Fra’ Dolcino

fra DolcinoIl Timone n.69 gennaio 2008

Un’inquietante eresia nell’epoca conclusiva del Medioevo. Rifiuto della Gerarchia, pratiche sessuali sconcertanti e soprattutto uno smisurato orgoglio conducono alla tragica repressione e alla morte degli eretici. Che naturalmente verranno utilizzati dal laicismo moderno.

Di Marco Meschini

II 2007 ha visto festeggiare, tra gli altri anni-versari, quello di fra’ Dolcino, l’eretico d’inizio XIV secolo che costituisce per alcuni laicisti una bandiera da rispolverare di tanto in tanto. Giusto per fare un paio di esempi, Dolcino era già stato messo in scena da Franca Rame e Dario Fo in Mistero Buffo e un dolciniano compare anche nel Nome della rosa di Umberto Eco. Sono due segnali di quella sorta di “mito” legato alla figura di Dolcino, visto come un precursore del socialismo e, forse ancor di più, come un ribelle contro l’ordine costituito e, naturalmente, contro l’oppressione clericale del Medioevo. Ma è storica una simile visione?

Gli “apostolici”

La parabola pubblica dell’esperienza di Dolcino si compie in meno di sette anni, dal 1300 al 1307. È nell’agosto del 1300, infatti, che un tale Dolcino di Novara si presenta pubblicamente con una lettera in cui sostiene, senza mezzi termini, di essere il capo degli “apostolici”. Si trattava di un gruppo ereticale iniziato verso il 1260 da un altro personaggio, il parmense Gerardo Segarelli, il quale propugnava un ritorno alle (supposte) condizioni della Chiesa primitiva: le esigenze di povertà ed evangelismo non erano certo condannabili in sé e il movimento si diffuse con una certa ampiezza tra Emilia, Toscana e Lombardia, più altre propaggini minori.

La rottura con le autorità ecclesiastiche si ebbe quando gli “apostolici” cominciarono a predicare la disobbedienza al Papa e in genere alla Gerarchia, vista come corrotta e destinata a una rapida distruzione da parte del Cielo. Contro siffatta visione – che aveva già condotto fuori dalla Chiesa diversi movimenti nei decenni precedenti – si mosse l’Inquisizione, comminando varie pene (dalla reclusione alla “crocesignatura”, ovvero l’obbligo di portare sulle vesti, durante il periodo di penitenza seguita al rinne-gamento dell’eresia, croci di stoffa color zafferano) culminate nel rogo dello stesso Gerardo, dopo varie incarcerazioni, nel luglio del 1300. E proprio subito dopo la morte dell’iniziatore comparve Dolcino.

Dolcino da Novara

Con la sua prima lettera (su tre) Dolcino mise a tacere le liti interne che avevano già scosso e diviso il “movimento apostolico”. Il loro successo, derivante da un’indubbia pratica ascetica almeno tra le figure più in vista, aveva attirato donazioni e lasciti, mescolandosi a un certo punto con un atteggiamento sessuale anormale.

Nell’interrogatorio cui fu sottoposto Gerardo si può leggere per esempio: «Richiesto se un uomo possa toccare una donna che non sia sua moglie e palparsi vicendevolmente nelle zone impudiche standosene nudi senza ombra di peccato… rispose che un uomo e una donna, e un uomo con un uomo e una donna con una donna, possono palparsi e toccarsi vicendevolmente… a condizione che vi sia l’intenzione di pervenire alla perfezione… Non riteneva che tali palpeggiamenti impudichi e carnali fossero peccaminosi, anzi potevano essere fatti senza peccato in un uomo perfetto».

Un simile libertinismo sessuale, unito a un’apparenza di “comunismo” di beni (e persone, appunto) ha indotto non pochi commentatori a vedere negli “apostolici” un’anticipazione medievale del socialismo e della moderna “libertà sessuale”, erigendoli quindi a campioni di una certa modernità, come dicevamo in apertura. È dubbio, tuttavia, che si possa parlare di una vera e propria teorizzazione di questo argomento, anche perché altre fonti vanno in senso contrario e, forse soprattutto, una simile lettura ha il grave difetto di imporre criteri posteriori a una realtà affatto diversa.

Secondo una fonte bene informata, infatti, sembra che gli “apostolici” si rifacessero a un passo della Lettera di Giacomo: «Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché quando sarà stato provato, riceverà la corona della vita» (1,12).

Insomma il libertinaggio sarebbe derivato dal cedimento alla tentazione e dunque il peccato stava soprattutto a monte: il fatto cioè di esporre deliberatamente gli adepti alla seduzione della carne, così da provarli. E che poi molti non superassero la prova è forse implicito nel fatto che, secondo un altro autore, riuscirvi era «impresa maggiore che far resuscitare un morto».

Dunque la tentazione era anzitutto l’ambizione a essere perfetti attraverso una simile prova – banale, peraltro -, a conseguire uno stato di perfezione che li distaccasse dagli altri uomini e rendesse quindi “reale” l’asserzione per cui la “vera Chiesa” era quella guidata da Gerardo prima e Dolcino poi, e non quella cattolica. Anche perché, braccato dagli inquisitori, Dolcino riunì i propri seguaci in Valsesia, fondando una specie di comunità promiscua sulla cosiddetta Parete Calva e poi presso Trivero nel vercellese. E fu lì che si compì il loro destino, quando il vescovo di Vercelli, Raniero degli Avogadri, guidò una crociata – avallata da papa Clemente V- contro di loro, assediandoli per lunghi mesi tra le nevi del Monte Zebello.

Stretti dalla paura e dalla fame, le centinaia di superstiti si arresero nel marzo del 1307: subito eliminati i seguaci, Dolcino e i suoi più stretti collaboratori – tra cui la moglie Margherita, definita «bellissima» dalle fonti – furono suppliziati e arsi sul rogo nel luglio seguente. Era la fine, tragica, di un’eresia non troppo originale, come si capisce analizzando le altre convinzioni dolciniane.

L’ultima età

II fatto che il movimento degli “apostolici” fosse iniziato nel 1260 derivava dalla credenza, diffusasi nel XIII secolo a seguito del pensiero di Gioacchino da Fiore, che in quell’anno sarebbe iniziata una nuova Età di pace – detta dello Spirito – prima del Ritorno di Cristo. Una visione escatologica ripresa appunto anche dagli “apostolici”, che condannavano la Chiesa romana come falsa e ne preconizzavano la fine: Dolcino stesso profetizzò che nel 1303 il Papa (Bonifacio VIII) sarebbe stato ucciso da un nuovo imperatore, l’aragonese Federico III. Dolcino ci andò vicino: nel 1303 Bonifacio subì l’oltraggio di Anagni, ma per mano dei Colonna e degli emissari del re di Francia, morendone poco dopo. Federico d’Aragona, invece, era venuto a patti con gli angioini nel Sud d’Italia (pace di Caltabellotta, 1302) smentendolo drasticamente.

Costretti sulle montagne piemontesi, gli “apostolici” saccheggiarono e depredarono i le popolazioni locali che li avevano in un primo tempo accolti. È dunque strano – o forse no – che alcuni vedano nei dolciniani dei “pacifici” comunisti e dei resistenti ante litteram. Essi furono piuttosto il tragico esempio di un movimento che mira malamente in alto per poi degradarsi a poco a poco sino a venire a patti con tutto ciò che di terreno e peccaminoso – nella loro stessa visione – vi è, perché “tentati” dalla durezza della vita.

E la teorizzazione, se di questo si può parlare, deriva quindi dal tentativo di giustificare a posteriori le derive assunte nel corso del tempo. La repressione fu dunque esagerata e sbagliata, come peraltro la Chiesa ha già riconosciuto: è però la realtà storica stessa che ha svelato la debolezza teorica e pratica degli “apostolici”.

Bibliografia

Fra Dolcino. Nascita, vita e morte di un’eresia medievale, a cura di Raniero Orioli, Europìa – Jaca Book, Novara – Milano 1983.