano numerosi e sempre più radicati, ma la diffusione del monofisismo, l’adesione imperiale al monotelismo e infine la lotta dell’iconoclastia (anno 726), segnarono quasi un punto di non ritorno. Falco dedica alla contesa tra Roma e Bisanzio un capitolo assai importante (il VII: La lotta dell’iconoclasmo. Roma e Bisanzio), assai importante per la comprensione di una sostanziale incomunicabilità tra le due civiltà e di una relativamente rilevante comune estraneità ai reciproci processi di sviluppo.

«Da una parte era l’ideale unitario dell’impero, il potere universale, politico e religioso, dall’altra era il primato romano e l’Europa che si veniva articolando intorno ad esso» (36)

3. L’impero feudale

L’urto con Bisanzio e le minacce dei Longobardi spinsero il Papato all’alleanza con i Franchi. L’incoronazione imperiale di Carlo, annullando la giurisdizione di Bisanzio, rendeva, di fatto, insignificante il titolo imperiale orientale ed emancipava, anche sul piano del diritto, l’Occidente. Con la consacrazione della notte del Natale dell’anno 800, con la creazione dell’impero sacro e romano, nasceva l’Europa con le caratteristiche di romanità, cristianità e germanesimo (cfr. Cap. VIII: La fondazione d’Europa. Carlomagno). Falco riconosce la grandezza di Carlo magno (37) ≪non nell’aver creato dal nulla, ma nell’aver tratto alle estreme conseguenze le premesse poste dai suoi maggiori e dal suo popolo; nell’avere con trent’anni di giovinezza inesausta, impassibile ai colpi della fortuna, promosso la fede battagliera dei Franchi, sino a fare del loro regno l’Europa, l’impero, in altre parole, l’espressione concreta della coscienza cristiana dell’Occidente contro Arabi e Bizantini» (38).

La creazione di Carlo e il gran momento sul quale Falco non può non ritornare: «ciò che veramente importa sapere, ciò che costituisce il significato del medio evo, e come, dalle invasioni e dal sommario aggregato dei popoli riuniti sotto lo scettro di Carlomagno, si sia venuta formando l’Europa» (39).

Ma l’instabilità e la precarietà di questa universalità si manifesta quando, venendo meno la personalità di Carlo(40), rinascono tutti i particolarismi fomentati dal sistema feudale (cfr. Cap. IX: Il particolarismo medievale. Alberico II). La distanza tra la mentalità moderna e il particolarismo di quei secoli è assai grande. Centralismo e statalismo sono concetti inapplicabili a quella situazione cosi come questi concetti sono intrinseci alla nostra coscienza di uomini moderni «Il momento della nostra storia in cui una siffatta coscienza quasi non esiste e il periodo che va approssimativamente dallo scorcio del IX secolo, cioè dalla fine dell’impero carolingio, alla seconda meta del X, cioè alla instaurazione ottoniana» (41).

Sarebbe, pero, un grossolano errore ritenere il particolarismo un vizio sociale o la causa di sottosviluppo. Consentendoci una divagazione possiamo ricorrere alle considerazioni di Friedrich A. von Hayek (1899-1992) o alle ricerche di Murray N. Rothbard (1926-1995). A proposito della civiltà europea durante il medioevo, l’austriaco Hayek scriveva: «si può dire che l’espansione del capitalismo – e della civiltà europea – trovi le sue origini e la sua ragion d’être nell’anarchia politica. Non fu sotto i governi più potenti, ma nelle citta del Rinascimento italiano, della Germania meridionale, dei Paesi Bassi e finalmente dell’Inghilterra priva di un governo forte, governata cioè da borghesi piuttosto che dai guerrieri, che si sviluppò l’industrialismo moderno. La protezione della libertà individuale, non la direzione del suo uso da parte del governo, ha posto le fondamenta per la crescita di una fitta rete di scambi di servizi che ha formato l’ordine esteso» (42).

E a seguito delle sue vaste ricerche storiche, l’americano Rothbard concludeva in questo modo: «il libero mercato e il capitalismo fiorirono più precocemente e con maggiore fortuna proprio in quei paesi nei quali […] il potere del governo centrale era […] più debole: i comuni italiani e l’Olanda e l’Inghilterra del diciassettesimo secolo» (43).

Anche per Falco – benché da altra prospettiva – sarebbe un errore considerare il secolo X solo un’epoca di regresso: nei particolarismi il medievalista sembra scorgere, in germe, il principio di una nuova edificazione che parte dalla valorizzazione delle piccole forze locali, grazie all’inesistenza di un potere centrale forte (44). Ma il secolo X e anche secolo di crisi profonda da cui non è esente il Papato. E Falco vede questa crisi attraverso la figura di Alberico II (932-954). Al periodo di travaglio subentra il tentativo di restaurazione dell’universalismo, prima sotto il segno imperiale, poi sotto quello pontificio.

In entrambi i casi si tratta comunque di una simbiosi indissolubile di potere spirituale e temporale, unita tipicamente medievale. Con la casa di Sassonia e l’impero a condurre la partita, ma significativo e il fatto che Falco considera il personaggio-chiave non tanto la figura di Ottone I (936-973), quanto quella di Ottone III (983.996-1002), ideale restauratore dell’impero in tutto il suo splendore (cfr.Cap. X: L’impero feudale. Ottone III).

«I tre Ottoni vanno via via declinando: dalla grandezza del primo, per quasi quarant’anni protagonista della storia europea; al secondo, infelice avversario di Arabi e Bizantini, fuggiasco e superstite a stento dalla battaglia di Stilo, scomparso nel fiore della giovinezza; al terzo Ottone, tipo fantastico di scettrato religioso e superstizioso, di asceta ambizioso e vendicativo, morto a ventidue anni dopo aver visto fallire un suo sogno vano di Renovatio» (45).

Dopo il cosiddetto “periodo di ferro” (46) durante il quale la cattedra di Pietro era stata in triste balia della corrotta nobiltà romana, la Chiesa, benché ora guidata da pastori degni, era sotto il pericolo di un completo assoggettamento per la politica imperiale relativa alla nomina dei vescovi-conti. Della richiesta di libertà della Chiesa si fece portavoce un movimento di energici riformatori che ebbe tra le sue più zelanti guide Pier Damiani (1007-1077) e Ildebrando di Sovana (1020/1025-1085).

Quando quest’ultimo sali al soglio pontificio con il nome di Gregorio VII (1073-1085) per la Chiesa si aprì, si, uno dei capitoli più gloriosi della storia del Cristianesimo, ma – per la cessazione della tutela e delle ingerenze del potere laico – aveva inizio anche uno dei più duri ed estenuanti contrasti (cfr. Cap. XI: La riscossa antifeudale della Chiesa. Gregorio VII). Il Pontefice si rese protagonista di una vasta opera di intese e vincoli – non solo spirituali – con molte delle nuove forze politiche e statali ormai fuori dall’orbita dell’impero. Tra esse, determinante fu l’alleanza con i normanni: segno che ormai la res publica christiana sussisteva tranquillamente al di fuori e contro l’impero stesso. «In realtà era avvenuto qualcosa di gravissimo e di irreparabile […]. La lotta delle Investiture e i Concordati […], significano che l’unità politico-religiosa dell’Occidente – s’intenda la parola con la debita discrezione – e terminata, che la Santa Romana Repubblica si avvia alla dissoluzione» (47).

Il perseguimento di questa organica unita comunque non è più nella forma della “diarchia” pontificio-imperiale, ma ora l’uno ora l’altro potere e tentato, in un vigoroso sforzo, di sottomettere alla propria autorità l’altra parte. E’ questa l’epoca in cui si afferma, nell’ambito della cristianità occidentale, la giurisdizione ierocratica come diritto a governare l’organizzazione internazionale ai danni della potestas imperiale. Con la riforma gregoriana e la lotta per le investiture si passa dall’invocazione della libertas ecclesiae all’affermazione della plenitudo potestatis papale. E’ l’epoca della supremazia del potere spirituale sul temporale, della Chiesa sullo Stato. Conseguenza di questa nuova unità temporale e spirituale intorno al capo della cristianità e anche la riscossa europea contro l’islam (cfr. Cap. XII: L’espansione del mondo cattolico. La prima crociata).

«Tutta quella somma mirabile di energie e di esperienze, in virtù delle quali la minaccia turca e arrestata, l’Europa conquista per tre secoli il suo mare e dà vita al di là del mare a un’altra piccola Europa, un fecondo alito di civiltà corre dall’Oriente arabo e bizantino sull’Occidente delle grandi forze elementari e della poesia, che prima con l’aiuto della Chiesa teocratica, poi contro di essa, si prepara alla conquista di una nuova coscienza civile» (48).

4. La crisi dell’universalismo

Se Federico il Barbarossa (1152-1190) (49) lottò per inseguire il sogno dell’unificazione dell’Occidente, il figlio Enrico VI (1190-1197) merita, a giudizio di Falco, maggiore importanza per essersi più del padre avvicinato al successo (cfr. Cap. XIII: L’estremo sforzo dell’impero medievale. Enrico VI). «L’età di Enrico VI segna il momento critico, lo sforzo supremo compiuto dall’impero medievale per la sua salvezza e pel suo trionfo. Di fronte all’Europa dei comuni e delle monarchie che si veniva progressivamente differenziando e articolando, l’impero universale, feudale ed elettivo, non più sorretto da una fede, era un anacronismo» (50).

Se Innocenzo III (1198-1216) si era trovato a contrastare i colpi di coda di quello che per il Falco può essere considerato l’ultimo grande tentativo imperiale, un secolo dopo, Bonifacio VIII (1294-1303) non avrà più come avversario l’impero, bensì una monarchia nazionale, la Francia di Filippo IV il Bello (1285- 1314), segno di una situazione politica definitivamente mutata (cfr. Cap. XIV: L’estremo sforzo del papato medievale. Bonifacio VIII). La Chiesa, che con Gregorio VII, nel secolo XI, aveva patrocinato la nascita di realtà statali indipendenti dall’impero, si trova, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, a scontrarsi contro di esse, ormai gelose della propria autonomia.

«L’Europa, creatura della Chiesa, guardava al suo avvenire, non al suo passato, sentiva, non il suo debito di gratitudine, ma un’ansia di liberazione e di conquista, un rancore più o meno distinto contro Roma, che lavorava e imponeva sacrifici per la propria grandezza, parlava un linguaggio ormai inconsueto e offensivo, bandiva imprese, ora estranee alla coscienza dell’Occidente, ora dannose ai particolari interessi. Erano in gestazione, nella dottrina e nella pratica, la sovranità dello Stato, l’autonomia dell’attività politica» (51).

La grande contesa terminerà con un grave scacco per il Papato. L’Europa degli Stati nazionali, non ha più bisogno della maternità della Chiesa e la maturità del continente e ormai ricercata contro di essa. La dottrina ierocratica che aveva trovato grande impulso in tutta la tradizione medievale era giunta, con gli anni di Gregorio VII, prima, e con il periodo di Innocenzo III, poi, al suo acme. All’inizio del XIV secolo, con Bonifacio VIII (52), la concezione teocratica (con la bolla Unam Sanctam del 1302) raggiunse il suo apice e, al tempo stesso, l’inizio della sua irreversibile crisi. Da quella sconfitta seguirà, per il sistema ierocratico, un’implacabile parabola discendente che il grande scisma sancirà irrimediabilmente e rovinosamente.

5. Il declino medievale

La decadenza medievale fu drammaticamente segnata da una serie di avvenimenti e di lotte: l’asservimento avignonese (dal 1309 al 1376), il conflitto che contrappose Giovanni XXII (1316-1334) a Ludovico il Bavaro (1314-1347), la crisi della fine secolo XIII, tra la peste nera (1347-1350) e le carestie, l’inquieto clima religioso (testimoniato dall’azione di Wycleff e i lollardi o da Huss) (53), la guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra (dal 1337 al 1453) e soprattutto – per i riflessi che scaturivano minando le fondamenta dell’autorità papale e l’universalismo cattolico – la teoria conciliare (cfr. Cap. XV: La crisi del mondo medievale. Il Concilio di Costanza). Il grande scisma d’Occidente (1378-1417) lacero la cristianità dividendo l’Europa in tre distinte obbedienze: dopo l’elezione di Urbano VI (1378-1389) si arrivo, infatti, ad avere un papa e addirittura due antipapi, uno ad Avignone, l’altro a Pisa.

Toccò, poi, al concilio di Costanza (1414-1418) dirimere l’annosa controversia. Con la nuova elezione di Martino V (1417-1431), lo scisma si riassorbi e le divisioni scomparvero, ma troppo lunga e profonda era stata la crisi perché il Papato, anche restaurato, non ne risentisse.

«Tanto nell’ordine pratico, quanto nell’ordine spirituale, fra Tre e Quattrocento l’Europa cade in preda ad una crisi unica ed immensa, di cui lo scisma non e che un elemento, ma tale per la sua natura da ingenerare un malessere universale, da infondere nei contemporanei il senso di una disperata rovina, da suscitare nelle anime più vigilanti e operose un’ansia rivoluzionaria di salvezza e di liberazione» (54).

Lo stesso potere temporale non tardo a valutare positivamente l’opportunità che ad esso offerta nel liberarsi della tutela cui era stato soggetto in passato. Perciò re e principi seppero inserirsi nella contesa tra il papa e il concilio con la pretesa di poter esercitare il proprio controllo sulla Chiesa. E’ questo il tramonto della cristianità medievale e l’inizio di una nuova età.

«Il medio evo era cosi terminato. L’universalismo triplice ed uno, religioso politico culturale, dopo aver mitigato l’impeto delle invasioni, allargato i confini dell’Occidente, contenuto e avviato a civili ordinamenti il particolarismo feudale, era andato perduto nel mondo stesso che esso aveva creato, ed al fondo comune di un’Europa ormai cristiana e romana erano emersi sempre meglio differenziate individualità nazionali di Stato, di credenze, di cultura» (55).

Epoca di civiltà e spiritualità

Riguardo al testo in generale, un accenno va fatto in merito alla critica (56). Tra i rilievi storiografici mossi a Falco almeno due non possono essere trascurati. La prima obiezione venne dalle scuole storiche tedesche e biasimava il modo con cui si marginalizzava l’apporto germanico a tutto vantaggio del ruolo romano. Viene, pero, in mente Ferdinand Gregorovius (1821-1891), il famoso storico e medievalista tedesco che trascorse buona parte della sua vita a Roma per ricostruire la storia del continente medievale (57). Ciò per dire che anche un illustre storico tedesco, per poter avere un quadro chiaro dell’intera Europa medievale, ebbe bisogno di coltivare una “ottica romana”.

L’altra obiezione riguardava l’estraneità nella quale Falco mantiene l’Oriente. Ma il medievalista torinese non e affatto superficiale nell’evidenziare cause, significato e portata del progressivo distanziamento tra Roma e Bisanzio che altro non e che il distanziamento tra Occidente cattolico e Oriente ortodosso: distinzione e unione dei due poteri supremi, da una parte, e cesaropapismo, dall’altra (58).

Sostanzialmente il nostro autore ha difeso le sue scelte metodologiche sia ribadendo fedeltà al principio secondo il quale non si dà storia se non di problemi particolari, sia riaffermando il suo interesse circoscritto e determinato a scrutare ed investigare prevalentemente, se non esclusivamente, la formazione dell’Europa occidentale (59).

Tuttavia e un altro l’aspetto dell’impostazione di Falco sul quale interrogarsi più in profondità. Esso riguarda l’influenza storicistica da cui il grande medievalista non fu esente (60). Che non si sia trattato di un’adesione completa e lo stesso Falco a provarlo nel momento in cui, pur compiacendosi del legame con Benedetto Croce, non nascondeva affatto i suoi dubbi nei confronti dell’impostazione idealista (61).

Pur tuttavia, si percepisce in alcuni passi (ad esempio in qualche aspetto che riguarda Costantino [62] o Marozia [63] o Enrico IV [64] o Enrico VI [65]) la propensione a considerare il male come qualcosa di destinato a riassorbirsi in chiave storicistica ed hegeliana. Infatti, nonostante le «fiere inquietudini» (66) che lo storicismo e l’idealismo gli procuravano, Falco non ha disconosciuto la sua dipendenza dal filosofo napoletano, tanto che in esordio de La Santa Romana Repubblica non fa fatto mancare questo riconoscimento quasi solenne: «come apparirà chiaro a chi avrà la pazienza di leggere, questo libro esce dalla scuola di Benedetto Croce» (67).

Non si trattava di una stima a senso unico. Croce ricambiava ampiamente. A dimostrarlo stanno le parole con cui il filosofo napoletano valuto La Santa Romana Repubblica. Infatti, in una lettera indirizzata a Falco – che questi serbava «fra le memorie preziose della [sua] vita» (68) –, Croce confessava: «voi sapete qual e il mio ideale di un libro di storia: ridurre la notizia dei fatti a un racconto di un dramma dell’anima. E questo ideale l’ho trovato con gioia a pieno attuato nel vostro libro» (69).

Certamente Falco fu assai capace di «ridurre la notizia dei fatti a un racconto di un dramma dell’anima» o, se si preferisce, assai abile nel tradurre anche i fatti più imponenti nella dimensione del dramma dei singoli protagonisti. Le descrizioni di Falco dipingono una storia impregnata di pensiero e segnata dai personaggi, quasi a costituire dei quadri dei momenti fondamentali, dei medaglioni nei quali ogni figura esprime e spiega una situazione storica.

Più che normale prosa, la narrazione di Falco e avvicinabile al genere del dramma, il dramma che rivive nei personaggi chiamati, di volta in volta, ad essere il perno dei fatti. La bravura di Falco può far scivolare la storia nel romanzo, ma ciò è, contemporaneamente, un limite e un pregio (70). Quanto al primo aspetto (quello del limite), nell’opera di Falco (nella quale non si incontreranno le date degli anni, se non in pochi casi) spesso si ha l’impressione di essere introdotti in una storia romanzata che avvince, ma che rischia anche di calcare troppo la mano sul carattere delle singole personalità (cosi, ad esempio, per Valente [71] o per Clodoveo e Teodorico [72] o per papa Sergio I [73])).

Quanto al pregio, è innegabile che, in questo modo, anche i fatti più rilevanti della storia vengono percepiti in tutta la loro umanità perché vengono scanditi attraverso la ricostruzione del tormento umano che li ha animati (74). Un racconto siffatto affascina e coinvolge perché consente di veder sfilare i grandi momenti della storia medioevale attraverso i sentimenti dei suoi protagonisti e dei grandi personaggi.

Per tutto ciò, per quanto – come sostiene Piero Zerbi – oggi possa considerarsi superato (75), il libro di Falco rimane tra i grandi testi di storia medioevale (76). Un testo che attrae, certo, per il suo stile e per la prospettiva della ricostruzione, ma soprattutto per come affronta il problema dell’unita spirituale e culturale dell’Europa. E’ questo il vero nucleo del medioevo, ciò che costituisce, come lo stesso Falco dichiara, il medioevo, come “problema” (77).

Ma e esattamente focalizzando questo nucleo che Falco ha contribuito ad aprire gli orizzonti dei nuovi storici, favorendo il superamento di tanti pregiudizi che ancora gravavano sull’epoca. D’altra parte, il medievalista torinese è stato esemplare anche nel dipingere non solo il carattere, ma anche il tramonto del medioevo. Quanto al carattere del lungo millennio, non può non essere ancora ricordata l’unita, nel medioevo, dell’uomo e del mondo, unità che ha poi la sua manifestazione sociale nell’universalismo cristiano (religioso, politico e culturale).

Un’unita mai compiuta, ma sempre ricercata. Scriverà Falco nel 1944: «l’Europa medievale di Chiesa e Impero era stata assai più una consapevolezza civile e religiosa che un solido organismo politico, una norma di legge positiva» (78). Quanto al crepuscolo del medioevo, esso si avviò quando quell’unità venne posta in discussione da quegli stessi fattori che volevano riformare la cristianità medievale (la reformatio): «La renovatio, che […] era stata ripetutamente invocata […], si compiva […], non nell’universalismo di Chiesa e d’Impero, ma contro di esso» (79).

Il medio evo, cosi, tramontava mentre si affacciava una nuova concezione della vita personale e della vita comunitaria. «Era una nuova concezione politica, che affermava nello Stato la sorgente del suo potere e il suo scopo, era nuova concezione religiosa che contrapponeva alla tradizione cattolica le Sacre Scritture interpretate secondo il libero esame, era riscoperta del classicismo, come modello di vita e di bellezza, rivalutazione dell’uomo e della natura, irresistibile impulso alla conoscenza e alla conquista del mondo» (80).

Per l’uomo moderno è difficile comprendere la concezione della vita e della vita sociale dell’uomo medioevale. Vi sono alcuni grandi concetti che «sono ormai così connaturati con la coscienza moderna quali i concetti della sovranità dello Stato, della separazione dello Stato dalla Chiesa, della distinzione tra diritto pubblico e diritto privato, che riesce oggi oltremodo difficile concepire l’ideale unitario, politico-religioso del medio evo» (81). Ma per quanto sia difficile concepire ciò, Falco, con i suoi studi, ha operato un ponte per aiutare i moderni a comprendere e ad apprezzare ciò che l’uomo medievale amava.

Nel capitolo conclusivo Falco si limita a richiamare le linee dei fondamentali passaggi che hanno reso feconda una grande epoca di civiltà e spiritualità. Un’epoca in cui il cristianesimo, entrando nella storia, e stato germe di costruzione di cultura, caratterizzando un’epoca nella quale la realtà era interpretata in modo unitario perché la fede veniva vissuta come integrale esperienza umana.

Si fa dunque fatica e risulta comunque difficoltoso capire come un periodo che ha saputo produrre un’originale civiltà abbia per tanto tempo goduto di cosi sinistra fama, tanto più radicata quanto più presente nell’immaginario collettivo. Con questo ovviamente non si vuole, quasi per contrappasso, frettolosamente canonizzare un intero millennio di storia; si vuole solo scongiurare il peso di un pregiudizio che comprometterebbe il lavoro scientifico di ricerca storica.

Ci sia, allora, consentito richiamare una suggestiva espressione di un profondo poeta qual e Thomas Stearns Eliot (1888-1965) che – ci sembra – tenga bene presente grandezza e limiti del medioevo: «Solo la fede poteva aver fatto ciò che fu fatto bene,/ l’integra fede di pochi, / la fede parziale di molti. / Non l’avarizia, lascivia, tradimento, / invidia, indolenza, golosità, gelosia, orgoglio: / non queste cose fecero le crociate, / ma furono queste cose che le disfecero» (82).

Alla bella poetica di Eliot e giusto aggiungere, per la conclusione le parole di Falco il cui studio del medioevo torna quanto mai di attualità per la «tremenda crisi soprattutto morale» (83) in cui versa l’Occidente che ha rinnegato le sue origini e che all’universalismo cristiano ha rimpiazzato l’europeismo statalista. Più che mai c’é bisogno di civiltà; questa si potrà meglio conservare se si guarda saggiamente indietro (84), se si guarda a quella storia che rese grande il vecchio continente. E, con Falco, si potrà allora ripetere: «se mai qualcosa oggi ci parla del medio evo e la sorte di questa vecchia Europa, che ha tratto da esso il suo nascimento e la sua norma di civiltà» (85).

Note

 (*) Beniamino DI MARTINO (1963). E’ sacerdote diocesano ed e direttore di «StoriaLibera». Insegna Dottrina Sociale e Storia della Chiesa. Tra le sue pubblicazioni: Note sulla proprietà privata (2009), Il volto dello Stato del Benessere (2013) e I progetti di De Gasperi, Dossetti e Pio XII (2014), Rivoluzione del 1789. La cerniera della modernità politica e sociale (2015). Di prossima uscita: Personalità e pontificato di Benedetto XIII nell’opera di Ludwig von Pastor (2016), Vangelo, povertà e ricchezza e La Dottrina Sociale Cattolica. Principi fondamentali e sviluppo storico.

1) Alla moglie è dedicata La Santa Romana Repubblica che si apre con queste parole: «A Nelda caro nome con l’anima d’allora».

2) Brezzi ha insegnato Storia del cristianesimo all’Università di Napoli e Storia medievale in quella di Roma. Dal 1976 al 1983 e stato anche senatore della repubblica nelle liste della Sinistra indipendente.

3) Cfr. ARSENIO FRUGONI, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Einaudi, Torino 1989, p. VII.

4) GIROLAMO ARNALDI, voce Falco, Giorgio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1994, volume 44, p. 300.

5) Cfr. GIORGIO FALCO, Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi,Milano – Napoli 1960, p 562.

6) GIORGIO FALCO, La Santa Romana Repubblica. Profilo storico del Medio Evo, Ricciardi, Milano – Napoli 1986, p. 3.

7) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 3-6; cfr. GIORGIO FALCO, La polemica sul Medioevo, introduzione di Fulvio Tessitore, Guida, Napoli 1988, p. 100; cfr. RAFFAELLO MORGHEN, Il medioevo nella storiografia dell’Età moderna, in AA. VV., Nuove questioni di storia medioevale, Marzorati, Milano 1977, p. 1; cfr. MARCO TANGHERONI, La “leggenda nera” sul medioevo, in «Cristianità», 6 (1978), n. 34-35 (febbraio-marzo 1978), p. 7-9.

8) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 3.

9) GIORGIO FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 533.

10) Cfr. FALCO, La polemica sul Medioevo, cit., p. 43s.

11) Cfr. Ivi, p. 55s.

12) Cfr. Ivi, p. 109s.

13) Cfr. Ivi, p. 297s.

14) BENEDETTO CROCE, Teoria e storia della storiografia, Laterza, Bari 1954, p. 103.

15) Ibidem.

16) FALCO, La polemica sul Medioevo, cit., p. 27.

17) Cfr. HENRI PIRENNE, Maometto e Carlo Magno, Laterza, Bari 1971 (Mahomet et Charlemagne, Bruxelles 1937).

18) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. VII.

19) PIETRO ZERBI, Il Medioevo nella storiografia degli ultimi vent’anni, Vita e Pensiero, Milano 1985, p. 3.

20) L’edizione del testo utilizzata per il nostro studio e ovviamente quella cui faremo riferimento nelle note. Si tratta – come riportano le citazioni – di una ristampa dell’edizione del 1963 che fu curata dallo stesso autore.

21) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. VIII.

22) Ci sia consentito richiamare una frase dello storico belga che, parlando dell’epoca medievale, si riferiva all’«immensa folla di coloro che, sotto lo sguardo di Dio hanno, per oltre un millennio, servito, in Occidente, la causa del bene, del bello e del vero» (LEOPOLD GENICOT, Profilo della società medievale, Vita e Pensiero, Milano 1968, p. 357).

23) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 13.

24) Ivi, p. 11.

25) Ivi, p. 10.

26) Cfr. Ivi, p. 6.7.9-10.

27) Cfr. ZERBI, Il Medioevo nella storiografia degli ultimi vent’anni, cit., p. 19.

28) Ivi, p. 24.

29) FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 534.

30) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 52.

31) Ivi, p. 58.

32) Significativamente Falco da molta attenzione al monachesimo benedettino e pressoché nulla al francescanesimo. Altrove spiegherà le ragioni di questa scelta: cfr. FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 534. Cfr. anche ZERBI, Il Medioevo nella storiografia degli ultimi vent’anni, cit., p. 18.50-51.

33) Ivi, p. 95.

34) Ivi, p. 115.

35) Cfr. GIORGIO FALCO, Oriente ed Occidente nell’alto medioevo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 639-657.

36) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 136.

37) Cfr. GIORGIO FALCO, Una vita di Carlomagno, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 27-35.

38) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 173.

39) FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 534.

40) Cfr. GIORGIO FALCO, I problemi comuni dell’Europa postcarolingia, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 36-58.

41) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 193.

42) FRIEDRICH A. VON HAYEK, La presunzione fatale. Gli errori del socialismo, a cura di Dario Antiseri, Rusconi, Milano 1997, p. 71.

43) MURRAY N. ROTHBARD, L’etica della libertà, Liberilibri, Macerata 2000, p. 123.

44) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 194-195.

45) Ivi, p. 216.

46) Cfr. GIORGIO FALCO, Sui cattivi abati italiani del secolo X, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 76-78.

47) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 254.287.

48) Ivi, p. 282.

49) Cfr. GIORGIO FALCO, Barbarossa, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 658-662.

50) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 314.

51) Ivi, p. 332.

52) Cfr. GIORGIO FALCO, Domus Caietana, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 697-707.

53) Cfr. GIORGIO FALCO, Religiosità popolare e movimenti ereticali dall’XI al XV sec., in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 671-685.

54) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 371.

55) Ivi, p. 409.

56) Cfr. ZERBI, Il Medioevo nella storiografia degli ultimi vent’anni, cit., p. 46-49.

57) Cfr. FERDINAND GREGOROVIUS, Storia della città di Roma nel medioevo, Einaudi, Torino 1973.

58) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 125-168; cfr. FALCO, Oriente ed Occidente nell’alto medioevo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 639-657.

59) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 6-7.9-12.

60) Cfr. MARIA PIA ALBERZONI, La storia medievale. Tra didattica e ricerca, in «Linea Tempo», 4 (2000), n. 1, aprile, p. 47.60; cfr. TANGHERONI, La “leggenda nera” sul medioevo, cit., p. 8; cfr. PIERO ZERBI, Giorgio Falco medievalista, introduzione a GIORGIO FALCO, In margine alla vita e alla storia, Vita e Pensiero, Milano 1967, p. 26; cfr. ZERBI, Il Medioevo nella storiografia degli ultimi vent’anni, cit., p. 28-31.

61) Cfr. FALCO, Pagine sparse di storia e di vita, cit., p 562-563.

62) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 25.

63) Cfr. Ivi, p. 201.

64) Cfr. Ivi, p. 255.

65) Cfr. Ivi, p. 318.

66) GIORGIO FALCO, Cose di questi e d’altri tempi, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 562.

67) GIORGIO FALCO, La Santa Romana Repubblica. Profilo storico del Medio Evo, Ricciardi, Milano – Napoli 1986, p. VIII.

68) FALCO, Cose di questi e d’altri tempi, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 562.

69) Cit. in FULVIO TESSITORE, Introduzione a FALCO, La polemica sul Medioevo, cit., p. 20.

70) Cfr. GIORGIO FALCO, Problematica e storia romanzata, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, Ricciardi, Milano – Napoli 1960, p. 566-569.

71) Cfr. FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 39.

72) Cfr. Ivi, p. 59s.

73) Cfr. Ivi, p. 142.

74) Cfr. FALCO, Problematica e storia romanzata, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 566-569.

75) ZERBI, Il Medioevo nella storiografia degli ultimi vent’anni, cit., p. 3.

76) Ripetiamo l’altra affermazione dello stesso Zerbi: «forse il più bel libro di storia che sia stato scritto».

77) FALCO, Cose di questi e d’altri tempi, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 540s

78) GIORGIO FALCO, In margine alla vita e alla storia, con introduzione di Piero Zerbi, Vita e Pensiero, Milano 1967, p. 78.

79) FALCO, La Santa Romana Repubblica, cit., p. 409.

80) Ivi, p. 410.

81) FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 534.

82) THOMAS STEARNS ELIOT, Cori da «La Rocca», Rizzoli, Milano 1994, p. 111.

83) FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 535.

84) Cfr. GIORGIO FALCO, Historia magistra e viceversa, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 592-597.

85) FALCO, Attualità del medio evo, in ID., Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 535.