Il Santo Padre ordina…

Quattro_Coronati

Monastero dei Santi Quattro Coronati

30 Giorni n.7/8 – 2006

Pubblichiamo il memoriale inedito del monastero dei Santi Quattro Coronati, relativo agli anni dell’occupazione nazista a Roma; l’ordine di Pio XII di aprire il monastero ai perseguitati, i nomi degli ebrei nascosti, la vita nel convento durante quegli anni terribili di

Pina Baglioni

«La nostra vuole essere solo una piccola testimonianza su papa Pio XII. Senza nessuna pretesa, per carità. Certo, la mole di scritti sulla presunta indifferenza del Pontefice e i suoi “silenzi” nei confronti degli ebrei negli anni del nazifascismo, ci addolorano profondamente. E allora c’è sembrato utile far conoscere quanto accadde da noi quasi  sessant’anni fa»

“Qui da noi” è il monastero di clausura delle agostiniane annesso alla millenaria Basilica dei Santi Quattro Coronati, sulle pendici del Celio a Roma. A prendere la parola è suor Rita Mancini, la madre superiora  alla guida della comunità monastica agostiniana dal 1977.

Sollecitate e incoraggiate dal convegno internazionale “Pio XII. Testimonianze, studi e nuove acquisizioni”  organizzato da 30Giorni il 27 aprile scorso presso la Pontificia Università Lateranense, le claustrali dei Santi Quattro si sono messe in contatto col nostro giornale per offrire il loro contributo: alcune preziosissime pagine del Memoriale delle religiose agostiniane del venerabile monastero dei Santi Quattro Coronati. Vale a dire una parte del diario ufficiale della comunità che raccoglie dal 1548 – anno in cui le agostiniane si insediarono ai Santi Quattro – le cronache della vita monastica.

Grazie alle agostiniane dei Santi Quattro c’è la possibilità di aprire una finestra su quel microcosmo separato dal mondo e improvvisamente chiamato da papa Pio XII ad aprire le porte, alzare le grate e lasciarsi coinvolgere, rischiando gravi conseguenze, dai destini di tanta gente in pericolo di vita.

«Quando arrivai qui. nel 1977. conobbi suor Emilia Umeblo» racconta la madre superiora dei Santi Quattro. «Ai tempi dell’occupazione lei era la suora “esterna”, cioè la persona autorizzata, per motivi pratici, a uscire dalla clausura. Mi parlò a lungo di quei mesi e degli aspetti logistico-organizzativi per facilitare l’ospitalità ai rifugiati ebrei e a molti altri antifascisti.

Tra l’altro suor Emilia era in contatto costante con Antonello Trombadori. dirigente del Partito comunista e capo dei Gruppi armati partigiani dì Roma, e con tanti altri oppositori al nazifascismo. Ho pregato suor Emilia più volte di scrivere tutto quello che mi andava raccontando. Purtroppo non l’ha mai voluto fare. Non c’è più e i suoi ricordi se li è portati via con sé».

Per fortuna restano le pagine che suor Rita Mancini ha messo a disposizione di 30 Giorni. Esse riguardano un lasso di tempo che va dalla fine del 1942 al 6 giugno 1944 e che comprende quindi il periodo dell’occupazione nazista a Roma fino alla liberazione della città avvenuta il 4 giugno del ’44.

«Arrivate in questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto inaspettata» scrive l’anonima cronista alla fine del 1943. «Il Santo Padre vuoi salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che nei monasteri si dia ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice».

Scorrono i nomi degli ospiti segnalati dall’elenco del memoriale: Viterbo, Sermoneta. Ravenna. De Benedetti. Caracciolo. Talarico… «A tutte le persone su elencate, oltre l’alloggio, si dava anche il vitto facendo miracoli per il momento che si traversava»: leggiamo che «tutto era tesserato. La Provvidenza è sempre intervenuta… Per la Quaresima anche gli ebrei venivano ad ascoltare le prediche, e il signor Alberto Sermoneta aiutava in Chiesa. La madre priora gli faceva fare tante cose all’altare del Santissimo preparato per il Giovedì Santo».

E nel bel mezzo della tempesta, mentre il chiostro del XIII secolo si riempie di paglia e fieno dove far riposare tutta quella povera gente, nulla si interrompe: lavoro e celebrazioni liturgiche procedono, sotto la paterna vigilanza di monsignor Carlo Respighi, l’allora rettore della Basilica dei Santi Quattro e prefetto delle cerimonie apostoliche, morto nel 1957.

In un grande locale adiacente all’orto le monache nascondono nientemeno che undici automobili, compresa quella del maresciallo Pietro Badoglio. il capo del governo militare italiano, scappato da Roma all’indomani dell’8 settembre. E poi sette cavalle, quattro mucche…

Ma da quel che veniamo a sapere dal memoriale, anche dopo la liberazione ai Santi Quattro l’ospitalità proseguì: «Dalla Segreteria di Stato ci è ordinato di ospitare con la più scrupolosa precauzione il generale Carloni che era cercato per essere condannato a morte». Si trattava di Mario Carloni, generale dei bersaglieri che era stato a capo della IV divisione alpina Monte Rosa della Repubblica di Salò.

Che il monastero romano facesse parte del fitto reticolato degli istituti cattolici che ospitarono ebrei e perseguitati politici durante l’occupazione fascista, era cosa nota: è inserito nell’Elenco delle case religiose in Roma che ospitarono ebrei pubblicato nella sezione dei documenti della Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Felice, uscita in prima edizione nel 1961 (Einaudi. Torino 21993, pp. 628-632), dove si legge che le «suore agostiniane dei Santi Quattro Incoronati» avevano ospitato 17 ebrei.

L’elenco, che riprende un articolo della Civiltà Cattolica del 1961 firmato da padre Robert Leiber, rimane ancora oggi uno dei documenti-chiave per tutte le indagini successive. Fino alle più recenti. Come quella, avviata nel 2003 dal Coordinamento storici religiosi, sugli ebrei ospitati presso le strutture cattoliche a Roma tra l’autunno del 1943 e il 4 giugno del 1944. Suor Grazia Loparco. docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà Auxilium e membro del Coordinamento, nel gennaio del 2005 ha reso noti all’agenzia internazionale Zenit i primi risultati dell’indagine: gli ebrei salvati a Roma all’interno degli istituti religiosi furono, secondo una stima per difetto, almeno 4.300.

Altre testimonianze inedite fornite da persone salvate grazie all’accoglienza negli istituti religiosi sono state rese note nei volumi di Antonio Gaspari. Nascosti in convento (Ancora, Milano 1999), e di Alessia Falifigli. Salvati dai conventi. L’aiuto della Chiesa agli ebrei di Roma durante l’occupazione nazista (San Paolo. Cinisello Balsamo 2005).

Sia in questi ultimi studi che in tutti quelli che da almeno quarant’anni indagano sul ruolo giocato dai cattolici nella salvezza degli ebrei dalle persecuzioni nazifasciste, è presente l’interrogativo se quell’accoglienza ebbe solo carattere spontaneo, o ci furono ordini provenienti dai vertici della Chiesa. La risposta è stata sempre sostanzialmente la stessa. E cioè che la natura dell’ospitalità data dalla Chiesa romana ai perseguitati, soprattutto ebrei, è stata spontanea, non decisa preventivamente dai vertici della Chiesa, ma da essa assecondata e sostenuta moralmente e materialmente.

E nella presentazione al volume della Falifigli, Andrea Riccardi, storico del cristianesimo presso la Terza Università dì Roma e fondatore della Comunità di Sant’Egidìo. chiarisce: «Per superare i divieti della clausura, quella stretta dei monasteri ma anche quella più blanda dei conventi, ci voleva una direttiva superiore». E aggiunge: «Ma tutti, unanimemente, hanno sorriso all’idea che potesse esserci un qualche documento vaticano in proposito. Chi avrebbe fabbricato una prova contro sé stesso per un’attività proibita e clandestina? Eppure tutti i responsabili erano convinti che fosse la volontà del Papa, quella di aprire le porte delle loro case agli ebrei e ai perseguitati».

Giudizio già espresso dallo scrittore e giornalista di origine ebrea Enzo Forcella in un volume del 1999: «L’assenso all’asilo era stato dato solo verbalmente, s’intende. Per tutta la durata dell’occupazione le autorità religiose si atterranno alla loro antica regola: è sempre meglio far capire che dire, se qualcosa deve essere detta è bene evitare di lasciarne traccia scritta e, in ogni caso, alle eventuali contestazioni bisognerà rispondere che si era trattato di iniziative personali dei singoli sacerdoti prese all’insaputa delle autorità superiori» (La Resistenza in convento, Einaudi, Torino 1999, p. 61).

Cosa aggiungono allora le pagine del memoriale agostiniano che 30Giorni pubblica? «Basta leggerle, non c’è molto altro da dire: le nostre consorelle non ricevettero un vago invito della Santa Sede ad aprire il convento a chi ne avesse bisogno. Ma un ordine» ribadisce suor Rita Mancini. «L’ordine perentorio del Pontefice di ospitare ebrei e chiunque altro stesse rischiando la vita a causa delle persecuzioni dei nazifascisti. Condividendo con loro tutto, facendoli sentire a casa propria. Con gioia, nonostante il pericolo. Se questa è indifferenza…».

Il memoriale è redatto in uno stile asciutto, sobrio, eppure emozionante, capace di restituire il clima di quei mesi vissuti pericolosamente all’interno delle sacre e invalicabili mura del monastero, dove giunge l’eco di una Roma terrorizzata e sofferente. Che in rapida successione aveva dovuto subire: il bombardamento dal quartiere San Lorenzo il 19 luglio del ’43. con 1.400 morti, 7.000 mila feriti e la distruzione dell’antica Basilica di San Lorenzo; sei giorni dopo, l’arresto di Mussolini per ordine di Vittorio Emanuele III di Savoia e la nomina del maresciallo Pietro Badoglio a capo del governo militare: un secondo bombardamento degli Alleati «ancora più disastroso del primo», scrissero i giornali romani, il 13 agosto: ad essere presi di mira furono allora i quartieri Tiburtino, Appio e Tuscolano; la successiva acquisizione dello status di “città  aperta”, cioè zona smilitarizzata: poi l’armistizio dell’8 settembre tra il governo italiano e le Forze alleate; la fuga di Badoglio e dei Savoia verso Brindisi; il disorientamento dei soldati italiani lasciati allo sbaraglio; l’attesa degli angloamericani, sbarcati in Sicilia già dal 10 luglio, e l’arrivo invece dei carri armati tedeschi, che occuparono il cuore della città, dopo aver sopraffatto, presso Porta San Paolo, l’ultima postazione di civili e soldati italiani a difesa di Roma.

E poi c’era stato quel sabato del 16 ottobre al Ghetto, quando, alle 5 di mattina, i nazisti avevano strappato 1.023 ebrei dalle loro case con destinazione il campo di sterminio di Auschwitz.

Ma «anche durante il periodo dell’occupazione tedesca, la Chiesa splende su Roma», dirà un grande laico, lo storico Federico Chabod, agli studenti della Sorbona. Splende, continua Chabod. «in modo non molto diverso da come era accaduto nel V secolo. La città si trova, da un giorno all’altro, senza governo; la monarchia è fuggita, il governo pure, e la popolazione volge il suo sguardo a San Pietro.

Viene meno un’autorità ma a Roma – città unica sotto questo aspetto -ne esiste un’altra; e quale autorità! Ciò significa che, benché a Roma vi sia il comitato e l’organizzazione militare del Cln. per la popolazione è di gran lunga più importante e acquista un rilievo ogni giorno maggiore l’azione del papato» (Federico Chabod, L’Italia contemporanea 1918-1948, Einaudi, Torino 1993. pp. 125-126).

Pubblichiamo qui dì seguito il memoriale relativo al periodo dell’occupazione nazifascista a Roma. Esso comprende anche un brano di un articolo apparso sull’Osservatore Romano.

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IL MEMORIALE INEDITO DELLE MONACHE AGOSTINIANE

VENERABILE MONASTERO DEI SANTI QUATTRO CORONATI  Roma

[Ultime nove righe dell’anno 1942]

Durante l’anno nessuna novità di rilievo. Si va avanti colle ansietà procurateci dalla grande guerra. Spaventi continui per allarmi notturni. Privazioni di cose necessarie. Pane, pasta, olio ecc.

Si celebra lo stesso con la consueta solennità la stazione quaresimale. Le funzioni della Settimana Santa per mezzo degli studenti irlandesi. Cosi la solennità del santo padre Agostino, poi dei Santi Quattro e si giunge a chiudere l’anno benedicendo il Signore che ci ha salvato da tanti pericoli, per l’immane guerra, per le privazioni e preoccupazioni di ogni genere. Il Te Deum fu cantato ringraziando Dio che ci ha protette.

Anno Domini 1943

Con la consueta funzioncina della processione col Santo Bambino, pia pratica che per noi ci assicura te benedizioni divine, si inizia questo anno fra gli orrori della guerra, fra le privazioni di ogni genere, e l’incertezza dell’esito della guerra stessa.

La Provvidenza ci assiste, e ci è dato di far fronte a tutte le difficoltà, mediante il lavoro di parati sacri, e il la-vaggio di biancheria di chiesa della Pontificia Università Gregoriana, del Pontificio Istituto Biblico, dei Collegio Borromeo, e altre chiese. Monsignor Respighi si adopera come al solito perché la liturgia della stazione quaresimale riesca solenne come sempre. La comunità può fare gli esercizi spirituali, e avere te due prediche ogni settimana durante la Quaresima.

Intanto ci avviciniamo alla Settimana Santa, e si svolgono le funzioni del Triduo. Il Santo Sepolcro è visitato da molti fedeli. Si procede col medesimo ritmo fino alla solennità di sant’Agostino che viene celebrata con intenso fervore. Ci avviciniamo alla festa titolare dei Santi Quattro che è celebrata coi vespri pontificali e la messa pontificale la mattina del giorno 8, in cui sono celebrate parecchie sante messe lette.

Arrivate a questo mese di novembre dobbiamo essere pronte a rendere servigi di carità in maniera del tutto inaspettata. Il santo padre Pio XII, dal cuore paterno, sente in sé tutte le sofferenze del momento. Purtroppo con l’entrata dei tedeschi in Roma, avvenuta nel mese di settembre, si inizia una guerra spietata contro gli ebrei che si vogliono sterminare mediante atrocità suggerite dalla più nera barbarie.

Si rastrellano i giovani italiani, gli uomini politici, per torturarli e farli finire tra tremendi supplizi. In queste dolorose situazioni il Santo Padre vuoi salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che nei monasteri si dia ospitalità a questi perseguitati, e anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice, e, col giorno 4 novembre, noi ospitiamo fino al 6 giugno successivo le persone qui elencate:

Dal 4 novembre al 14, la signora Bambas moglie di una personalità politica. Il marito era nascosto in altra casa religiosa, e lo volle raggiungere.

Dal 1° dicembre al 27, tutta la famiglia Scazzocchio di 9 persone.

Dal 1° dicembre a tutto il febbraio successivo, la mamma del dottor Scazzocchio. Queste persone furono sistemate nella sala del Capitolo, con l’annessa stanzetta, e l’adiacente corridoio. I pasti li consumano in refettorio.

Dal 7 dicembre al 23 gennaio, il Ravenna ebreo (rabbino) dai paliotti.

Dal 15 dicembre al 18 gennaio, il signor Viterbo col suocero, ebrei, solo dormire.

Anno Domini 1944

Dal 1° gennaio al 21, la signora Dora ebrea – cameretta del salone.

Dal 5 gennaio al 9 maggio il signor Alfredo Sermoneta (ebreo) dai paliotti.

Dal 2 febbraio al 7 maggio, il signor Salvatore Mastrofrancesco (politico) nipote di suor Maria Veronica Del Signore.

Dal 2 febbraio al 5 giugno, il signor Eugenio Sermoneta (ebreo) dai paliotti.

Dal 2 febbraio al 5 giugno, il signor Fernando Pisoli (politico) dai paliotti.

Dal 2 febbraio al 9 maggio, il signor Fernando Talarico (di leva).

Dal 13 dicembre al 6 giugno, il giovane Francesco Caracciolo.

Dal 15 dicembre al 6 giugno, suo fratello Alberto, figli del generale Caracciolo.

Dall’8 marzo al 7 maggio, Piero De Benedetti (patriota).

Nel mese di marzo, per otto giorni, Franco Talarico.

Nel medesimo tempo abbiamo nascosto in refettorio cento tonnellate di carta di Fabriano e abbiamo sostenuto per questo delle rappresaglie dai parenti del proprietario.

In un grande locale adiacente all’orto, abbiamo nascosto undici automobili, compresa quella del generale Badoglio, e del generale Tessari, due camion portati qui da militari subito dopo l’8 settembre ’43.

Un autotreno, una motocicletta del capitano di Trapani, un triciclo, dieci biciclette.

Dell’azienda Gianni abbiamo nascosto sette cavalle, quattro mucche, quattro buoi, tutte le macchine agricole, e mezzi di trasporto. Il chiostro, chiuso ai visitatori per far passeggiare i rifugiati, era pieno di paglia e fieno. Il mobilio e biancheria di varie famiglie sfollate, oggetti di valore e titoli bancari.

6 giugno. Finalmente si aprirono le porte a questi poveri rifugiati, e restammo di nuovo nella nostra libertà, ma per poco tempo, poiché il giorno 4 ottobre successivo ci fu ordinato di ospitare con la più scrupolosa precauzione il generale Cartoni che era cercato per essere condannato a morte.

Dalla Segreteria di Stato del Vaticano ci è ordinato di ospitarlo, imponendoci solenne segreto. E fu accomodato alla meglio nella piccola stanza sotto il salone, ma però era costretto a passare nel centro della comunità. Con lui fu ospitata la signorina direttrice di casa sua perché, malato di fegato, aveva bisogni di riguardi per il vitto. Detta signorina cucinava nella nostra cucina. Di questo i superiori erano al corrente.

Si sperava che anche questo ospite in pochi mesi si sarebbe liberato. Purtroppo nel mese di marzo successivo fu scoperto che era presso di noi, e con tutta fretta monsignor Respighi con monsignor Centori lo condussero in auto in Vaticano presso le sacre Congregazioni in casa di monsignor Carinci e ivi si trattenne fino al 15 settembre, che dovemmo riceverlo di nuovo. E per ben cinque anni fu nostro ospite.

A tutte le persone su elencate, oltre l’alloggio, si dava anche il vitto facendo dei miracoli per il momento che si traversava, che tutto era tesserato. La Provvidenza è sempre intervenuta. Negli ultimi mesi ci davano L. 40… In tal modo proseguimmo l’anno. Per la Quaresima anche gli ebrei venivano ad ascoltare le prediche, e il signor Alfredo Sermoneta aiutava in chiesa. La madre priora, suor Maria Benedetta Rossi, gli faceva fare tante cose all’altare del Santissimo preparato per il Giovedì Santo, sperava che quell’anima ne restasse impressionata. Ma purtroppo non ci fu data questa santa soddisfazione.

Abbiamo avuto anche degli spaventi, specialmente un giorno che si presentarono due agenti delle SS, Servizio speciale per rintracciare ebrei e giovani. Uno dei due era italiano e fu maggiore la dolorosa impressione ricevuta. Però non ci lasciammo vincere né dalle minacce né dalle persuasioni, e se ne andarono.

A guerra finita, si parlava della bontà del Santo Padre che aveva aiutato, e fatti salvare tanti, sia ebrei che giovani e intere famiglie. La stampa riempiva le colonne e in un giornale cattolico, L’Osservatore Romano, leggemmo questo articolo del professor Tescari che conosceva bene quanto si era fatto nei monasteri di clausura per la salvezza di tanti perseguitati.

Partigiani pacifici

«Chi scriverà la storia della più recente oppressione tedesco-fascista in Roma dovrà dedicare un capitolo speciale all’opera generosa, vasta, multiforme, spiegata in prò dei perseguitati dai religiosi. Uffici parrocchiali trasformati in veri e propri uffici di collocamento-rifugio (ne frequentavo uno dove, nei pochi minuti in cui mi trattenevo, vedevo affluire una moltitudine di uomini e donne di ogni classe, di ogni età, e il parroco ascoltare, prendere nota, indirizzare, promettere, elargire con generosità), case di sacerdoti diventate alberghi di fuggitivi (odo ancora la governante di uno di questi brontolare che in casa non vi era più niente ecc.): lamenti insolitamente popolati di facce atteggiate a confusione nuova e strana, ma coloro che in cotesto campo della carità si dimostrarono vere eroine, furono le suore che travestirono da consorelle donne ebree (di null’altro colpevoli di essere sangue di Gesù e di Maria), che violarono la secolare clausura per dare ricetto a uomini per ragioni di razza o politica perseguitati, che accolsero bimbi di fuggitivi, che si prestarono a falsificazioni di documenti personali procurando esse stesse o agevolandone il conseguimento: l’opera grandiosa e pericolosa compiendo con semplicità e coraggio e disinteresse indicibile.

Il persecutore ne era informato, ma non osò violare i sacri recinti oltre un certo limite: l’ombra grande proiettata da San Pietro salvaguardava anche gli asili più remoti e solitari. O sorelle buone e  care, siate benedette insieme con gli altri, da Dio. il Quale del premio destinatevi, vi ha dato anche quaggiù un prezioso saggio, consentendovi di assistere a tante mirabili conversioni di persone da voi beneficate, le quali dopo aver sperimentato che la sostanza della religione nostra è amore, amore senza distinzione, amore senza limiti, non hanno resistito al dolce invito della grazia e sono ridivenuti, o divenuti, anche per fede fratelli nostri “(Onorato Tescari).

Restate di nuovo nella nostra pace, si continua la vita di comunità. Preghiera e lavoro. Già dal 1925 si lavora per la ditta Gammarelli di parati sacri, più tardi, nel medesimo anno anche la ditta Romanini domanda che si confezionino i parati sacri. Già dalla venuta delle consorelle agostiniane di Santa Prisca che lavavano la biancheria personale dei padri della Compagnia di Gesù, nella Pontificia Università Gregoriana, si proseguì per alcuni mesi, poi la biancheria personale la lasciammo e cedemmo alle Suore delle sordomute, proseguendo a occuparci della biancheria di sagrestia tanto della Pontificia Università, che dell’Istituto Pontificio Biblico, in seguito del Collegio Borromeo e Sant’Andrea al Quirinale. Per la chiesa della Vittoria, si attendeva già da più di cinquant’anni e così dei padri Trappisti.

Si seguita nella vita ordinaria, si celebra la solennità di padre Agostino con le consuete funzioni. Senza novità, giungiamo alla solennità dei Santi Quattro che monsignor Respighi celebra sempre in maniera grandiosa. Quindi chiudiamo anche quest’anno, così speciale di avvenimenti, ringraziando il Signore di tutte le grazie concesse.

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Il ricordo dell’attuale comunità monastica dei Santi Quattro Coronati

 Quelle nostre consorelle quiete nella tempesta

«Si sentono voci dolorose di una Seconda guerra mondiale che purtroppo è alle porte e dalla quale si prevedono le più dolorose conseguenze […]», Cosi troviamo scritto nelle cronache della nostra comunità monastica agostiniana nel monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma. Siamo nell’anno 1940. La guerra bussa prepotentemente anche alle porte del monastero, e le monache appuntano: «Siccome si sente prossimo l’inizio della guerra, si deve pensare a prepararci un luogo di sicurezza ove rifugiarci». E poco tempo dopo «al suono della sirena, svegliate dal lugubre suono ci rechiamo tutte al rifugio e in preghiera attendiamo il segnale di cessato pericolo. […] La tranquillità non è più in alcuno».

Da quel momento è difficile dire cosa e come abbiano vissuto le nostre consorelle che qui hanno trascorso quei terribili anni di guerra. Quello che viene registrato sul nostro Memoriale lascia solo intuire ciò che si viveva all’interno del monastero in quel grave tempo di prova: «Si va avanti con le ansietà procurateci dalla grande guerra. Spaventi continui per allarmi notturni. Privazioni di cose necessarie». «Sì manca di tutto». Il mondo era in fiamme, il dolore e la violenza dilagavano e queste donne, come lutti i loro fratelli in quel momento, portavano il peso di una storia molto più grande di loro.

Le monache che hanno vissuto quegli anni non sono più con noi, ma i loro racconti ancora riecheggiano tra queste nostre mura. Nelle loro parole rintracciamo la possibilità di una lettura della storia, quella dei grandi eventi, che passa per l’esperienza piccola, tutta personale, nascosta e silenziosa, che rende ancora più autentico il vissuto comune degli uomini e delle donne di quel tempo.

Per noi che oggi viviamo qui raccogliendo l’eredità umana e spirituale di coloro che ci hanno preceduto, non è un mistero il fatto che tra le mura della nostra clausura abbiano trovato rifugio uomini politici, patrioti, forse disertori e intere famiglie ebree con nonni e bambini. Le nostre cronache registrano nomi e cognomi degli inattesi ospiti e prima di tutto registrano l’ordine del santo padre Pio XII di aprire loro le porte della clausura, per proteggerli, nasconderli, sfamarli salvandoli dalla deportazione e da morte certa

In quel periodo era madre priora suor Maria Rita Saporetti, donna determinata, intelligente e di spirito, dotata di grande fede e di una simpatia coinvolgente. Lei e la comunità tutta non solo non si sono sottratte al compito delicato che il Papa e la Chiesa affidavano loro, ma sono riuscite a creare un clima di vera accoglienza e familiarità con tutti coloro che varcavano la soglia della clausura per cercare rifugio.

Si condivideva quel poco che c’era da mangiare -facendo miracoli»! Uomini e donne all’occorrenza venivano vestiti con abiti religiosi, velati e condotti nell’orto come fossero vere monache al loro lavoro. Qualcuno collaborava al servizio all’altare e in sacrestia. A molti, con il diretto interessamento dell’intraprendente madre Rita, parente di un impiegato del Comune, vennero fomiti documenti d’identità falsi e nomi nuovi per intere famiglie.

Il rischio di venire scoperte era sempre molto alto e i timori si fecero più forti dopo che si diffuse la notizia dell’irruzione delle SS nel convento benedettino della Basilica di San Paolo.

In una sala interna al monastero calpestiamo ancora oggi una botola che si apre su uno stretto locale sotterraneo; quasi nessuna di noi ci fa più caso, ma sappiamo che quello era il luogo prescelto come nascondiglio ove condurre i rifugiati in caso di perquisizione della casa.

Quando però si presentarono alla grata della portineria due ufficiali delle SS, la determinazione della madre e delle monache non si fece vincere dai loro prepotenti argomenti di persuasione e la clausura non fu vio-lata. Lo spavento fu grande e le monache, la cui migliore arma, si sa, è la preghiera, raccontavano fieramente di aver avuto la meglio con grande gioia e sollievo per tutti. Quel giorno festeggiarono.

Oggi sorridiamo affettuosamente leggendo l’elenco piuttosto curioso di tutto quello che era stato affidato alla custodia delle monache: macchine, motocicli, camion, cavalli, mucche, carta, biciclette […], mobili, biancheria […]; tutto aveva valore e tutto veniva accuratamente nascosto per salvaguardare questa povera gente perseguitata dalla razzia di ogni loro bene da parte dei tedeschi.

Sono stati anni impegnativi per tutti, non c’è dubbio, il dolore, lo smarrimento e l’incertezza per il futuro sembravano essere gli unici protagonisti della vita quotidiana del tempo.

Eppure qui, tra queste alte mura, per molti la vita riacquistava la sua dignità; storie di fede ritrovata, di amicizia, di fraterna vicinanza e solidarietà si intrecciavano nella semplicità della condivisione di una vita fatta di silenzio e di preghiera in una comunione che ha vinto ogni paura. Questi rimangono i ricordi più belli.

 La comunità monastica agostiniana dei Santi Quattro Coronati in Roma