La figura del padre nella modernità

Studi cattolici n.552 febbraio 2007

All’interno delle famiglie e nelle società liberaldemocratiche la figura del padre appare marginale, se non evanescente, per gli attacchi condotti contro di essa da correnti culturali nate e sviluppatesi negli ultimi due secoli, ma che, attraverso la pervasività dei media, influenzano tuttora costumi e stili di vita delle masse occidentali, in cui paradossalmente annidano i miti arcaici della sessualità indifferenziata.

Sulla scorta di un’esperienza che coniuga teoria e prassi Tony Anatrella, psicoterapeuta e specialista in psichiatria sociale, introduce alla conoscenza delle dinamiche familiari, al cui centro si situa la nozione di paternità, struttura psichica fondamentale perché i figli maturino uno sviluppo senza complessi narcisistici o edipici e siano educati a relazioni libere e responsabili.

A giudizio di Anatrella, sacerdote peraltro in Parigi, la crisi della famiglia – questione cruciale per l’antropologia dell’Occidente – non sta tanto nella mutata immagine paterna storicamente comprensibile, quanto piuttosto nella soppressione ideologica di ruoli e funzioni propri del padre e della madre, con effetti laceranti sull’intero tessuto sociale

di Tony Anatrella

Struttura psichica della paternità Sentiamo spesso nei discorsi improntati sul sociale una nota di rimprovero rivolta ai padri, per aver disatteso il proprio compito. La critica si accentua nel momento in cui essa chiama in causa i padri ai quali viene rimproverato il diffuso disinteresse nei confronti dei propri figli, nonché l’incapacità di educarli. Così essi darebbero prova d’irresponsabilità e di incompetenza abbandonando madri e figli a una relazione simbiotica.

Da qualche anno il discorso sui padri si è modificato. Dopo aver rivendicato il contrasto del padre, poi la sua morte, ci troviamo ora a rimpiangerne la presenza sfocata oppure la scomparsa. Certamente una «società senza padre» ha delle conseguenze, sia sulla capacità di relazionarsi con gli altri, sia sullo sviluppo psicologico dei bambini. Nemmeno le domande che sorgono attorno al padre dimostrano che lui non è morto e che si sta verificando un riassetto sociale.

Conviene egualmente fare una differenza tra la modalità con cui viene vissuto l’esercizio della paternità, che può variare da un periodo all’altro della storia, e la figura paterna, che non cambia nel rispondere ai bisogni essenziali che citerò più avanti. Arriveremo a domandarci dove si colloca la crisi attuale e quali siano le risorse della paternità.

L’esperienza psichica del padrePer diversi motivi può accadere che il padre sia fisicamente assente a causa della sua morte, partenza, del divorzio o per la sua mancata presenza nelle relazioni monoparentali. Questa assenza fisica del padre è sovente mal vissuta, perché manca, al bambino o all’adulto, una dimensione di sicurezza e di realizzazione. Ovviamente, è possibile che eventuali compensazioni possano contribuire a fornire alla personalità quello di cui essa ha bisogno per formarsi.

Ma in molti casi permane un sentimento di vuoto che rende fragile il soggetto, sia nei confronti di sé stesso sia della propria esistenza. Quando in una società il fenomeno dell’assenza paterna diviene massiccio, bisogna attendersi delle conseguenze non solo sul divenire psicologico del singolo individuo, ma anche a livello sociale. Citiamo alcune situazioni sotto forma di esempi clinici:

– Un uomo di sessant’anni diceva recentemente che più invecchiava, più il padre, morto deportato quando egli era bambino, gli mancava assai più rispetto a quando era giovane, a riprova che i problemi attinenti alla figura paterna si presentano spesso in un arco di tempo ampio, non necessariamente in modo acuto.

– Un adolescente di quindici anni, molto destabilizzato sul piano scolastico a seguito della decisione del padre di andare a vivere con un’altra donna, si lamentava di questa situazione affermando: «Un padre non deve fare questo né a sua moglie né ai suoi figli. Spero che lei non faccia mai questo ai suoi figli. Quando un padre lascia la propria casa è il suo tetto che viene meno». Con questa immagine del tetto l’adolescente esprimeva la sensazione di non essere più protetto dalla presenza paterna.

– In una famiglia, in cui il padre mostrava una relativa passività tendendo a lasciare molto spazio alla moglie, uno dei bambini, divenuto giovane adulto, si trova attualmente in terapia: egli riconosce il fatto che i fratelli e le sorelle si siano messi più volte alla ricerca del padre, sollecitandolo o provocandolo affinchè egli esercitasse il proprio ruolo. Ma, purtroppo, egli non è riuscito a fare lo stesso, perché troppo attaccato alla madre che viveva, ella stessa, una relazione di abnorme complicità con il figlio. Oggi questo giovane uomo ha difficoltà a iniziare una conversazione faccia a faccia con una donna, per il timore di venirne schiacciato.

– Una bambina di sei anni, che vive sola con la madre, trascorre il proprio tempo a tentare di farla sposare con gli amici che vengono a trovarle. È un modo, per la bambina, di mettere un uomo, «un padre», tra lei e sua madre.

– Durante un recente programma televisivo, volto a provare che due donne lesbiche, una delle quali era riuscita a farsi inseminare, potevano allevare un bambino senza problemi (tesi poi avvalorata da altri presenti), il conduttore domandò alla figlia di sette anni che cosa ne pensasse. La piccola dichiarò semplicemente, eco a quel concerto di lodi: «Sì, però io non ho il papa». Un giusto lamento di una bambina privata sia dell’uomo sia del padre, figure queste essenziali per la corretta sua crescita.

Dopo la crisi adolescenziale, che rimette in questione le immagini parentali, troviamo la fase post-adolescenziale, periodo durante il quale si verificano dei cambiamenti, spesso diretti alla riconciliazione con l’immagine dei genitori.

A torto o a ragione, numerosi sono i rimproveri che possono essere mossi ai genitori, in particolar modo relativi a un’educazione che non avrebbe favorito la libertà e l’autonomia fino al momento in cui il giovane adulto scopre i limiti dei propri genitori e le inibizioni che egli proiettava su di loro. Questa riconciliazione fisica è necessaria perché il figlio possa accettare la propria mascolinità riconoscendo il padre, e la figlia possa accettare la propria femminilità riconoscendo la madre. Ampliamo le problematiche delineate con qualche osservazione.

Il padre, con la propria presenza fisica, psichica e simbolica, gioca un ruolo strutturante della personalità. Ognuno è relativamente condizionato dall’ «immagine» che si è costruita del proprio padre, a partire dalla quale ha elaborato la propria personalità. Ovvero, «un’immagine paterna». Il punto è sapere in che cosa questa immagine corrisponda al padre a) reale, b) ideale e e) simbolico oppure se ne allontani.

Non mi spingerò oltre tali realtà, ma questi sono tre aspetti che contribuiscono a formare l’immagine psichica, che fungerà da immagine guida nella rappresentazione di sé stesso e del padre. Questa immagine è soprattutto il risultato del modo in cui il padre è stato percepito e vissuto dal bambino, talvolta indipendentemente da quello che egli è in realtà.

Questo padre psichico, ricostruito dalle attese, dalle paure e dalle frustrazioni, è spesso vissuto in maniera distinta dal padre reale. Beninteso, anche il padre reale avrà un’influenza particolare sul bambino. Una personalità brutale, rozza, inquieta, incerta, assente, silenziosa, che scompare dietro la madre per molteplici ragioni, o al contrario una figura dinamica, vigorosa, presente in quanto padre, che condivide attività e si esprime verbalmente, non produrranno gli stessi effetti.

Ma questi potrebbero essere anche neutralizzati o compensati dal bambino medesimo, mentre al contempo altri individui potrebbero subirli. Durante taluni periodi dell’infanzia o dell’adolescenza, malgrado la propria presenza positiva, il padre potrà apparire importuno oppure una figura dalla quale ci si aspetta più riconoscimento.

L’assenza del padre reale e della funzione paterna, ovvero ciò che essa rappresenta come simbolo e su cui torneremo in seguito , può indurre deficit  di sviluppo psichico: mancanza del senso del limite, mancanza di fiducia in sé stessi, scarsa o nessuna percezione dell’identità sessuale propria e altrui, elementi tutti che si esprimono frequentemente con la violenza.

Nonostante l’assenza fisica, l’esistenza del «padre» può tuttavia essere rappresentata nel linguaggio, perfino compensata da altre persone, e soprattutto il suo posto può essere colmato grazie all’immagine positiva che la madre può avere dell’uomo.

In compenso, un’assenza simbolica è più grave, poiché essa significa che gli adulti non sanno più esercitare la propria funzione paterna accanto ai figli: il senso della legge, della differenza sessuale e del reale rischiano di non avere più significato. Ci si può quindi astenere dal parlare del padre? Certamente no.

Talvolta su questo aspetto vengono invece commessi gravi errori nei discorsi degli educatori. Succede infatti che, con il pretesto che alcuni bambini non conoscono il proprio padre o che i loro genitori sono divorziati, si evita di evocare nella famiglia il ruolo della paternità.

Un’insegnante mi diceva che in talune scuole materne alcune sue colleghe si attengono a questo criterio nella festa del papa: semplicemente non ne parlano con gli allievi e, per di più, al fine di non suscitare gelosie, hanno soppresso la realizzazione di oggettini-ricordo in occasione della festa della mamma. Esse pensano senza dubbio di curare così l’assenza del genitore con il silenzio della non presenza.

Ciò dovrebbe invece fornirci un motivo in più per parlare del ruolo e della posizione del padre. Perché è attraverso i discorsi degli adulti che i bambini percepiscono le differenze della simbolica paterna, essenziale per la loro formazione. Nella società odierna l’educazione deve affrontare la mancanza del «padre» e fornire i mezzi per trattarla attraverso il linguaggio.

Numerosi sono i casi di persone che si lamentano di non avere comunicato a sufficienza con il loro genitore, benché riconoscano che, oggettivamente, non hanno nulla da rimproverargli. Si tratta piuttosto di un sentimento, di un’impressione difficili da documentare nella realtà. Il problema sta nel conoscere come si esercita la paternità. Essa è esercitata spesso con il silenzio. Infatti, se la relazione verbale si esprime più facilmente con la madre, è la relazione con il padre che introduce al senso della parola e della cultura. È nell’indicibile e nel fare.

Per la maggior parte del tempo il bambino fa e vuole fare delle cose insieme al padre. Il silenzio di quest’ultimo è talvolta interpretato paradossalmente come indifferenza o come presenza oppressiva. Il silenzio si intride di angoscia e di abbandono, e nel bambino cresce la paura di venire privato della libertà, di essere sorvegliato.

Invece il silenzio è essenziale nella funzione paterna, avvia all’autonomia e lascia spazio affinchè il bambino possa appropriarsi delle sue competenze, tra le quali la parola. Ciò non significa che non esista la conversazione con il padre; permarrà tuttavia sempre un dispiacere latente nel non considerare il padre al pari della madre nel dialogo e nel non confrontarsi a sufficienza con quest’ultimo. Tale dilemma è sempre esistito.

Il padre è colui che lascia spazio alla mancanza, affinchè il desiderio e la parola si sviluppino senza la falsa sensazione di sentirsi soddisfatti. Da molti anni gli psichiatri e gli psicanalisti, costatano la relativa assenza dei padri nella struttura psichica e sociale di numerose persone. Questa carenza si manifesta spesso con turbe dell’identità sessuale, turbe della filiazione, difficoltà a essere razionali e a vivere nella realtà, nonché con l’aumento di comportamenti scorretti causati dalla difficoltà di acquisizione del senso del limite (tossicomania, bulimia/anoressia, atteggiamenti ribelli).

L’inconsistenza dell’immagine paterna si esplicita anche attraverso l’incapacità dei soggetti di istituzionalizzarsi e di sviluppare un solido legame sociale. La relazione istituzionale angoscia le personalità narcisistiche, che non sono in grado di impegnarsi nel sociale per un determinato periodo di tempo: manca loro la maturità temporale, indispensabile per avere una coscienza storica.

E’immagine della presenza paterna è situata nel tempo e nella storia, mentre l’immagine materna si situa nell’immediato. Nella psicologia di numerosi giovani la sola immagine parentale dominante è quella della madre. Ne deduciamo che il matriarcato sociale ed educativo che stiamo vivendo favorisce la formazione di psicologie a carattere psicotico e delirante.

Declino dell’immagine sociale del padre

L’immagine sociale del padre in questi ultimi anni si è evoluta, e abbiamo assistito soprattutto al progressivo indebolimento della figura paterna. Contestualmente si è ingenerata una confusione tra due distinte realtà, l’uomo e la funzione, che origina altra confusione tra la personalità dell’uomo e la funzione del padre. Esaminiamo brevemente questi cambiamenti nella mentalità comune, considerando la diversità tra le modalità nelle quali una società rappresenta il padre e quelle con cui gli uomini desiderano vivere la funzione paterna.

Siamo passati dall’immagine del padre borghese napoleonico, autoritario e infantile, al padre assente e amato che ritorna dalla guerra o che resterà disperso, facendo della madre una vedova e del figlio un orfano. La figura del padre che fa ritorno dalla guerra, ma anche quella di colui che rientra dal lavoro assumeranno una valenza positiva. Durante l’intero periodo tra le due guerre il tema ricorrente sarà quello del ritorno quotidiano del padre al focolare, ma anche di colui che assimila e trasmette ai propri figli la certezza di essere «sfruttato».

L’idea del padre umiliato e rifiutato continuerà a prendere piede dopo il diciottesimo secolo e si affermerà in modo violento negli anni Cinquanta del ventesimo. (Il film Gioventù bruciata con James Dean, l’attore di culto per tutta una generazione, ci fornisce un buon esempio). Questa visione continuerà a svilupparsi attraverso gli avvenimenti del maggio 1968, quando gli adolescenti dell’epoca imposero i propri modelli giovanili, come quello della «morte del padre», modelli con cui conviviamo tuttora, riproponendosi oggi attraverso la crisi dell’educazione, l’infedeltà, l’omosessualità e la tossicodipendenza…

La negazione della realtà è spesso la traduzione del rifiuto del padre. Questa morte sociale del padre, rifiutata e negata, presa in esame da tutta una corrente filosofica, ha foggiato due immagini in reazione a questa mancanza

1) L’immagine del padre-compagno, che deve apparire più come individuo che come simbolo. Per esempio, era per taluni insopportabile farsi chiamare «papa» dai propri figli. Essi preferivano essere chiamati con il proprio nome piuttosto che con il titolo parentale. Il ruolo simbolico veniva svalutato, così come la relazione istituzionale, relegata ad antiquato retaggio della storia passata.

2) L’altra immagine fu quella del papà-chioccia, che invitava il genitore a giocare alla madre. Tale immagine rivelava il tentativo del padre di trovarsi un nuovo posto, mentre cresceva il rifiuto della sua presenza attraverso realtà culturali come il ripudio del legame e l’enfasi della ragione. Ma in questo caso il papa, che non era né madre e ancor meno padre, non ambiva a tanto. Egli svolgeva nella casa il ruolo del primogenito dei figli.

Una riserva mentale progressiva si condensò allora sull’immagine del padre, per sminuirne il valore piuttosto che per aiutarlo a esercitare il proprio ruolo. Si cominciò a parlare di «carenza paterna», come già in passato, o di cattiva immagine del padre associata alla brutalità, all’ubriachezza e al gioco.

Ciò condusse lo Stato a volere sempre più sostituirsi alla sua funzione. Il docente, il medico, il giudice e l’educatore esercitavano progressivamente la propria funzione sul bambino, laddove il padre veniva espropriato del suo potere di trasmettere, di rimproverare, di educare e di aprire i figli alla vita. Il padre era ritenuto incapace di svolgere sia la funzione educativa sia quella di vigilanza dei propri figli.

«Questo individuo è assolutamente illetterato, un po’ alcolizzato e non sembra degno di esercitare l’autorità paterna». È lo stereotipo del padre «carente», che viene proposto da più di un secolo. Le figure dei disegnatori Reiser e Cabu, più vicine a noi, hanno ripreso nei loro disegni la stessa immagine del padre, quella di un poveretto, spesso alcolizzato e incapace di assolvere i propri compiti. Tuttavia questo modello non si addiceva a tutti i padri. Bisognava quindi costruire un’immagine che potesse consentire, nel cuore stesso della società, di manifestare anche indirettamente l’esigenza di destituire il padre.

Osservando l’immagine del padre proposta e commentata nei film o nelle serie televisive attuali, c’è da temere che non sia finita! Nel mondo contemporaneo la carenza paterna non è più unicamente presentata in termini igienisti (anche se gli stereotipi hanno vita dura con i media), ma in termini più psicologici, e talvolta morali, attraverso nozioni quali: «assenza», «abbandono», «mancanza d’autorità». Il processo al padre è sempre in atto e influenza le rappresentazioni sociali e i comportamenti individuali.

Il padre viene spesso presentato come un fallito; ciò non facilita ai giovani il compito di trovare all’interno della società materiali simbolici che li aiutino a in-teriorizzare la funzione paterna. Essi devono soprattutto fare appello alle proprie risorse intime attingendo la dimensione della paternità nell’ambito dell’esperienza personale, a cominciare dal loro padre, al fine di organizzare la propria relazione paterna.

Ecco perché numerosi giovani padri partecipano o assistono a riunioni aventi per oggetto l’apprendimento del loro mestiere di genitore. In particolare quanti non hanno esperienza paterna e non sanno come occuparsi di un bambino o della propria moglie divenuta madre. Spesso essi dicono: «Insegnateci a diventare padri!».

L’aumento dei divorzi e il progresso delle tecniche di procreazione assistita favoriscono la dimenticanza del padre, escluso e allontanato: il padre spossessato del proprio figlio e della propria funzione primaria. Ma il padre è egualmente inesistente fin quando si pretende che il figlio possa essere concepito senza penetrazione sessuale, rimettendosi alla scelta individuale della donna, in nome di una biologizzazione solitaria della filiazione.

Lo Stato ha anche voluto sostituirsi al padre, facendo della madre il genitore dominante o unico del bambino. In qualche modo il diritto ha accentuato l’ineguaglianza tra l’uomo e la donna nei confronti del bambino che sta per nascere. Lo sviluppo dei metodi contraccettivi e l’autorizzazione all’aborto entro le prime dieci settimane di gestazione hanno fatto della donna, che decide da sola se proseguire o no la gravidanza, la proprietaria del bambino.

Al di fuori del matrimonio la madre può riconoscerlo da sola, a discapito del padre. Ovvero, se è un fatto che la maternità non possa essere partecipata, poiché rivela l’esperienza originale della donna, in compenso la procreazione viene condivisa tra l’uomo e la donna e non può essere un’esclusiva della donna, a meno di non avviarci verso il matriarcale.

Sono infatti numerosi i padri che sperimentano sovente un sentimento di ingiustizia, quando si sentono dire che sono assenti. Se taluni lo sono realmente, la maggior parte di essi cerca nondimeno di mantenere la propria funzione equilibratrice nell’ambito familiare, diversamente da altri periodi storici in cui l’immagine sociale del padre era quella di una persona distaccata e autoritaria.

Bisognerebbe tuttavia attenuare un po’ questa visione perché, nel diciottesimo secolo, con il progresso della scolarizzazione, i padri erano molto preoccupati dell’educazione affettiva e intellettuale dei loro figli. Essi si rivelavano molto attivi nel focalizzare la propria attenzione sulle responsabilità delle istituzioni scolastiche, cui veniva richiesta la funzione di un «secondo padre» per i propri figli.

Come vivono i padri al giorno d’oggi? Il loro comportamento è ricco di numerose caratteristiche, che possiamo esporre in dettaglio. Si dice che i padri contemporanei si preoccupino maggiormente della qualità della relazione di coppia e di quella dei loro figli. Essi vogliono essere affettivamente vicini ai figli e mediante tale legame svolgono il loro compito specifico.

Con la propria presenza inseriscono i figli all’interno di una filiazione garantendo loro la triplice funzione di genitore, di sostentatore e di educatore. È per questo motivo che essi rappresentano un riferimento diverso da quello della madre. La loro presenza fisica e relazionale, in particolare, apporta al bambino una sorta di contatto corporale e di scambio affettivo del tutto singolare.

I bambini hanno infatti bisogno della presenza fisica del padre, di giocare, di affrontarsi e misurarsi corporalmente con lui. Questo scambio affettivo con il padre, più vigoroso che quello con la madre, permette ai figli di trovare sicurezza e fiducia in sé stessi. Noi abbiamo avuto la tendenza a disincarnare il padre pensando che, a supplirne l’assenza, fosse sufficiente, una funzione simbolica.

L’ipotesi può talvolta verificarsi, ma nel tentativo di evidenziare eccessivamente la singola realtà simbolica, si finisce per dimenticare l’importanza della presenza fisica del padre.

La simbolica paterna si può spiegare nel radicamento fisico. A forza di voler dimenticare l’importanza della presenza dei corpi, si rischia di annullare anche il simbolo che essi rappresentano. Questa presenza rassicura il bambino e gli da il senso del limite e dell’autorità. Il padre è colui che permette di affrontare la realtà e la separazione, ovvero di inserire tra la madre e il bambino uno spazio che libera dall’immediatezza e dalla fusione con gli esseri e con le cose. Il padre rende liberi.

D’altronde, se il bambino non ha vissuto questa esperienza della paternità, gli sarà difficile, diventato adulto, affrontare la realtà senza provare, a volte, un immenso dolore fisico. Taluni si deprimono al contatto con il reale e pensano al suicidio. Di contro alla nozione del «padre assente» si pone un quesito.

Quando noi affermiamo che i padri sono assenti, di quali padri parliamo? Si tratta dei papà, degli individui che sono padri e che non svolgeranno più la propria funzione, o si tratta della funzione paterna che avrà difficoltà ad affermarsi nella società?

Vorrei qui sottolineare che è la funzione paterna a essere stata progressivamente svalutata sul piano sociale, mentre, per la maggior parte del tempo, nella realtà, i padri adempiono al proprio compito con i figli. Ma le immagini sociali che minimizzano o sminuiscono il valore della paternità non intendono mantenere inalterata la sua funzione simbolica e lasciano intuire che «se ne potrebbe fare a meno».

La negazione del padre porta anche alla svalutazione del male, che provoca automaticamente la svalutazione di tutti i prodotti dell’evoluzione, ovvero la cultura, il linguaggio e il senso della legge e dei limiti. La negazione del padre è altresì il rifiuto del principio di autorità e della trasmissione dei valori, che si costata a scuola e in famiglia.

La vita familiare è spesso paragonata a una società democratica, dove tutto deve essere discusso e deciso insieme, tra genitori e figli. In realtà questo modello non è sostenibile. È necessario parlare e ascoltare i figli, ma essi non devono imporre le proprie esigenze. Sono le leggi della società e degli adulti quelle cui viene demandata la funzione di regolare i rapporti all’interno della famiglia. Diversamente, il bambino crederà che tutto è negoziabile e a disposizione dei propri desideri.

Bisogna riconoscere che la funzione paterna si è sempre più individualizzata, avvicinandosi a quella della madre. Non molto tempo fa il padre individuale e personale era il solo a rappresentare questa funzione simbolica. Nelle società più antiche tale funzione veniva frequentemente assolta non soltanto con l’identificazione paterna, ma anche da un gruppo di padri sociali, che procedevano alle iniziazioni successive. L’iniziazione alla mascolinità non era unicamente compito del padre biologico.

La disgregazione del tessuto sociale e la cessazione della relazione educativa tra gli adulti e la società (perché si lascia intendere che i bambini sono uguali agli adulti a livello psicologico, come se non avessero nulla da apprendere dai loro fratelli maggiori), rappresentano un grande vuoto nella rappresentazione dell’identità mascolina, un vuoto che il padre individuale è chiamato a colmare ma nei confronti del quale egli si sente sprovvisto delle necessarie risorse.

Non c’è da meravigliarsi che la mancanza della funzione paterna favorisca l’insorgenza dell’omosessualità nella compagine sociale.

Infine non sogniamo un’età d’oro della paternità, che non è mai esistita; la sua funzione è variata nel corso delle varie epoche: in contrapposizione, la figura del padre, come posta simbolica, resta sempre la stessa. L’essenziale è di poter far funzionare la simbolica del terzo (del quale il padre è portatore), ovvero, colui che è estraneo alla relazione madre/figlio, al fine di permettere all’individualità sessuata e differenziata di ognuno di costruirsi. Riprenderemo questo tema più avanti.

L’immagine del padre in quella della madre

A fianco dei numerosi individui che sanno essere padri nel senso da noi evocato, altri ammettono di non sapere come collocarsi e come intervenire nella vita familiare con modalità diverse da quelle dell’identificazione con la madre. Il padre assomiglia troppo alla madre. Il padre è quindi considerato come una «madre bis» quando è privato del ruolo della fecondità. In questo caso il padre è semplicemente reso infantile, non viene riconosciuto né autorizzato a svolgere la funzione di padre: egli dovrà semplicemente svolgere una funzione materna. È l’importuno, l’indesiderato, colui che non ha spazio tra la madre e il bambino.

Egli deve essere lo spettatore benevolo della coppia madre/figlio. Così numerosi bambini restano incatenati in questa simbolica materna che non consente loro di differenziarsi. Talvolta si trovano soli con la propria madre in un faccia a faccia egualitario e mantengono una relazione di coppia nella quale sono i confidenti, devono sostenere l’adulto al quale è venuto a mancare il coniuge. Alcuni bambini accettano questa posizione, ancora più penalizzante perché non li aiuta a risolvere il proprio complesso edipico.

Privati della funzione paterna, che li avrebbe aiutati a differenziarsi e a individualizzarsi, per potersi affermare faranno ricorso alla violenza. Le madri che si lamentano di non riuscire a farsi obbedire dai propri figli non riescono a reagire. Esse sono spesso l’oggetto primario dell’aggressività dei bambini e degli adolescenti. L’espressione «frega tua madre» bene esprime l’oggetto primario dell’aggressività incestuosa e sadica, la volontà di affermarsi e di distruggere l’oggetto arcaico che, in assenza di terze persone, all’occorrenza il padre, non offre alcuna alternativa alla cessazione della relazione primaria.

I «frega tua madre» restano invischiati in un Edipo contestualmente destrutturante e autodistruttore, ciò troviamo in numerosi esempi recenti. Bisognerebbe essere maggiormente attenti a tutti quei ritornelli di musica rap (provenienti soprattutto dagli Stati Uniti), che parlano della violenza e dell’odio contro le donne, esplosi nel momento in cui la funzione paterna è debole. È facile comprendere che il matriarcato educativo e sociale è e sarà, sempre di più, fonte di violenza. Perché la violenza non è unicamente la conseguenza della disoccupazione o di una architettura disastrosa ispirata a Le Corbusier; essa è anche e soprattutto espressione di una disfunzione simbolica dei fondamenti della nostra società.

Nel giro di qualche anno la funzione paterna è stata screditata e, parimenti, anche la relazione educativa. Alcuni uomini sono talvolta scossi dall’idea di essere «padri», perché essi stessi sono privi del vissuto affettivo al riguardo, nonché di referenze paterne, e vivono in una società che non fornisce loro alcun aiuto simbolico, in quanto presenta soltanto immagini di relazione madre/figlio.

Il padre deprivato e l’uomo congedato ci obbligano a interrogarci sul modo in cui la società accetta o meno la differenza dei sessi. La condizione umana è divisa in due sessi, e va incontro al fantasma infantile del sesso unico, o al diniego dei due sessi inerenti, sia l’uno sia l’altro, alla psicologia umana. Queste due realtà psichiche sono riassunte in due correnti di pensiero che cercano di giustificare il femminismo e l’omosessualità.

Le due correnti affermano che noi siamo anzitutto umani prima che essere uomo o donna. Tale concezione, per i meno irrealisti e irragionevoli, dimentica che l’umano in sé non esiste. Si tratta di una difesa contro l’impaccio che rappresenta il fatto di essere l’uno o l’altro sesso, ma certamente non il fatto di essere asessuato o di essere i due sessi contemporaneamente, e ancora meno annullando quel sesso che non si è in grado di ravvisare.

Noi non possiamo essere una persona umana senza essere maschio o femmina. Questa differenza non è solo, come ognuno sa, unicamente un problema di organi o di unione genitale. Si tratta dell’asimmetria tra due persone sessuate, dell’uomo e della donna, nel cuore e nei sensi e dell’estraneità che può rappresentare l’alterità. E’ d’altronde difficile accedere a questa dimensione quando la differenza dei sessi non è accettata e non viene integrata nella vita psichica. È complicato essere autentici e avere la percezione della legge che distingue l’uomo dalla natura, quando bisogna evitare e definire questa duplice realtà.

L’omosessuale si compiace nella confusione e nei capovolgimenti costanti delle relazioni, delle idee, dei sentimenti, dei valori e delle leggi. I discorsi sociali sull’omosessualità, nella impudenza più completa, non rivendicano un diritto all’indifferenza allorquando esso è in contraddizione e nega ciò che a ragione permette la differenza. L’acme della negazione avviene quando si afferma che il figlio può essere concepito senza penetrazione sessuale, senza sesso, e può essere educato alla maniera dell’uomo sessuato nel rifiuto dell’identità sessuale.

L’altro si trova così eliminato nella cecità edipica che è un modo per rappresentare nuovamente, non più nel fantasma ma nella realtà, l’omicidio del padre. In questa emorragia psichica si lascia intendere che l’incesto è possibile, quando si desidera un figlio partendo da un solo sesso; il padre non è più necessario, tutti giocano alla madre. In questa prospettiva asessuata, e dunque non reale, la segnatura corporale e i suoi limiti non contano.

Esiste la castrazione simbolica, che permette tuttavia di accettare il proprio corpo sessuato, il proprio posto nell’ordine della filiazione e delle generazioni nonché di costituirsi come individuo fecondo. È sufficiente limitarsi a un gioco di desideri e di attrattive soggettive.

Ognuno si deve situare al di qua di una visione globale di sé e dell’altro, e su un versante che resti al di fuori della componente genitale. In questo contesto si comprende che la sessualità indifferenziata della struttura infantile, ovvero dell’inizio della vita, si trova valorizzata attraverso il mito sociale dell’omosessualità; l’omosessualità, che sarà il segno della modernità e della liberazione dalla coercizione dei due sessi.

Sarà inutile imbarazzarsi di questa differenza fondamentale per rifugiarsi nell’illusione di un unico sesso o, semplicemente, nell’annullamento della sua doppia realtà. Il rifiuto o l’assenza della funzione paterna conduce, a lungo termine, al rifiuto stesso della differenza dei sessi, alla valorizzazione dell’omosessualità, al rifiuto del padre a beneficio della madre. La madre, onnipresente e onnipotente, si appoggia al fantasma della donna autosufficiente. Abbiamo richiamato finora i problemi che nascono nell’esercizio della paternità. Mi propongo ora di precisare le risorse che gli sono proprie.

Come comprendere la funzione paterna?

La funzione paterna è indispensabile per differenziare il figlio dalla madre. La madre occupa lo spazio immaginario a partire dal quale il bambino ha l’illusione di agire sul mondo. Ella è una risorsa di sicurezza che permette di contenere l’angoscia di abbandono. Ma questo universo della madre e del bambino funziona come un mondo chiuso; da qui l’importanza della funzione paterna. Il padre ha una funzione di separazione, ovvero di annullamento della fusione, affinchè il bambino possa conquistare la propria autonomia. Egli consente al bambino di accedere alla realtà e al linguaggio.

Quando il senso del padre è assente, è il senso del linguaggio, della parola e dei termini, che rischiano di sparire e di provocare il crollo del simbolico. Attraverso il disturbo della concentrazione, di cui si lamentano numerosi giovani nella loro vita scolastica o universitaria, appare sovente la difficoltà di accedere alle differenti funzioni simboliche.

Il padre è anche colui che dice no (al bambino, così come alla madre, il che giustamente permette di differenziare i due genitori), che pone la negazione e nomina il proibito, ovvero il limite a partire dal quale la vita diviene possibile. Il ruolo della funzione paterna da il fondamento alla legge simbolica della famiglia e posiziona il figlio al proprio posto, allorquando egli avesse la tendenza a credersi il fallo della madre, ovvero il rappresentante di tutta la sua immaginata forza.

Il padre libera il figlio dal sentimento di potenza che egli proietta sulla madre, la quale simbolizza per lui la «pura potenza del dono»: ella sarà in grado di donare tutto fino alle attese più immaginarie.

Sino al momento in cui la madre non dona, ella frustra il figlio con un oggetto immaginario, definitivamente perduto, perché nessun altro saprà rimpiazzarlo. A poco a poco il figlio scopre che la madre desidera «qualcosa» oltre la sua persona, e che lei ha accesso alla potenza solo attraverso il padre.

La madre predispone anche la funzione paterna, perché è il padre che ha la potenza e l’uso legittimo del fallo, ovvero del potere della separazione e che è in grado di impedire al figlio che la madre sia l’oggetto delle sue prime aspirazioni sessuali. Detto altrimenti, il figlio scopre che non è lui a fare la legge, ma che la legge si innalza alla dimensione esteriore di un altro che gli permetterà di divenire e di sviluppare le sue possibilità.

Nel migliore dei casi, la madre ama il figlio attraverso il padre, e il padre, attraverso il desiderio che egli ha del proprio figlio, desidera la madre integralmente. La madre dirige il figlio verso il padre, e il padre palesa al figlio che egli esiste per sé medesimo. Il padre si situa come mediatore, tra il figlio e la realtà, essendo il suo ruolo quello di introdurlo nel reale, ciò che favorisce il risveglio della razionalità, il senso delle relazioni con il mondo esterno e l’accesso alla cultura. Infine la differenza dei sessi, rappresentata dal padre, gioca un ruolo di rivelazione e di conferma dell’identità sessuale.

La figlia, come il figlio, hanno infatti la tendenza, inizialmente, a identificarsi con il sesso della madre, ed è il padre, nella misura in cui egli è riconosciuto da quest’ultima, che permetterà ai figli di situarsi sessualmente. Egli conferma al ragazzo la propria mascolinità e rivela la femminilità della figlia. La società indifferenziata verso la quale ci dirigiamo, al punto di sviluppare una psicologia tribale, sostiene la perdita di valore della funzione paterna e il rifiuto della sua immagine.

Gli individui padri lottano con difficoltà contro questa rappresentazione sociale. Essi infatti esercitano la propria paternità nei confronti dei propri figli, e sono capaci di ricorrere alla simbolica patriarcale da un punto di vista individuale e psicologico, ciò che non avviene nell’ambito sociale.

Gli individui con ruolo di padre non possono lottare contro il modello dominante della rappresentazione del padre assente, promosso dalla legislazione e diffuso dai media. Il padre è uscito dalla scena sociale e con lui la funzione di differenziazione. Il reclamo in merito alla presunta assenza del padre deve situarsi in rapporto alla sua negazione sociale.

La maggior parte delle ideologie della rottura, iniziate a partire da Marx e Marcuse, hanno contribuito a volersi sbarazzare del padre: volontà al giorno d’oggi superata, non corrispondente più alle aspirazioni attuali. Il padre può essere socialmente reso assente, ma non resta meno vivo nella psicologia e nelle relazioni di compensazione.

Molto bene, si ripete, la funzione paterna può essere esercitata da diverse persone e parimenti dalla madre. Così numerosi figli vivono soli con la madre senza esserne turbati psicologicamente. Semplicemente perché la madre evita la stretta di un corpo a corpo con il figlio. Ella sa evitare di confondersi con lui in una relazione di coppia, riconoscendo il posto del padre, e mette il figlio in relazione con le altre persone, in particolare con altri uomini.

La madre è capace di far funzionare il simbolismo paterno specialmente fino a quando bisogna manifestare le proibizioni fondamentali, ovvero i limiti del possibile. I figli stessi, in questa situazione, vogliono essere situati tra un padre e una madre, a condizione che essi conoscano il proprio genitore e lo incontrino regolarmente. Tutto ciò subordinato alle future capacità, come per gli altri bambini, di far svolgere ad altri adulti un ruolo paterno.

Talvolta si osservano egualmente dei bambini, soli con la mamma, che trascorrono il proprio tempo a volerla sposare come se sentissero l’esigenza di differenziarsi ulteriormente da lei, affinchè ognuno sia al proprio posto. Essi stessi sono in grado di ricorrere alla funzione di terzi. Questo ruolo può essere mantenuto sul piano psicologico; ma, nel contesto attuale, è sempre a titolo individuale, senza conseguenze sociali.

Tale sistema, quando diventa incoerente, rischia di condurci in un vicolo cieco. Ne risulta una confusione relazionale e la negazione della differenza generazionale, quando il senso del terzo viene negato. Una società che non sa far rispettare i genitori, gli adulti, gli insegnanti e gli educatori, mostra evidenti carenze in rapporto al senso della paternità.

Conclusione

Le immagini del padre sono spesso cambiate nei discorsi e nelle rappresentazioni sociali: non è lì il problema. È quando viene alterata, anzi soppressa, la figura simbolica di ciò che significa il padre, che si pone il problema. Per molti anni la simbolica dei sessi è stata confusa, rinviando ciascuno a un mondo chiuso e arrogante. L’instabilità affettiva delle coppie, che toglie sicurezza al senso della parentela negli adulti come nei bambini, contribuisce a rendere fragile il legame sociale più di quanto non si pensi.

Non è la famiglia che è incerta, ma le coppie contemporanee. Sono, infatti, gli uomini e le donne che non sempre sanno identificare la natura dei loro sentimenti, né trattare le crisi relazionali e le tappe storiche della propria vita di coppia, che indeboliscono la famiglia.

Il divorzio consensuale ha effetti perversi, normalizzando la rottura «necessaria» in caso di conflitti. La confusione dei sentimenti porta anche alla confusione dei pensieri e dei ruoli. Il padre è il simbolo della proibizione dell’incesto, della trasmissione, della differenza e dell’alterità: altrettante realtà che sono diventate insopportabili nelle concezioni attuali.

Oggi la funzione paterna tende a confondersi con la funzione materna proprio quando, nel medesimo tempo, si va originando un forte impulso a scoprire l’originalità della paternità e la sua necessità, per l’uomo, come per la moglie e il figlio. I padri vogliono esercitare il proprio ruolo di mediatore e sanno di essere attesi.

La società è pronta ad aiutarli? È questo l’interrogativo.