Requiem per il dossettismo

Giuseppe Dossetti

Giuseppe Dossetti

Tempi numero 19 del 04 maggio 2006

Lo intona il crociano Nicola Matteucci, che in università e al “mulino” è stato collega dei pesi massimi della sinistra cattolica italiana

di Rodolfo Casadei

«I cattolici di sinistra, sia sul piano politico sia sul piano religioso, sono fuori dal nostro tempo storico». All’indomani del pur striminzito successo elettorale della sinistra guidata da Romano Prodi e della fluviale intervista del cardinale Carlo Maria Martini all’Espresso, Nicola Matteucci si è preso la libertà, in un articolo sul Giornale, di uno di quei giudizi aforistici e taglienti per cui va famoso. Grande studioso di Tocqueville, cattedrattico di filosofia all’Università di Bologna e fondatore della rivista Il Mulino, il liberale crociano Matteucci ha conosciuto molti dei cattolici di sinistra emiliani che oggi tornano sul palcoscenico.

Professore, lei accusa di anacronismo importanti esponenti del nuovo establishment.

Dire “fuori dal tempo storico” vuol dire fuori dalla cultura politica di oggi. Ha presente il libro A colloquio con Dossetti e Lazzati di Pietro Scoppola e Leopoldo Elia? Se confronta quei discorsi, che sono del 1984, con la realtà odierna, coglie tutto il cambiamento. Allora c’era il cardinal Martini, arcivescovo di Milano, che aveva avviato un processo canonico contro giornalisti di Comunione e Liberazione. Oggi Martini non ha nessun peso nella Chiesa, vive a Gerusalemme, nel libero stato di Israele. Sul piano politico il gruppo dei dossettiani ormai ha un peso molto piccolo nella Margherita, devono obbedire alle logiche maggioritarie in quello e negli altri partiti dell’Unione: non hanno più nulla del dossettismo vero, puro. Possono mantenere l’antiatlantismo, ma l’antisionismo no.

Lei è un liberale agnostico sensibile allo spirito religioso. I cattolici di sinistra “bolognesi” (Ardigò, Dossetti, il reggiano Prodi, Alberigo, Pedrazzi, Parisi, Scoppola, Elia) sono dei credenti affascinati dalla modernità. Quali erano i punti di frizione fra lei e loro?

A Scienze politiche, di cui sono stato preside, ho avuto discussioni con Ardigò e Alberigo, ma per questioni puramente organizzative. Prodi allora era un semplice assistente, quindi non lo prendevo in considerazione. Al Mulino, invece, soprattutto con Scoppola ed Elia c’erano discussioni. Alla vigilia del referendum sul divorzio ci fu uno scontro violentissimo fra loro e Cotta e Del Noce, che erano fra i promotori del referendum. Io ero favorevole al divorzio, ma in Scoppola e in Elia c’era una tale carica violenta e settaria che non si poteva essere d’accordo con loro. In seguito ho compreso che la loro aggressività era funzione della loro cultura filocomunista. Ne ebbi la conferma quando mi ritrovai in Consiglio di amministrazione Rai con Elia: votava sempre come i comunisti. Su questo ebbi scontri violenti. Mi tolse addirittura il saluto.

Lo scontro passò dal Mulino al cda Rai!

Lui faceva affermazioni sul tema dell’intransigenza morale, poi votava sempre coi comunisti. Allora io lo accusai di agire in quel modo perché mirava alla poltrona di presidente della Corte costituzionale. Che poi ottenne.

In quegli anni si andava radicando in università la presenza di Cl. Cosa ne dicevano i cattolici di sinistra bolognesi? Era un argomento di discussione fra voi?

Il mio incontro con Comunione e Liberazione e lo scontro coi colleghi si ebbe il giorno che entrai al dipartimento di Filosofia e li incontrai davanti a un banchetto a pianterreno. I colleghi di filosofia inveivano: erano ferocemente nemici per ragioni politiche. Lì ebbi lo scontro, perché sostenevo che i ciellini dovevano essere trattati come gli altri, e non emarginati. Io poi avevo dei rapporti più nascosti con Cl tramite il mio grande amico Augusto Del Noce, che scriveva sul Sabato. C’era una persona che terrorizzava Augusto più di ogni altro: il cardinale Martini.