Gudridur Thorbjarnardottir

Gudridur_Thorbjarnardottir

Statua scolpita da Ásmundur Sveinsson raffigurante Gudrídur Thorbjarnardottir ed il figlio a Laugarbrekka, Islanda

Il Timone n.141 marzo 2015

di Rino Cammilleri

Si autodefiniscono “progressisti” ma tifano per il ritorno all’età della pietra (non a quella del legno, perché considerano sacri gli alberi) e all’adorazione degli animali. Anche quelli cattolici hanno la testa rivolta all’indietro, all’età pre-costantiniana (o a quel che immaginano sia stata).

Stefano Magni, su La Nuova Bussola Quotidiana (14 novembre 2014), nel commentare la missione “Rosetta” su una cometa, ha ricordato che il democratico (di sinistra, cioè) Jimmy Carter divenne presidente Usa nel 1976 promettendo meno viaggi spaziali e più assistenza sociale. Il radicai Barack Obama non ha fatto che tagliare i fondi alla Nasa per dirottarli sull’ “ambiente”. Bill Gates, che pur ha fatto i soldi con l’elettronica, ha dichiarato che non investirebbe un cent nello spazio ed è tra i maggiori finanziatori della lotta al “riscaldamento globale”.

Qui da noi sono “progressisti” quelli che odiano i treni veloci e qualunque nuova opera pubblica, e si farebbero uccidere pur di impedire la costruzione di un ponte a Messina.

Nei secoli cristiani era tutto il contrario. Pensate cosa avrebbe potuto fare Leonardo se avesse avuto a disposizione un motore (poi inventato da un prete). L’esplorazione? Se Colombo e Marco Polo fossero stati “verdi” non avrebbero staccato le terga dalla sedia e avrebbero passato il tempo carezzando cagnetti. Nel 1246 il Papa inviò il francescano Giovanni da Pian del Carpine alla corte del nipote di Gengis Khan. Nel 1253 il suo confratello Guglielmo di Rubruc si spinse fino al Catai per stringere relazioni con Roma. I portoghesi di Enrico il Navigatore esplorarono le coste africane. Eccetera. Ma basta rileggere il fondamentale Luce del Medioevo di Régine Pernoud o le opere di Rodney Stark per ricordarsi che i secoli cristiani avevano, del progresso e della conoscenza, un vero e proprio culto.

Magni, nel suo articolo, accenna a una donna nordica che verso l’anno Mille andò a partorire in America e terminò i suoi giorni santamente in patria. In­curiosito, sono andato a vedere, ed ecco qua. Il suo nome era Gudridur Thorbjarnardottir, chiamata anche Gudridr o Gudrid e detta Vidforla, cioè «colei che ha viaggiato lontano» (o qualcosa del genere).

Nacque in Islanda, a Laugarbrekka, verso l’anno 980. Era di etnia vikinga. Suo nonno Aud detto Menteprofonda era arrivato dalla Norvegia come schiavo, ma era poi riuscito a riscattarsi. Anzi, suo figlio Thorbjarnar era diventato il capo del villaggio e aveva sposato Hallveig Einar-sdottir, avendone Gudrid. Quest’ultima era una bellissima ragazza e pare che a un certo punto si sia innamorata di un giovane di nome Einar. Ma Einar, sebbene di condizione libera, era figlio di uno schiavo e il padre di Gudrid non volle saperne.

A questo punto le diverse narrazioni si fanno confuse, ma convergono su un punto: Gudrid lasciò il villaggio e i genitori per andare a vivere ad Arnastapi, dove venne prese in casa da Orm e sua moglie Halldis, che la tennero come una figlia. Gudrid fu fatta sposare con Thorir e l’intero gruppo familiare si trasferì in Groenlandia, dove esisteva da una decina d’anni una colonia fondata dal famoso esploratore vikingo Erik il Rosso.

A quei tempi la grande isola aveva un clima temperato (il suo nome significa infatti “terra verde”) e prometteva condizioni di vita migliori di quelle in Islanda (“terra dei ghiacci”). I vikinghi erano audacissimi navigatori ma le loro “navi lunghe”, i drakkar, non erano molto adeguate per affrontare le tempeste oceaniche. Così, un giorno l’imbarcazione del marito di Gudrid andò a picco e lei si ritrovò vedova. Ma era sempre bella e fu subito chiesta in moglie da Thorsteinn, figlio dello stesso Erik il Rosso.

Il fratello di Thorsteinn, Leif, si era spinto ancora più a Occidente ed era sbarcato nell’attuale Canada, in una zona che, a causa del clima mite e favorevole ai pascoli e all’agricoltura, chiamò Vinland, “terra del vino”, perché vi si poteva addirittura coltivare la vite. Parentesi: oggi, i “progressisti” di cui si è detto temono come la peste il “riscaldamento globale”, ma quello che avvenne nel Medioevo fu, al contrario, una benedizione.

Torniamo ai vikinghi. Stabilizzata la colonia, Leif chiamò la famiglia e venne raggiunto, insieme agli altri, da Gudrid, Thorsteinn e l’altro fratello di questi, Thorvaldur. Ma il trapianto vikingo in terra americana durò poco. Sopraffatti da un numero soverchiante di nativi (gli indiani pellerossa), dovettero reimbarcarsi dopo aver lasciato sul terreno parecchi morti, uno dei quali fu Thorvaldur (alla vicenda si ispira il film Pathfinder del 2007, con Karl Urban, regia di Marcus Nispel).

Il viaggio di ritorno completò il disastro, perché sulla nave di Thorsteinn molti si ammalarono e morirono in mare, tra essi anche il marito di Gudrid. Quest’ultima, nuovamente vedova, tornò in Islanda e si stabilì a Brattahlid. Qui fu notata da un ricco mercante, Thorfinnur Karlsefni, che la chiese in moglie. I due si sposarono e dopo qualche tempo il nuovo marito organizzò una spedizione per rimettere piede a Vinland.

Sulle tre navi da lui armate si imbarcarono una sessantina di uomini e cinque donne, una delle quali era Gudrid (un’altra era Freydis Eriksdottir, sorella di Leif, che intendeva recuperare il corpo del fratello). Trovarono, naturalmente, la colonia distrutta ma riuscirono a rimetterla in piedi in qualche modo. Gudrid e il marito andarono ad abitare nella casa che era stata di Leif Eriksson, ricostruita. Qui verso il 1004 nacque Snorri, figlio dei due. Fu, a quanto pare, il primo europeo a nascere nel Nuovo Mondo.

Ma anche questa volta si ripeterono gli incidenti coi nativi e i vikinghi dovettero abbandonare ancora Vinland.

Cercarono di spingersi più a Sud e si dice che abbiano raggiunto la zona dell’attuale Manhattan. Trovarono indiani ostili pure qui e, dopo tre anni, gettaro­no la spugna. Ripresero dunque il mare e, per quanto se ne sa, quella fu l’ultima volta che un vikingo toccò il suolo americano. Thorfinnur, Gudrid e il piccolo Snorri si stabilirono in Groenlandia, dove Thorfinnur mise in piedi una fattoria. Quando Thorfinnur venne ucciso dagli Skraelingar (così i vikinghi chiamavano i selvaggi eschimesi), Gudrid e il figlio fecero ritorno in Islanda. Qui conobbero il cristianesimo portato dai primi evangelizzatori e, conquistati, chiesero il battesimo.

Snorri, che nel frattempo era cresciuto, costruì una chiesa sulle sue terre. Quando si sposò, sua madre, che aveva preso molto sul serio la nuova religione, volle intraprendere un ultimo viaggio. Questa volta la meta era Roma, che raggiunse a piedi. Pare che abbia incontrato il Papa e gli abbia raccontato dei suoi viaggi e di quel che aveva visto nella sua vita avventurosa.

Al suo ritorno in Islanda, andò ad abitare in una cella accanto alla chiesa che il figlio aveva fatto edificare e vi passò i suoi ultimi anni, vivendo di preghiera e raccoglimento come una monaca o, meglio, un’eremita. Non si conosce l’anno in cui morì. Gudrid Thorbjarnardottir compare nella celebre “Saga di Erik il Rosso”, secondo la quale oltre a Snorri aveva un altro figlio, Thorbjorn. Questi ebbe una figlia, Thorunn, che divenne madre del primo vescovo islandese, Bjorn.

Il figlio di Snorri, Thorgeir, generò Yngvild, che fu madre del vescovo Brand. Per inciso: i vikinghi conoscevano benissimo l’islam, con cui avevano molteplici contatti. E si trattava di una religione guerriera più vicina alla loro indole. Tuttavia preferirono il cristianesimo, e non lo abbandonarono più.

La storia di Gudrid ha intrigato alcune romanziere anglosassoni contemporanee come Margaret Elphistone e Heather Day Gilbert per la sua valenza femminista. Ma i lettori di Régine Pernoud sanno bene che le donne nei secoli cristiani non avevano bisogno di “quote rosa” per affermarsi (pensiamo agli studi della Pernoud sulla poetessa Christine de Pisan e su Giovanna d’Arco, o il suo libro La donna al tempo delle cattedrali, Rizzoli 1986).

Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena godevano di un’autorevolezza superiore a quella del Papa. Le regine (cioè, la massima carica politica) furono più numerose nel Medioevo che in qualunque altra epoca. Ma non è il caso di insistere su un tema che i lettori del Timone conoscono benissimo.

Per quanto riguarda le esplorazioni, a parte quelle intraprese a scopo di evangelizzazione, le restanti, nel Medioevo, erano tutte a scopo di lucro, così Marco Polo nel 1260 e Cristoforo Colombo nel 1492. Molto “moderne” insomma. Sì, perché un’intrapresa richiede denaro, e più grande è ciò che si spera di ricavare e maggiore deve essere l’investimento. Ci si passi l’esempio (ma è calzante), è incredibile il progresso tecnologico generato dalle due guerre mondiali: i cervelli erano sotto pressione perché bisognava vincere e i governi non badavano a spese. Ma, a guerra finita, quel che si era acquisito rimase e le ricadute civili sono state una valanga, perfino in campo sanitario.

Si pensi che pure i computer e internet sono nati per esigenze militari. Negli anni Cinquanta la “guerra fredda” fu combattuta anche nello spazio, e di nuovo l’umanità ha goduto delle mille invenzioni cagionate dalla corsa ai satelliti artificiali e alla Luna.

Ci sarebbero tutti i motivi per continuare ad investire nelle esplorazioni spaziali, così da moltiplicare nuovi materiali e marchingegni. E sarebbe un campo adatto all’applicazione del principio di sussidiarietà, perché i governi interverrebbero solo per la parte eccedente le possibilità delle aziende private (le quali hanno interesse a testare molecole, tessuti e quant’altro in condizione di assenza di gravità). Il risultato finale sarebbe un ulteriore passo avanti verso una vita materialmente migliore.

Ma quel che muove gli uomini è l’idea che hanno di se stessi e del mondo. Oggi il panteismo impedisce perfino quelle coltivazioni ogm che allevierebbero la fame di mezzo pianeta, e un inedito “principio di precauzione” (un premio in sloganologia a chi l’ha inventato) finirà con l’imporci di non uscire di casa perché potrebbe caderci un vaso di fiori in testa. Con tale “principio” Colombo non si sarebbe certo avventurato nel mare Oceano su tre bagnarole.

Eh, le posizioni eretiche sono come quelle erotiche: ripetitive e alla fine noiose. Infatti, i “progressisti” odierni sono già stati visti e si chiamavano Catari. Come i loro antenati, odiano la procreazione e non mangiano carne. Perché odiano la Creazione e, dunque, il suo culmine, l’umanità. Perché, suadente diabulo, odiano il Creatore.