Laicità ed etica

laicitàRivista trimestrale di cultura giuridica Iustitia n.1-2002

Relazione al Colloquio di Udine su «Laicità e laicismo in Europa» (15 aprile 2005), promosso dall’Unione Giuristi Cattolici di Udine – Gorizia.

Joël-Benoit D’Onorio

Esiste sicuramente una laicità cristiana. Pio XII nel 1958, poco prima di morire, aveva parlato di una «sana e legittima laicità dello Stato» e nel 1965, Paolo VI aveva parlato della «giusta laicità della città terrena». Il Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha insistito sull’autonomia e l’indipendenza tra la Chiesa e la società civile.

Ma sopratutto il fondamento della laicità cristiana si trova in Gesù Cristo stesso quando distingue tra le cose che appartengono a Dio e quelle che appartengono a Cesare. Una manifestazione di laicità c’è anche nell’adagio: «unicuique suum» (ad ognuno il suo), motto ufficiale dell’Osservatore Romano, giornale cosi — secondo me — più laico al mondo…

Dunque, nel Vangelo stesso, Dio non si fa pregare per dare a Cesare quello che deriva da Cesare, ma è facile osservare che, per uno strano rovesciamento delle parti, Cesare, ha la tendenza a farsi pregare per rendere a Dio ciò che viene da Dio.

Dal punto di vista cattolico, non c’è una separazione — come si dice da noi in Francia — tra la religione e la politica, o la Chiesa e lo Stato; ci deve essere soltanto una distinzione. Certo, la Chiesa ha cura di non compromettere la religione (che ha carattere permanente) con la politica (che ha carattere contingente, ove emerge ciò che divide, anche legittimamente, sui mezzi per raggiungere il bene comune).

Invece, per quello che unisce in vista del bene comune, i due poteri, spirituale e temporale, hanno il dovere di concorrere. Sì potrebbe dunque concepire la laicità come una semplice tecnica, un metodo particolare, per un certo tempo e per certi luoghi, del trattamento politico degli affari religiosi. Ma, in Francia, la pratica non è proprio esattamente cosi, la nostra laicità non è stata concepita da politici cristiani, come si sa…

La Francia pretende di essere il crogiolo della laicità autentica, il non plus ultra del sistema laico, «la nazione più laica per eccellenza» come ha detto un famoso politico francese, Leon Gambetta, nel 1875. In origine, lo scopo della laicità francese era quello di conquistare la totalità dello spazio sociale, dal quale Dio doveva essere escluso, come è stato sancito nella legge di dicembre 1905. Il secondo scopo era quello di risolvere il rapporto Chiesa-Stato sulla base del principio stesso dell’assenza di legami ufficiali, come è avvenuto con la rottura delle nostre relazioni diplomatiche con la Santa Sede nel luglio 1904 e per quasi vent’anni.

Il primo articolo della legge francese del 1905 sulla laicità assicura il rispetto della libertà religiosa; poi, nel secondo, si dice che la Repubblica non dà sovvenzioni e nemmeno riconosce alcun culto religioso. Ma la libertà religiosa è strettamente concepita in questa legge soltanto sull’aspetto rituale dei culti. Nel diritto repubblicano francese, c’è libertà di culti e libertà di coscienza, cioè libertà della sfera privata ma senza prolungamenti nella sfera politica e sociale.

Ora, si parla molto di etica, cioè la morale sociale. Il problema è quello dei valori laici compatibili con i valori in generale e i valori cristiani in particolare.

Per la morale civica, c’è senza dubbio compatibilità tra laicità e cristianesimo perché la Chiesa cattolica ha sempre predicato l’amore per la patria, la lealtà verso i poteri pubblici legittimi e le virtù sociali e di solidarietà. Questa morale laica ha ripreso in fatto lo spirito della morale naturale, che proviene dal Decalogo, inclusi i doveri verso Dio che i nostri massoni spiritualisti hanno mantenuto nelle lezioni di morale delle scuole della Repubblica dove, fino al 1923, erano insegnati i doveri dell’uomo e i doveri verso Dio…

Troviamo questi principi di morale naturale anche adesso nella legislazione di tutti gli Stati civilizzati quando la legge punisce il furto, la falsa testimonianza o la criminalità perché i principi del Decalogo fanno parte del bene comune universale, nozione eminentemente morale. Si ricorda che Pio XI diceva che la Chiesa non può ammettere che la politica si astenga dalla morale. E, di fatto, quando sciò succede, accadono gli scandali! che vediamo un po’ dappertutto.

Ma, da un secolo, il concetto stesso della morale è considerevolmente cambiato; il suo contenuto sembra essersi impoverito, anzi è diventato quasi vuoto e adesso si pone il problema del fondamento proprio della morale nella società democratica.

Per la morale cristiana è facile: il suo fondamento è evidentemente in Dio; per la morale laica ormai è senza Dio. Oggi il problema politico più importante è quello della morale diventata una morale di Stato, un’etica statale («une éthique étatique»).

La nozione di etica ha una connotazione più di carattere sociologico con una forte dose di relativismo, mentre la morale fa un po’ più anziano, quasi «anticonciliare», diciamo più costringente, e si osserva che adesso non si è mai tanto sentito parlare di etica dalla gente che non crede più nella morale, almeno da noi…

Ora, il fallimento di questa morale sociologica è evidente per tutti e quella «etica statale» ha prodotto l’avvento di un neo moralismo ufficiale.

Nel personale politico della Francia, si sostiene sempre l’opposizione ai valori trascendenti nella vita pubblica. L’esempio lo abbiamo nel Trattato europeo di 2004 dove non hanno voluto, — specialmente i Francesi (il nostro Presidente della Repubblica, il governo, prima di sinistra, adesso di destra) — la menzione dell’indicazione delle radici cristiane del Continente, proprio per non mescolare — dicono — gli affari religiosi con affari politici.

Dieci anni fa, nel 1995, durante le elezioni presidenziali in Francia, è stato pubblicata l’Enciclica del Santo Padre Evangelium Vitae, sul rispetto della vita e contro l’aborto. I tre più importanti candidati alla presidenza della Repubblica di allora (cioè il Signor Chirac, il Signor Balladur, primo ministro e il Signor Jospin diventato primo ministro due anni dopo, quindi due di destra e uno di sinistra) sono stati rapidamente d’accordo per dire no a una legge morale superiore alla legge civile perché, secondo loro, nella Francia laica non si può!… Qui si pone il problema dei fondamenti morali prepolitici o antepolitici di una società democratica.

I diritti fondamentali della persona umana sono anteriori e quindi superiori alla legge positiva, i diritti dell’uomo che fanno corpo con natura umana non sono un dato, neanche un acquisto della democrazia, ma costituiscono proprio un dovere della democrazia, perché devono imporsi anche in democrazia.

Come giustificare i valori morali senza una trascendenza che li imporrebbe dall’alto ? Questa è la questione fondamentale. In Francia, hanno trovato la risposta: se non si può imporre qualcosa dall’alto bisogna imporre dal basso! Quindi la legge morale si ritrova al rimorchio della legge civile, lei stessa sottoposta oggi alla legge mediatica. Si dice che la democrazia significa la legge della maggioranza, la legge propria della democrazia è il principio maggioritario; ma nella definizione della morale la democrazia viene a cambiare natura, passando dall’aritmetica all’etica. O, più precisamente, alla pretesa etica…

Assistiamo adesso all’emergenza di un principio della relatività dei valori, principio eminentemente rousseauviano (da Jean-Jacques Rousseau) che non può metter capo che soltanto su un vuoto etico davanti al quale la società moderna è presa di vertigine, passando dalla democrazia di convinzione a una democrazia di consumazione.

Bisogna insistere: la sovranità del corpo politico riguarda soltanto la politica e non può traboccare sull’etica, perché il bene e il male non si decretano al suffragio universale. L’aborto, l’eutanasia, l’omosessualità, la pedofilia, non hanno niente a che fare con la democrazia. Come aveva detto nell’89 Papa Giovanni Paolo II, «non si stabiliscono le norme morali per via referendaria». Portalis, gran giurista francese, morto da quasi duecento anni, redattore principale Codice civile del 1804, aveva detto, sotto l’impero di Napoleone, «non è nel potere dell’uomo legittimare la contravvenzione alle leggi della natura».

Quindi, adesso, lo Stato moralizzatore prende il posto della trascendenza ma, facendo cosi, lo Stato non è più neutrale neanche laico, diventa laicista. Ed eccoci a questa parola «laicismo».

Questa tendenza attuale della laicità, specialmente della laicità francese, è stata denunciata da nostro Papa Giovanni Paolo II nel giugno 2003 nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa (n° 117), poi nel gennaio 2004, facendo allusione alla situazione francese, e di nuovo nel gennaio 2005, pensando questa volta alla Spagna, perché la Spagna viene adesso a Parigi a prendere lezioni di laicismo…

Quindi lo Stato laico non si contenta più di separare i suoi valori, principi e regole di quelli della religione, ma pretende attribuire a questi valori, principi e regole lo stesso carattere di sacralità che la religione attribuisce ai suoi stessi. Lo Stato rivendica anche la sua capacità di dotarsi delle sue proprie norme morali in totale indipendenza al fine di assicurarne la superiorità sopra le norme religiose e morali tradizionali. Dunque, c’è laicismo quando la laicità diventa una metafisica di Stato, una laicità monopolistica, una specie di fondamentalismo laico, cioè una sacralizzazione della laicità come la vediamo ogni tanto politicamente strumentalizzata in Francia.

Lo Stato laico si trasforma così in un Stato etico tramite l’etica ufficiale dei suoi comitati, una specie di religione di sostituzione, quella religione civile di Rousseau il cui fine è di fare dei cittadini ubbidienti, che applicano scrupolosamente le leggi senza discutere. È quella la religione secondo Rousseau.

La laicità infine non sarebbe una religione della gente senza religione? Una nuova mutazione della laicità è l’emancipazione dalla morale. La laicità favorisce l’amoralismo individuale e un neo moralismo collettivo: amoralismo individuale cioè ognuno fa quello che gli piace e come la pensa; ma c’è anche il neo moralismo collettivo perché non si deve pensare né dire delle cose che sono proibite dallo Stato, secondo il pensiero unico…Nello stesso tempo si parla di pluralismo in una contraddizione schizofrenica!

Lo Stato diventa quindi produttore del «religioso di Stato», cioè di religioni formate secondo la sua convenienza con la marca di autenticità civica e repubblicana. Ad esempio, si dice da noi «bisogna creare un islam di tipo francese». Ma con quale autorità una Repubblica laica può organizzare una religione in qualsiasi modo? L’islam è l’islam, non c’è un modo francese o un modo italiano o un modo algerino; l’islam non è l’equivalente del «couscous» che si prepara a modo algerino o marocchino, eccetera…

Quindi da noi, con il «politicamente corretto» c’è adesso anche il «religiosamente corretto»: quello che si deve fare, quello che non si deve fare, secondo le indicazioni dello Stato.

È vero che per l’emergenza di una sacralità laica, come vediamo, la laicità deve scimmiottare la religione: si dice che i diritti dell’uomo sono sacri, ma in nome di che? di chi? Escluso il riferimento a Dio e a la Sua legge, non c’è più nulla di sacro.

Alla Rivoluzione francese, nella Dichiarazione del 1789, c’era almeno «l’Etre supreme», l’Essere supremo. Ma hanno tutti dimenticato che questa Dichiarazione è rimasta fino adesso di diritto positivo in Francia… Parimente la scuola pubblica è stata qualificata recentemente, dal Presidente della Repubblica francese, di «santuario della laicità». Però «santuario» è una parola dell’ambito religioso, quindi prendiamo un’immagine religiosa per definire l’antireligione

A forza di desacralizzare il sacro, siamo arrivati a sacralizzare il profano. Tutta la gente è un po’ condizionata per la censura e per l’autocensura delle espressioni religiose o della semplice affermazione della sua fede personale, almeno in Francia. Perché se qualcuno, nel dibattito pubblico, si afferma credente, specialmente cattolico (se ebreo o musulmano va bene, cattolico non va più bene…), c’è una «fragilizzazione» della persona che è messa fuori gioco politico.

Si dice che in Francia non ci sono più intellettuali cristiani. Non è vero, esistono, ma a questi intellettuali viene intimato di non presentarsi, neanche di comportarsi come tali, perché essere cattolico non è valorizzante, neanche scientifico, e a livello europeo l’esempio l’abbiamo avuto con l’On. Prof. Buttiglione qui presente. Si è visto che la parola, la semplice parola «peccato» non è conveniente nello spazio politico contemporaneo, perché nella nuova morale non c’è più peccato…

Il solo peccato moderno sarebbe di essere fedele alla sua fede; nella sua pienezza, ma col rischio del sospetto di fondamentalismo e integralismo. Ma oggi avere un minimo di logica intellettuale o rigore morale è sufficiente per essere fondamentalista, o andare a Messa ogni domenica per essere integralista…

Questi ultimi anni, abbiamo visto sorgere una fobia della religiosità. A livello europeo si è parlato di una «teofobia» nella Carta dei Diritti fondamentali del 2000. Il presidente Chirac e il primo ministro Jospin, (destra d’accordo con sinistra) hanno voluto escludere l’aggettivo «religioso» per il patrimonio culturale europeo in favore dell’aggettivo «spirituale»; poi, nel 2004, a Bruxelles, i Francesi hanno preferito «religioso» piuttosto che «cristiano» nel preambolo ,del trattato… Ciò dimostra un rifiuto delle referenze religiose per sospetto di ingerenza religiosa e adesso c’è, almeno in Francia, un postulato moderno, postulato laico secondo il quale l’ateismo sarebbe più neutrale che la fede. Tutti lo credono, ed anche i credenti!…

Però, questo ostracismo della religione in politica è contraddetto dal diritto, dalla giurisprudenza europea e anche dall’articolo 52 del Trattato di Roma del 2004 che ha ufficialmente riconosciuto una funzione pubblica alla religione e alle istituzioni religiose.

Vi ricordo che a Strasburgo Papa Giovanni Paolo II ha detto davanti al Parlamento europeo: «Non c’è democrazia senza assoggettamento di tutti alla legge, e non c’è legge non fondata su una norma trascendente del vero e del giusto» (11 ottobre 1988). Di fatto non ci sono istituzioni senza convinzione, non c’è società senza etica e neanche libertà senza verità.

È proprio questo rapporto della politica con la verità che costituisce il punto focale, anzi il punto debole, del dibattito maggiore e fondamentale delle nostre società contemporanee.

Non si deve dimenticare che anche la verità è un diritto dell’uomo, ed è il primo.