Il caso Olanda insegna: serve un’identità «arricchita»

Buruma_coverAvvenire, 6 febbraio 2007

di Samir Khalil Samir

La presenza d’immigrati in Europa, in particolare quelli che affermano un’identità fortemente diversa e fanno difficoltà ad integrarsi nella cultura e nella civiltà occidentale, solleva la questione dell’identità occidentale stessa. Esiste un’identità dell’Occidente? Se esiste, quali sono i suoi componenti? Che valore universale hanno? Insomma l’immigrazione, ben oltre i problemi economici, pone interrogativi di fondo sull’essere europeo e occidentale.

Non a caso, un dibattito è sorto di nuovo in queste settimane a partire dall’affermazione identitaria dei musulmani. L’occasione è stata il saggio di Ian Buruma Murder in Amsterdam: The Death of Theo Van Gogh and the Limits of Tolerance («Assassinio ad Amsterdam: la morte di Theo Van Gogh e i limiti della tolleranza»), pubblicato negli Stati Uniti nel settembre 2006.

Ayaan Hirsi Ali, la deputata di origine somala e sceneggiatrice del film Submission che è costato la vita al regista Van Gogh, minacciata di morte, ha lasciato l’Olanda per gli Stati Uniti. Buruma dice la sua ammirazione per lei, ma non lesina critiche, chiamandola «assolutista dell’illuminismo», formula che Timothy Garton Ash riprende forzandola in «fondamentalista dell’illuminismo».

Spiega Buruma (olandese di nascita): la libertà olandese si è spesso dimostrata oppressiva per la gente che appartiene a società rigide o tribali. Gli ideali occidentali, che pretendono di essere universali, sono inaccettabili per la cultura musulmana. Critica Pim Fortuyn, il politico ucciso il 6 maggio 2002, il quale diceva: «Gli stranieri che non sottoscrivono i valori olandesi dovrebbero lasciare l’Olanda».

E critica la Hirsi Ali e Van Gogh perché non accettano nessun compromesso con i musulmani sulla questione dei diritti delle donne o dei gay; e critica pure una femminista che aveva detto: «Trovo sia terribile che dobbiamo offrire il benessere sociale e gli aiuti a gente che rifiuta di dare la mano ad una donna!». Il libro di Buruma ha suscitato reazioni di segno diverso.

In Spagna, Mario Vargas Llosa difende a fondo la Hirsi scrivendo su El País: «Se la cultura della libertà riuscirà a resistere all’assalto del fanatismo religioso, lo dovremo proprio ai nuovi cittadini dell’Occidente, gente come Ayaan Hirsi Ali, che per aver sofferto sulla propria pelle gli orrori dell’oscurantismo religioso sa apprezzare e difendere i valori dell’Europa».

Anche il filosofo francese Pascal Bruckner difende la posizione della Hirsi, criticando il multiculturalismo di Buruma e di Ash. Il multiculturalismo «è il razzismo degli antirazzisti, incatena le persone alle loro radici. Nel nome della coesione sociale, siamo invitati ad applaudire l’intolleranza dei radicali musulmani per le nostre leggi, ad apprezzare la coesistenza di piccole società ermetiche che seguono ognuna norme differenti».

Buruma e Ash escludono sia «la versione estrema del multiculturalismo» all’olandese, sia il «rigido monoculturalismo» alla francese. Dobbiamo difendere sia la libertà di espressione, sia la diversità culturale. Combattere l’islam in Occidente è una strada sbagliata. Anche l’illuminismo è un valore relativo. L’islamismo e l’illuminismo sono due versioni concorrenti e ostili della verità assoluta, uscite da due culture differenti.

Il multiculturalismo, che è stato di moda in Europa, mi sembra essere frutto di due malattie psichiche tipicamente europee degli ultimi cinquant’anni : il relativismo e il «meaculpismo». Il primo, che lotta contro un certo moralismo, nega l’esistenza di valori universali, che derivano dalla riflessione ragionevole (l’illuminismo) o spirituale (le religioni e le filosofie). Il «meaculpismo» deriva dall’auto-critica (praticamente inesistente nel mondo musulmano), sulla base delle «tare» occidentali: schiavismo, imperialismo e colonialismo.

Ora, relativizzare la propria cultura e civiltà paragonandola con altre, è una necessità. Ma negarsi il diritto di affermare alcuni principi fondamentali come universali, è la fine della civiltà. Non tutte le opinioni si equivalgono. Senza valori riconosciuti come universali, non ci sono più punti di riferimento. L’Occidente ha una sua identità culturale e spirituale, che lo contraddistingue proprio da altre civiltà.

Si tratta di affermarla tranquillamente, e di arricchirla con le altre culture grazie agli immigrati che ce le rendono presenti. Né multiculturalismo relativista, né ripiego fanatico su di sé, ma una identità arricchita, sempre aperta all’altro. Ecco la via della convivenza positiva.