E la Bibbia del giornalismo liberal diventò il Corano

MewYork TimesIl Foglio 18 settembre 2006

Giuliano Ferrara

La Bibbia o il Corano del giornalismo li­beral e politicamente corretto, il New York Times, ha scritto sabato nella rubrica dei suoi editoriali, una sequenza di enor­mità, che ricalcano alla lettera le aggres­sioni islamiche a Benedetto XVI dopo il suo discorso di Regensburg.

Pericolose enormità, che dimostrano la chiusura del cerchio magico dentro il quale si collocano ormai il correttismo politico occidentale e l’islamismo politico della ummah maomet­tana. C’è da sperare che di fronte a questo manifesto dell’intolleranza verso di sé, ver­so la propria cultura, verso i propri sacri principi di libertà del pensiero, si muova­no, non in difesa del Papa, che non ne ha bisogno, ma in difesa di se stessi, gli intel­lettuali e i politici europei che conoscono la differenza tra tolleranza e intolleranza, e predicano stucchevolmente tolleranza e dialogo a noi estremisti dello scontro di ci­viltà, cosiddetti.

La prima enormità: «Il Papa ha insulta­to i musulmani, citando una descrizione dell’islam, risalente al XIV secolo, come cattivo e disumano».

La seconda enormità: «I leader musul­mani di tutto il mondo hanno denunciato nelle parole del Papa una visione falsa e ispirata al pregiudizio dell’islam. Per mol­ti musulmani la guerra santa o jihad è una lotta spirituale e non un appello alla vio­lenza. Ed essi denunciano il suo perverti­mento da parte degli estremisti che usano il jihad per giustificare assassinio e terro­rismo».

La terza enormità: «Non è la prima volta che il Papa fomenta la discordia tra cri­stiani e musulmani. Nel 2004, quando era ancora il capo dei teologi del Vaticano, parlò contro l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, perché la Turchia, in quanto paese musulmano, era stata “in permanente contrasto con l’Europa”».

La quarta e finale enormità: «Il mondo ascolta con attenzione le parole di ogni Papa. È tragico e pericoloso quando esse alimentano la discordia, per scelta delibe­rata o per negligenza. Il Papa deve offrire con parole persuasive le sue scuse, dimo­strando che le parole possono anche gua­rire le piaghe».

Quando diciamo che il correttismo poli­tico ricalca alla lettera l’islamismo politi­co (e lo diciamo da tempo, ma non avevamo mai avuto una dimostrazione tanto persua­siva delle nostre ragioni), parliamo sul se­rio. Nell’editoriale del NYT non esiste un punto di vista culturale occidentale, figlio . della nostra cultura laica, del nostro modo filosofico e politico di intendere il dialogo o la disputa in materie di fede e di ragione.

Non ci si pone nemmeno il problema se le parole di un Papa che parla di religione, di filosofia, di cultura e di civiltà politiche debbano essere discusse civilmente, contrastate laicamente, anziché dannate e messe in croce con gesti e linguaggi da ta­gliatori di teste, da emittenti di fatwa che parlano contro l’infedele a nome sia della comunità, sia del clero islamico, sia degli stati islamici (dall’università cairota Al Azhar al Parlamento del Pakistan, fino ai gruppi jihadisti della provincia irachena di Anbar dove i guerriglieri sunniti minac­ciano, mediante avviso in moschea, di ster­minare i cristiani se il Papa cattolico non dovesse scusarsi).

Quel testo del New York Times quasi in­credibile a occhi e orecchie liberali, ma­nifesto involontario della trasformazione del liberalismo in ideologia carceraria della libertà in nome del rispetto della di­versità, retrodata la cultura dei giornalisti che lo sottoscrivono ai secoli in cui l’islam si chiuse a riccio, interruppe ogni possibi­lità di discussione e analisi e interpreta­zione del testo coranico e della precetti­stica legale o sharia. E un editoriale scrit­to a Cordoba nel XII secolo dai censori della filosofia araba.

È un testo che mo­stra in modo compiuto che l’ultima onda­ta del secolarismo e del laicismo occiden­tale ha condotto, per paura, per viltà, per dabbenaggine, per ignoranza, al regresso verso l’irrazionalismo e il nichilismo oscu­rantista, naturalmente mascherato da ar­gomenti multiculturalisti e dal mito del dialogo inter-religioso senza premesse e senza conseguenze, dialogo in sé, cioè re­sa relativista all’inesistenza della verità, all’impossibilità della ricerca della verità come matrice del dialogo.

L’editoriale accetta che il Papa abbia in­sultato l’islam per avere criticato una par­te dottrinale importante del corpus cora­nico e della prassi islamica della conqui­sta e del califfato (prima enormità). La cri­tica teologica diventa un caso politico e si trasforma in un insulto solo in un mondo in cui regna l’intolleranza. O no?

L’editoriale sposa la protesta dei leader musulmani di tutto il mondo e abbraccia senza alcun dubbio la loro versione di ciò che è e di ciò che non è guerra santa jiha­dista, con l’effetto involontariamente tra­gicomico di cancellare oltre alla storia e alla teologia, di cui gli editorialisti del NYT non sono tenuti a sapere, i fatti.

Parliamo di quel che è sotto gli occhi del­l’occidente e dell’oriente, cioè appunto il risveglio jiha­dista che ha portato per esempio diciannove bravi musulmani a di­rigere un paio di aerei di linea sulle torri che facevano ombra sul Downtown Manhattan, dove quel giornale si pubblica, e migliaia di altri a uccidere cristiani ed ebrei (e molti musulmani) in nome di Dio clemente e misericordioso.

L’editoriale trova censurabile che un teo­logo abbia ricordato nel 2004 una certa ini­micizia storica tra la Turchia e l’Europa, cioè la verità della storia, quella verità che gli accademici liberal amici dei giornalisti liberal vorranno forse riscrivere in qualche cattedra di Lepanto studies, dopo avere già abbondantemente dannato le crociate co­me culmine dell’inciviltà occidentale.

Infine le scuse. Anche qui, ricalco alla lettera degli argomenti delle cattedre islamiche di ogni tipo, dal terrorista al primo ministro di Hamas, dallo sceicco Al Tantawi al Parlamento Pakistano al porta­voce della religione islamica di Stato in Turchia. Roba forte, fortissima, roba da pazzi. Le scuse per aver pensato e per aver detto. Per aver esercitato la libertà di predicare la virtù del Logos, di una ragione che comprende la fede e di una fede che si esprime anche attraverso la ragione in uno statuto di vera analogia tra l’umano e il di vino.

Eccoli, i laicisti dell’autocritica papale su suggerimento intollerante e su decreto delle autorità politico-religiose dell’islam “moderato”. Eccoli, gli immemori! Gli occidentali squinternati verso i quali vorremmo si volgessero le attenzioni di persone serie come i Rusconi, come le Mancina, come i Cacciari, come i Finkielkraut, come i Gluksmann e più in generale le attenzioni critiche di un’intelligenza ormai introvabile nei media, nelle università, nelle elite europee.

Ci resta solo il popolo, e i venti milioni di copie vendute dalla Fallaci. Ma è ancora poco. I Vogliamo il resto. Vogliamo un piccolo esercizio di ragione laica in difesa del Papa cattolico aggredito e ricattato dalle richieste intolleranti di scuse multiculturali, che vengano dai mullah, dal laicissimo Ahmadinejad o dal Corano del giornalismo liberal, poco importa.