Il cattocomunismo che mette in croce un Pontefice Santo

Pio Xil Giornale, 25 agosto 2006

Rino Cammilleri

Che San Pio X non piacesse ai cattolici progressisti era cosa nota. Ma non può non sconcertare l’apprendere che il livore contro quel Papa morto nel 1914 è ancora intatto, cosa che dimostra una volta di più la diretta filiazione del progressismo cattolico da quel modernismo che proprio San Pio X definì «sintesi di tutte le eresie».

Talis pater talis filius, verrebbe da dire, anche se i tempi mutati non hanno prodotto analoga, secca e ufficiale condanna per il progressismo. Che viene chiamato anche «cattocomunismo» per le sue esplicite simpatie. Ai tempi di suo padre, il modernismo, i comunisti non c’erano, ma il vizio di abbracciare l’ideologia mondana considerata più «moderna» e contestare dall’interno la Chiesa perché non fa altrettanto, era presente allora come oggi.

Oggi, però, la simpatia per il marxismo fa solo ridere, perché solamente qualche attardato nostalgico potrebbe definirlo «ideologia moderna». Il fatto è che, in tempi come gli attuali, di «morte delle ideologie», il marxismo è semplicemente l’ultima di esse: nessuno ancora ha inventato qualcos’altro, altrimenti si può star certi che il progressismo gli avrebbe marciato al fianco. Il filosofo cattolico Jean Guitton profetizzava che quando al comunismo non avrebbe creduto più nessuno «i preti» avrebbero cominciato a sposarlo, dovendosi ciò al classico ritardo ideologico di certo clero.

La differenza coi tempi di San Pio X sta nel fatto che il progressismo sembra diventato il pensiero egemone nel cattolicesimo. In realtà è, oggi come allora, minoritario ed elitario. Tutto intellettuale e cattedratico, ha dalla sua solo la visibilità, e l’assenza di condanne esplicite lo ha fatto ritenere il pensiero politicamente corretto nel cattolicesimo. Per questo oggi missionari in borghese, suorine senza velo e preti «di strada» sfilano a braccetto di Bertinotti nei cortei. Il fatto è che la «destra» cattolica non ha spazio sulla stampa che conta, mentre, per esempio, la cosiddetta «scuola bolognese» da cui è uscito un Prodi vi campeggia per via del suo intellettualismo.

Quale tradizionalista cattolico potrebbe pubblicare uno sfegatato elogio di San Pio X sul Corriere della Sera? Invece, è ritenuto del tutto normale che un esponente della anzidetta «scuola bolognese», Alberto Melloni, si produca, su quelle colonne, in una demonizzazione a tutto tondo dell’unico Papa canonizzato degli ultimi secoli. Nel suo elzeviro del 23 agosto si parla di «affrettata canonizzazione», come se la Chiesa fabbricasse santi a suo ludibrio e non in base ai miracoli. La «feroce» e «forsennata» campagna antimodernista di quel Papa avrebbe «causato danni», tra cui spicca «la involontaria preparazione di quella reazionaria sprovvedutezza cattolica che tanto ha giocato nella storia italiana».

Proprio frasi del genere denunciano l’intellettualismo elitario di cui si diceva: Melloni si rivolge ai suoi sodali, ma lo fa sul quotidiano più diffuso, come se quel che ha sparato fosse un dato acquisito anche al liceo. Segue elenco di accuse a San Pio X: «La desertificazione di ampie zone della cultura ecclesiastica, il credito concesso a circoli integralisti di delatori e calunniatori», la «violenza istituzionale» di cui Pio X sarebbe stato «parte cosciente e attiva» (invece condannò l’Action Française, che non era certo di sinistra).

E poi, tra le tante altre cose, «il progetto di un codice di diritto canonico che rovesciava secoli di tradizione» (accusa contraddittoria in bocca a un progressista). Si rimproverano a Pio X le «procedure affrettate, umorali, brutali». Giudizi pesantissimi su «l’unico Papa Santo del XX secolo». Dunque sull’intera Chiesa che, secondo un pensiero giacobino, è infallibile solo quando la sua azione coincide con le simpatie di certuni.