Quando la Chiesa delle origini scelse la via della «continenza sessuale»

pope ortodosso

Pope ortodosso

Corriere della Sera, 5 dicembre 2006.

di Vittorio Messori

Un’ovvietà di un cardinale, scivolata in un’intervista (“Il celibato clericale non è un dogma“), ha provocato una cascata di commenti dove  alcuni “esperti“ sono inciampati in sorprendenti imprecisioni.

Prima di venire alla storia, converrà dire qualcosa sulla cronaca. Ricordando innanzitutto che le comunità protestanti, quelle ortodosse -e anche quelle ebraiche- registrano “crisi di vocazioni“ eguali se non superiori a quella cattolica, malgrado pastori, pope, rabbini possano accedere al matrimonio. Le nozze, dunque, non sarebbero il rimedio alla scarsità di clero. Né sarebbero il rimedio ai disordini sessuali di certi ambienti religiosi, a cominciare dalla pedofilia.

Innanzitutto perchè questa si manifesta soprattutto con pulsioni omosessuali (i chierichetti, ben più di rado le chierichette, ne sono le vittime) e una donna non sarebbe dunque la risposta adeguata. E poi perchè, come tutte le statistiche confermano, la stragrande maggioranza degli abusi si verifica all’interno della famiglia –soprattutto padri verso i figli e zii verso nipoti- che neppure qui sarebbe il toccasana.

Tralasciamo pure –anche se, in una prospettiva di fede, è decisiva- la “convenienza spirituale“ di quel legame tra castità e sacerdozio sul quale si è esercitata nei millenni la riflessione di santi, mistici, Padri della Chiesa. E non entriamo, a maggior ragione, in una “convenienza sociale“, per la quale proprio il celibato ha impedito che la Chiesa divenisse proprietà di clan familiari, di schiatte dinastiche , di caste legate da parentela. Se il solo “nepotismo“ dei papi ha causato tanti guai , a che avrebbe condotto il “figliolismo“ di tutti i preti? Non  a caso le Chiese greco-slave si sono tutelate: moglie e figli solo per i pope che vivacchiano nelle parrocchie, ma non dove stanno potere e ricchezza, cioè in episcopi e monasteri.

Ma, per venire alla storia : questa dimostra che la “continenza sessuale“ non è il semplice prodotto di una decisione ecclesiastica, per giunta tardiva e limitata al cattolicesimo. Si tratta di una scelta che  risale alla Chiesa delle origini, che la Tradizione più antica ribadisce e che per secoli è stata praticata concordemente sia ad Oriente che ad Occidente. Non un dogma, certo, ma un aspetto della Tradizione da trattare con la reverenza dovuta a ciò che è considerato risalire all’epoca apostolica. Lo ha dimostrato –in una ottantina di pagine dense e di inconfutabile erudizione, pubblicate dalla Libreria Vaticana– il cardinale Alfons Stickler che, come Bibliotecario e Archivista emerito del Vaticano, ha avuto accesso a tutte le fonti.

Nella Chiesa primitiva , la maggioranza del clero era composta di uomini maturi che, accedendo agli Ordini sacri, lasciavano la moglie, con il suo consenso, e affidavano la famiglia alla comunità. Da allora, erano tenuti a vivere in continenza perfetta , risiedendo non più nella loro casa ma in edifici ecclesiali. Anche in autori seri , càpita di leggere che queste rinuncia sarebbe stata imposta dopo l’anno 300 nel Concilio, in realtà semplice Sinodo, tenuto in Spagna, ad Elvira.

In realtà, come dimostra il cardinal Stickler, i testi mostrano che lì si ribadì la prassi della continenza , data per “ tradizione immemorabile“ , e  si decise  di castigare gli abusi, espellendo dal clero chi conservasse rapporti con la moglie. Il contrario, dunque, di quanto spesso si afferma. Altri Sinodi – o Concili – confermano che l’astensione sessuale risale ai tempi apostolici stessi e non può dunque essere mutata.

Numerosi i documenti pontifici, come quello di papa Siricio, che, in quello stesso quarto secolo, approvano quanto stabilito dai delegati conciliari. E i Padri dell’Occidente –Ambrogio, Girolamo, Agostino– sono concordi su verginità o celibato o continenza non solo per i sacerdoti ma anche per i diaconi. Mai, assicura Stickler, neanche nei documenti più antichi, mai questo è considerato come  un’innovazione, ma sempre  come un dato indiscusso della Tradizione primitiva.

In questa prospettiva, non si sa che pensare di professori, pur autorevoli, che anche in questi giorni hanno riesumato la tesi (cara alla propaganda manipolata dei vecchi luterani e calvinisti) secondo la quale di continenza clericale si potrebbe parlare solo dal 1139, col secondo Concilio del Laterano. In realtà, si stabilì allora che eventuali matrimoni contratti da membri del clero non erano solamente illeciti ma anche invalidi. Dunque nulli, non avvenuti. Stickler: «Questa severa sanzione è l’ennesima  conferma di un obbligo alla continenza esistente da sempre».

E le Chiese d’Oriente, dove solo i monaci e i vescovi sono tenuti alla continenza assoluta, mentre preti e diaconi possono usare del matrimonio, purché sia il primo ed unico e sia stato contratto prima dell’ordinazione? Tutti i documenti mostrano che per molti secoli anche in quelle comunità fu indiscussa l’astensione praticata in Occidente e che le eccezioni che vengono tirate in campo risalgono a fonti falsificate. Solo nel 691, al Concilio Trullano, si stabilì quanto ancora oggi è in vigore per gli ortodossi.

Ma fu una esplicita resa: la Chiesa d’Oriente non aveva l’organizzazione gerarchica di quella d’Occidente e le mancava la possibilità di reprimere gli abusi, sempre più numerosi. Non solo : sottomessa all’Imperatore bizantino, cedette ai politici che giudicavano più controllabile un clero che “teneva famiglia”. Si cercò di salvare il principio, imponendo l’astensione dal sesso almeno nel periodo in cui i sacerdoti fossero di servizio all’altare e pretendendo castità da vescovi e monaci. Una situazione obbligata, non certo l’ideale, come lamentarono e ancora lamentano in molti, ad Oriente. Curioso che alcuni, ora, la considerino auspicabile anche per l’Occidente