L’eresia è sempre una. E il nemico è sempre Roma

contro_chiesaArticolo pubblicato su Tempi n. 10 anno 6

L’eresia è sempre una. Ed è sempre al servizio degli Imperatori. L’idea specifica del cristianesimo è l’unione perfetta del divino e dell’umano, che si è realizzata individualmente nel Cristo e si realizza socialmente nell’umanità cristiana, nella quale il divino è rappresentato dalla Chiesa  e l’umano dallo Stato. Questo rapporto intimo dello Stato con la Chiesa presuppone il primato di quest’ultima, poiché il divino viene prima ed è più alto dell’umano. L’eresia attaccava appunto l’unità perfetta del divino e dell’umano in Gesù Cristo per scalzare alla base il legame organico della Chiesa con lo Stato e per attribuire a quest’ultimo un’indipendenza assoluta

di Vladimir Solov’ëv

La trasformazione bizantina dell’Impero romano, inaugurata da Costantino il Grande, sviluppata da Teodosio e definitivamente consolidata da Giustiniano, produsse uno Stato solo nominalmente cristiano. Molte leggi e molte istituzioni, ed una parte dei costumi pubblici conservavano alcuni caratteri del vecchio paganesimo.La schiavitù si perpetuò come istituzione legale; e la vendetta dei crimini (soprattutto dei delitti politici) era esercitata di diritto con una crudeltà raffinata.

Questo contrasto tra il cristianesimo professato e il cannibalismo praticato si personifica alla perfezione nel fondatore del Basso Impero, quel Costantino che credeva sinceramente nel Dio cristiano, che onorava i vescovi e discuteva con loro della Trinità, e che nello stesso tempo non aveva alcuno scrupolo ad esercitare il suo diritto pagano di marito e di padre mettendo a morte Fausta e Crispo.

Una contraddizione così evidente tra la fede e la vita non poteva però durare a lungo senza che si producessero dei tentativi di conciliazione. Invece di sacrificare la sua realtà pagana, l’Impero bizantino, per giustificarsi cercò di alterare la purezza dell’idea cristiana. Questo compromesso tra la verità e l’errore è l’essenza propria di tutte le eresie che – talvolta inventate di sana pianta e sempre, salvo qualche eccezione individuale, favorite dal potere imperiale – afflissero la cristianità dal IV al IX secolo.

L’eresia è sempre una. Ed è sempre al servizio degli Imperatori

La verità fondamentale, l’idea specifica del cristianesimo è l’unione perfetta del divino e dell’umano, che si è realizzata individualmente nel Cristo e si realizza socialmente nell’umanità cristiana, nella quale il divino è rappresentato dalla Chiesa (concentrata nel supremo pontificato) e l’umano dallo Stato. Questo rapporto intimo dello Stato con la Chiesa presuppone il primato di quest’ultima, poiché il divino viene prima ed è più alto dell’umano.

L’eresia attaccava appunto l’unità perfetta del divino e dell’umano in Gesù Cristo per scalzare alla base il legame organico della Chiesa con lo Stato e per attribuire a quest’ultimo un’indipendenza assoluta. È chiaro ora perché gli imperatori della seconda Roma, che volevano conservare nella cristianità l’assolutismo dello Stato pagano, erano così favorevoli a tutte le eresie che altro non erano se non una serie di variazioni di un tema unico: “Gesu Cristo non è il vero Figlio di Dio della stessa sostanza del Padre; Dio non si è incarnato; la natura e l’umanità restano separate dalla Divinità, non le sono unite; lo Stato umano ha quindi tutti i diritti di conservare la sua indipendenza e la sua supremazia assolute”. Per Costanzo o per Valente questa era già una ragione sufficiente per simpatizzare con l’arianesimo.

“L’umanità di Gesù Cristo è una persona completa in sé, unita al Verbo divino solo in forza di un rapporto; conclusione pratica: lo Stato umano è un corpo completo ed assoluto che ha con la religione un rapporto meramente estrinseco”. E’ l’essenza dell’eresia nestoriana, ed è chiaro perché l’Imperatore Teodosio II l’abbia presa sin dagli inizi sotto la sua protezione ed abbia fatto di tutto per sostenerla. “In Gesù Cristo l’umanità è assorbita dalla Divinità”.

E’ un’eresia che sembra essere l’esatto contrario della precedente. Ma in realtà non lo è: se la premessa è diversa, la conclusione è assolutamente identica. “Dato che l’umanità di Cristo non esiste più, l’incarnazione non è che un fatto del passato, e la natura e il genere umano restano assolutamente al di fuori della Divinità. Il Cristo ha portato in cielo tutto ciò che era suo ed ha abbandonato la terra a Cesare”. Con un sicuro istinto, lo stesso Teodosio II, senza preoccuparsi della contraddizione apparente, trasferì tutti i suoi favori dal nestorianesimo vinto al monofisismo nascente, che fece accettare formalmente da un concilio quasi ecumenico (il latrocinio di Efeso).

Monotelismo e iconoclastia.

Il loro compimento è nell’Islam, ma forse è anche tentazione di qualche illustre ecclesiastico cattolico Ma anche dopo che l’autorità di un grande Papa ebbe prevalso su quella di un concilio eretico, gli imperatori, più o meno assecondati dalla gerarchia greca, non smisero di tentare nuovi compromessi. L’enotico dell’Imperatore Zenone (causa di una prima e lunga separazione tra l’Oriente e l’Occidente: lo scisma di Acacio), i perfidi intrighi di Giustiniano e di Teodora furono seguiti da una nuova eresia imperiale, il monotelismo. “Nel Dio-Uomo non è presente alcuna volontà ed azione umana, la sua umanità è puramente passiva, esclusivamente determinata dal fatto assoluto della sua divinità”.

E’ la negazione della libertà e dell’energia umana, è il fatalismo e il quietismo. “L’umanità non c’entra nulla nell’opera della propria salvezza: solo Dio agisce. Tutto il dovere del cristiano si riduce a sottomettersi passivamente al fatto divino, rappresentato nel campo spirituale dalla Chiesa immobile e nel campo temporale dal potere sacralizzato del divino Augusto”. Sostenuta per più di cinquant’anni dall’Impero e da tutta la gerarchia orientale, fatta eccezione per alcuni monaci che dovettero cercare rifugio a Roma, l’eresia monotelita fu vinta alla fine a Costantinopoli (nel 680), ma solo per cedere immediatamente il passo ad un nuovo compromesso imperiale tra la verità cristiana e l’anticristianesimo.

L’unione sintetica del Creatore e della creatura non si limita nel cristianesimo all’essere razionale dell’uomo, ma abbraccia anche il suo essere corporeo e, per suo tramite, la natura materiale dell’intero universo. Il compromesso eretico ha vanamente tentato di sottrarre (in linea di principio) all’unità divinoumana, dapprima 1) la sostanza stessa dell’essere umano, ora proclamandola assolutamente separata dalla Divinità (nel nestorianesimo), ora facendovela scomparire completamente (nel monofisismo); poi 2) la volontà e l’azione umane, l’essere razionale dell’uomo, assorbendolo nell’operazione divina (il monotelismo); dopo di ciò non restava che 3) la corporeità, l’essere esteriore dell’uomo e, per suo tramite, di tutta la natura. L’idea fondamentale dell’eresia iconoclasta è appunto quella di negare che il mondo materiale e sensibile abbia una qualsiasi possibilità di redenzione, di santificazione e di unione con Dio.

Gesù Cristo risorto nella carne ha mostrato che l’esistenza corporea non era esclusa dalla comunione divinoumana e che l’oggettività esteriore e sensibile poteva e doveva diventare lo strumento reale e l’immagine visibile della forza divina. Di qui il culto delle sante immagini e delle reliquie, di qui la legittima credenza nei miracoli materialmente condizionati da questi oggetti sacri. Cosi, dichiarando guerra alle immagini, gli imperatori bizantini attaccavano non tanto un’abitudine religiosa, un semplice dettaglio del culto, ma un’applicazione necessaria ed infinitamente importante della verità cristiana stessa. Pretendere che la divinità non possa avere un’espressione sensibile, una manifestazione esterna, che la forza divina non possa utilizzare per la sua azione dei mezzi visibili e rappresentativi significa togliere all’incarnazione divina tutta la sua realtà. Era più che un compromesso: era la soppressione del cristianesimo.

L’obbiettivo è sempre la sede apostolica di Roma

Come nelle eresie precedenti, sotto l’apparenza di una discussione puramente teologica, si celava una grave questione sociale e politica, così il movimento iconoclasta, sotto il pretesto di una riforma rituale, voleva intaccare l’organismo sociale della Cristianità. La realizzazione materiale del divino, esemplificata nell’ambito del culto dalle sante immagini e dalle reliquie, e rappresentata nell’ambito sociale da un’istituzione.

V’è nella Chiesa cristiana un punto materialmente fissato, un centro d’azione esteriore e visibile: un’immagine ed uno strumento del potere divino. La sede apostolica di Roma – quest’icona miracolosa del cristianesimo universale – era direttamente coinvolta nella lotta iconoclasta, poiché tutte le eresie portavano a negare la realtà dell’incarnazione divina, la cui perpetuità nell’ordine sociale e politico era rappresentata da Roma. E la storia ci mostra appunto che tutte le eresie attivamente sostenute o passivamente accettate dalla maggioranza del clero greco incontravano un ostacolo insormontabile nella Chiesa romana e venivano ad infrangersi contro questa rocca evangelica.

Ciò fu evidente soprattutto nel caso dell’eresia iconoclasta che, negando ogni forma esteriore del divino nel mondo, attaccava direttamente la cattedra di Pietro nella sua ragion d’essere come centro oggettivo e reale della Chiesa visibile.