Israele e gli altri

27 luglio 2006

Il coraggio di Israele lascia senza parole: un minuscolo frammento di libertà e valore umano incastonato in un’immensa estensione di terre e popoli afflitti da condizioni materiali e morali di vita indegne, e che ignoranza e paura consegnano al fondamentalismo e al terrorismo islamici.

di Anna Bono

Guardando la carta del mondo, il coraggio di Israele lascia senza parole: un minuscolo frammento di libertà e valore umano incastonato in un’immensa estensione di terre e popoli afflitti da condizioni materiali e morali di vita indegne, e che ignoranza e paura consegnano al fondamentalismo e al terrorismo islamici. La lezione di decenni di cooperazione allo sviluppo e di tentativi di esportare la democrazia nel mondo è che nessun progresso reale è possibile dove non si verifica la rivoluzione antropologica che fa della persona il valore supremo e che ha permesso l’elaborazione della Carta universale dei diritti umani. Ciò che rende speciale Israele è la sua adesione sostanziale a quei diritti – e quindi l’adozione di istituzioni democratiche – che invece manca o stenta ad affermarsi nei Paesi circostanti.

Così i segni incoraggianti di cambiamento vanno cercati nell’istituzionalizzazione di comportamenti che rispettano e tutelano la persona umana, che rispecchiano un mutato atteggiamento nei suoi confronti e la volontà di renderlo universale. Negli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, il governo ha appena approvato un disegno di legge che proibisce e sanziona con pene fino all’ergastolo la riduzione in schiavitù e il traffico di esseri umani, inclusa ogni forma di sfruttamento sessuale, servitù imposta e altre simili pratiche. Il disegno di legge prevede punizioni severissime anche per i crimini contro donne, bambini e disabili e nel caso di violenze commesse dai tutori delle vittime.

Per apprezzare appieno l’iniziativa bisogna sapere che lo sport più amato dai beduini degli Emirati è la corsa dei cammelli, che è all’origine di un commercio di minori d’ora in poi illecito. Migliaia di adolescenti e persino di bambini, anche di quattro-cinque anni soltanto, provenienti dalle regioni più povere di Asia e Africa, sono infatti impiegati come fantini. I ragazzini, rapiti o venduti dalle loro famiglie, sono tenuti in condizioni di prigionia e costretti in stato di denutrizione per renderli leggeri, in modo che il cammello possa corre più veloce. Inoltre negli Emirati, come nel resto dei Paesi dell’area produttori di petrolio, le attività lavorative manuali – produttive e domestiche – vengono in gran parte affidate a immigrati, molti dei quali vivono in condizioni di sfruttamento simili alla schiavitù.

Ma le buone notizie come queste sono rare. L’Iran degli ayatollah vanta piuttosto come suo traguardo esemplare l’efficienza dei propri Police Guidance Patrols – polizia religiosa – che in poche settimane, pur disponendo a Teheran soltanto di 20 posti di controllo, hanno già ammonito ed «educato» a un abbigliamento islamico ortodosso ben 32.000 donne e 64 uomini e hanno ispezionato 7.000 negozi imponendo 190 multe per vendita non consentita di vestiti e altri beni non islamici.

Anche in Afghanistan c’è preoccupazione per la purezza e l’onore dei cittadini. È del 15 luglio la notizia che il Consiglio degli Ulema ha chiesto al presidente Hamid Karzai di reintrodurre la polizia religiosa che fu istituita dal precedente regime talebano con il nome di Dipartimento per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio. Allora pattugliava le strade alla ricerca di donne indecentemente vestite e di uomini con la barba in disordine, bruciava i libri e dava la caccia ai bambini che giocavano con gli aquiloni. Il presidente si è impegnato a presentare al più presto la richiesta degli Ulema in Parlamento.

Infine, in Somalia, nelle provincie conquistate dall’Unione delle Corti Islamiche è entrata in vigore la shari’a, la legge coranica, e già si annunciano lapidazioni e altre pene fisiche. All’inaugurazione di un tribunale islamico in un quartiere della periferia di Mogadiscio, Cheikh Abdalla Ali, uno dei fondatori del Consiglio Supremo Islamico Somalo, costituito dall’Unione nelle scorse settimane, ha spiegato che chi non reciterà le cinque preghiere quotidiane prescritte sarà considerato un infedele e punito come tale: ma non una parola contro mutilazioni genitali femminili, schiavitù, matrimoni forzati, ripudio, segregazione domestica e omicidi d’onore.