L’enfant et la nouvelle scène conceptionnelle

Benoît Bayle

Benoît Bayle

Trascrizione dell’intervento di Benoît Bayle,

psichiatra ospedaliero e dottore in filosofia (Servizio di psichiatria infanto-giovanile)   a Chartres (Fr), che ha partecipato al Convegno che si è svolto a Siena negli ultimi giorni di marzo 2006 e organizzato tra gli altri dal neonatologo Carlo Bellieni

Ringrazio calorosamente il dr Carlo Bellieni per avermi invitato oggi. Grazie anche a tutti gli organizzatori di questa giornata.

Credo che le pratiche mediche di contraccezione, aborto, diagnosi prenatale e procreazione artificiale abbiano profondamente modificato la nostra relazione con la sessualità e la procreazione umana, hanno davvero stravolto il modo di concepire i bambini, hanno in qualche modo trasformato l’uomo e la società.

Queste pratiche che sono state sostenute da diversi slogan (“un bambino se lo voglio”, “un bambino quando voglio”, un bambino come voglio”) hanno in effetti due conseguenze importanti:dal lato dell’uomo e della donna, hanno contribuito al noto movimento di “liberazione sessuale”, e dalla parte dei bambini, hanno favorito la programmazione del bambino “desiderato” e “perfetto”.

Ne risulta una doppia rivoluzione, sessuale e concezionale. Una nuova scena concezionale è emersa, cioè un nuovo modo di concepire i bambini, e questa nuova scena concezionale riguarda i bambini di oggi, qualunque sia il loro modo di esser stati concepiti, ovvero naturalmente o per procreazione artificiale.

Nel corso di questa esposizione, rifletterò con voi sulle conseguenze di questo stravolgimento nel concepimento, centrando tutta la mia attenzione sul bambino. Vi parlerò dapprima del modello del “bambino desiderato”, poi evocherò la psicologia e la psicopatologia del concepimento umano per comprendere meglio i lati psicologici della procreazione artificiale.

Al centro di questa rivoluzione concezionale, il problema del bambino desiderato occupa un posto centrale.

Non so se succede così in Italia, ma in Francia quando una donna resta incinta le si domanda spesso se il bambino che aspetta è “voluto”. Aver “voluto” il bambino significa che la coppia ha scelto di averlo, che si è preparata per accogliere questo bambino, sul piano materiale, ma anche sul piano affettivo. Il bambino “voluto”è il bambino che viene al momento giusto, secondo la volontà dell’uomo e della donna che hanno programmato la sua venuta.

La coppia ha un progetto su questo bambino, si sente abbastanza pronta per accoglierlo e attende la sua venuta con fervore. Questo bambino non sarà un peso, non sciuperà i progetti dei genitori, che hanno una posizione sociale sufficientemente stabile, un’abitazione, hanno finito gli studi, hanno un impiego ecc. Tutto un “quaderno di cose da fare” è riempito!

A prima vista, se non riflettiamo, premiare la promozione di questa nozione di bambino “voluto” sembra legittima. Cosa c’è di più normale di prepararsi alla venuta di un bambino, che quest’attesa sia una gioia, una soddisfazione, non un avvenimento triste o mortale, un accanimento di problemi da risolvere, insolubili gli uni e gli altri!

Quando una coppia aspetta un bambino, spera che questo sia un avvenimento felice, aspetta la felicità! Tuttavia, questa visione idealista del bambino “voluto” non è forse così semplice come sembrava. Prendiamo il caso di una donna incinta che si rivolge per la prima volta all’ospedale. Viene interrogata da uno giovane medico che segue scrupolosamente la sua anamnesi…

Costui si assicura che il bambino sia davvero stato “voluto” e che il “quaderno delle cose da fare” sia davvero stato compilato.

Questo dottore le fa molte domande, e siccome sente un’incertezza, una mancanza di sicurezza in questa donna che non ha per niente programmato la venuta di questo bambino, finisce per porre la seguente domanda alla donna: “Ma, lei è sicura di volerlo tenere?”.

E’ questa piccola frase che rivela l’ambiguità del modello del bambino desiderato e che deve spronare a una lettura critica di questo modello, lettura critica che raramente è proposta, come ha sottolineato la sociologa Marcel Gauchet, nella rivista Débat.

Infatti, il riflesso sul bambino del desiderio da cui proviene è un fenomeno fondamentale. L’umanità cambia profondamente se nasce dal desidero.

Ecco cosa scrive Marcel Gauchet: “Sono io proprio come mi aspettavano? Ossessione sconvolgente che richiamerà nella sua scia sia un desiderio vago di dare delle prove, sia uno scoraggiamento autopunitivo, o ancora una volontà piena d’odio di smentire questo desiderio insopportabile dei genitori.. […] Più io sono sicuro di esistere per il loro desiderio, più mi accorgo che io avrei potuto non esistere”.

Essere concepito dal desiderio cambia radicalmente le condizioni della presa di coscienza, interessando la radice incosciente dell’identità e il senso costitutivo della contingenza personale. All’origine di questo stravolgimento s’impone un’evidenza, che è oggetto di rimozione nella nostra società di oggi: “il bambino voluto, è anche per definizione, il bambino rifiutato.

La società che antepone il modello del figlio del desiderio è oggettivamente la società del rifiuto del figlio” . Bisogna raggiungere la sostanza di questa realtà indelineabile fino alla messa in opera della scienza procreativa, che non può concepirsi senza il ricorso all’embriocidio o al feticidio.

La nuova scena concezionale si basa su una logica di sovrapproduzione, di selezione e sovraconsumo embrionario o fetale che contribuisce alla “reificazione” degli esseri umani concepiti.

Per esempio, la spirale sovraproduce embrioni mentre si tratta di una tecnica “di contraccezione”.

Bisogna sovraprodurre degli embrioni in vitro per avere delle possibilità di successo nella fecondazione artificiale: infatti, solo il 3-5% degli embrioni fecondati in vitro daranno luogo alla nascita di un bambino.

Questa reificazione dell’essere concepito deve essere riconosciuta e pensata, non solo nelle sue conseguenze filosofiche, etiche o anche sociologiche, ma anche psicologiche.

Infatti, questa logica talora paradossale non riguarda solo le sorti degli embrioni e dei feti eliminati (il cui status resta ancora incerto), ma anche quelle dei vivi: bambini, adolescenti e adulti di domani. Nella nuova scena concezionale, la norma sociale intende che si sopprimano prima della nascita gli esseri umani concepiti, quando non sono conformi al desiderio di coloro che li hanno concepiti. Questo modello sottomette il bambino a un potere genitoriale e sociale esorbitante. Il concepito non-voluto è giudicato indesiderabile, e può (o deve) essere eliminato. D’altronde, il bambino voluto è anche un essere scelto, e questa scelta lo mette al di sopra degli altri. I suoi genitori l’hanno voluto al punto di sacrificare altri “bambini” per il suo arrivo.

Se lui è restato in vita, se è stato scelto, non è il segno che ha un valore maggiore di quelli che non sono sopravvissuti?

Il bambino, sottoposto alla onnipotenza del desiderio altrui è un figlio onnipotente al quale è forse difficile fissare dei limiti. I suoi genitori hanno soppresso altri “bambini” per desiderio di lui. Qual è il suo prezzo per cui un tale sacrificio è stato consumato? Qual è inoltre il peso della colpevolezza genitoriale?

Il modello del figlio “voluto” non veicolerà forse un profondo clima d’insicurezza affettiva, giacché il figlio vi si trova condannato a sottomettersi al desiderio altrui a rischio di risentire la minaccia della sua eliminazione, minaccia che fu reale al momento del suo concepimento e della sua gestazione, e che è ormai immaginaria dopo la sua nascita?

Vorrei rivolgermi ora alle pratiche di procreazione artificiale.

Queste tecniche “agiscono” sul concepimento dell’essere umano. Se vogliamo comprendere il loro impatto psicologico, dobbiamo sapere come “funziona” la procreazione “naturale”. Dobbiamo studiare il posto che occupa il concepimento nello sviluppo psicologico dell’essere umano.

Per meglio comprendere un argomento, è sempre interessante conoscere bene i casi “patologici”. Per esempio, per comprendere il funzionamento di un organo, si studia il malfunzionamento e le malattie che lo colpiscono.

Si comprende meglio la funzione di questo organo procedendo così. Questo metodo è ben noto. In psicopatologia, numerosi autori hanno così costruito la loro teoria del funzionamento psichico a partire dallo studio delle malattie. L’approccio psicopatologico del concepimento umano s’inscrive in questa linea, e consiste dunque nel domandarsi se possiamo reperire l’emergere di problematiche psicopatologiche nel concepimento.

Esistono difficoltà psicologiche che compaiono già dal concepimento di un essere umano? E’ possibile rispondere positivamente a questa domanda, e la riflessione apporta allora degli elementi di risposta nuovi sul concepimento dell’essere umano e sulla natura stessa dell’essere concepito, così come sulla psicologia della gravidanza.

Quali sono dunque i punti di riferimento possibili in questa psicopatologia del concepimento umano?

Per primo, bisogna rimarcare che già disponiamo di numerosi lavori in questo campo. Esiste in particolare un esempio che ha dato luogo a numerose pubblicazioni e che corrisponde a ciò che chiamo una “psicopatologia concezionale”, cioè una psicopatologia che può esser fatta risalire al concepimento. Si tratta della problematica dei bambini cosiddetti “di rimpiazzo”. Di cosa si tratta?

Certi bambini sono concepiti quando i loro genitori hanno appena perso un figlio piccolo, e hanno come missione cosciente o incosciente di “rimpiazzare” il bambino morto. Numerosi autori hanno descritto le turbe psicologiche in questi bambini e queste turbe concernono di norma la costruzione dell’identità e la questione della colpevolezza.

Questi bambini o questi adulti si sentono colpevoli della morte del figlio precedente, come se fossero responsabili di questa morte. In effetti sono di fronte a una sorta di paradosso.

Se il bambino precedente non fosse morto, loro stessi non sarebbero in vita. Rivoltano dunque questo problema esistenziale con cui si sono paragonati e pensano che se non fossero loro stessi in vita, se essi stessi fossero morti, l’altro figlio sarebbe vivo. E’ un modo sbagliato di procedere, ma essi non possono impedirsi di pensare in questo modo assurdo. Le circostanze del loro concepimento esercitano così un’influenza particolare sul loro sviluppo psicologico.

Certi autori hanno allora studiato in modo più generale le gravidanze dopo la perdita di un bambino. Queste gravidanze sono marcate da una viva ansia e dalla riattivazione del lutto del figlio precedente. Non è facile attendere serenamente un bambino quando se ne è appena perso uno. La donna incinta ha ugualmente maggior difficoltà ad investire di affetto il bambino che deve nascere, da un lato perché ha paura di perderlo e teme il dolore di un altro lutto, e dall’altro perché ha paura di dimenticare il figlio morto per la gioia del nuovo arrivo. Ha dunque difficoltà ad attaccarsi al suo figlio in gestazione.

Altri autori si sono interessati allo sviluppo dei bambini detti “di sostituzione” nel corso dei primi anni che seguono la nascita. Le madri sembrano aver tendenza a identificare il figlio vivo col figlio morto. Così esse mettono in scena incoscientemente certi tratti caratteristici del figlio precedente nel corso di precoci interazioni. Esse hanno la tendenza a far rivivere il figlio morto nel figlio successivo.

Per esempio, una madre interrompe di frequente la poppata come se il neonato abbia rigurgiti. La madre trova così che il suo bambino somiglia al precedente, che aveva dei rigurgiti. La paura di perdere questo nuovo figlio s’accentua tanto più quanto somiglia al precedente e potrebbe avere lo stesso destino. Un’altra donna guarda suo figlio in maniera così intrusiva che questi allontana lo sguardo da sua madre.

La madre pensa che il suo bambino vede male e identifica così il nuovo con il precedente che non vedeva bene.

I numerosi studi sui bambini detti “di sostituzione” ci permettono così di avere una vera e propria metodologia per studiare il concepimento umano.

Questa problematica è stata soprattutto descritta nell’adulto e nel bambino, quindi i ricercatori hanno approfondito la psicopatologia di questo caso, su un piano più teorico. Altri ricercatori hanno osservato le interazioni precoci tra il figlio e sua madre, o hanno osservato ciò che succede in gravidanza. In realtà una “psicopatologia concezionale” comincia al concepimento dell’essere umano, ma si sviluppa nel tempo e può riguardare sia un bambino che un adolescente o un adulto.

Possiamo dunque studiare il modo in cui essa interessa lo sviluppo del concepito a partire dalla gravidanza, ma possiamo anche osservarne gli effetti successivi, in particolare se nulla è stato fatto per cercare di liberare il bambino o l’adolescente da questa problematica.

Si tratta allora di scoprire altre situazioni concezionali a rischio psicopatologico.

Non posso spiegarle in dettaglio, ma vi indicherò alcuni esempi di categorie psicopatologiche o di problematiche che è possibile reperire.

Un’altra situazione, certo estrema, permette di comprendere meglio il concepimento naturale. Si tratta del figlio concepito dopo un trauma sessuale.

Le osservazioni restano rare, ma ci rendiamo conto bene che per il figli il fatto di essere generato da uno stupro o da un incesto avrà abbastanza rapidamente delle conseguenze, a partire dalla gravidanza… essere concepito da uno stupro o da un incesto è un vero problema identitario che nasce con il concepimento. Dopo lo studio dei rapporti tra concepimento e lutto, e tra concepimento e trauma sessuale, possiamo ancora studiare il concepimento umano secondo altri rapporti psicopatologici, come la negazione o il “passaggio all’atto”. Per esempio, esiste ciò che chiamo i concepimenti “passaggio all’atto”.

Si trova spesso questo tipo di concepimento non pensato, ma agito nell’immediato in adolescenti o giovani donne che hanno vissuto carenze affettive e che si trovano in famiglie in affido: al momento di arrivare all’età adulta, cioè al momento in cui devono cominciare a pensare seriamente di lasciare la famiglia che le accoglie, queste giovani donne concepiscono un figlio con un uomo di passaggio, con cui non conservano un legame. Il concepimento di un bambino permette loro di ritrovarsi in qualche modo in una nuova famiglia, grazie al figlio; il figlio sembra aver dunque una funzione riparatrice, deve portar loro il benessere, ma le cose non vanno sempre così lisce come le avevano immaginate…

L’esplorazione secondo queste categorie psicopatologiche non basta. Bisogna aggiungere lo studio dell’ambiente psicoaffettivo dell’essere prenatale. Per esempio, il bambino concepito da genitori malati mentalmente evolve sin dal concepimento in un ambiente psicoaffettivo particolare, marcato dalla malattia mentale.

Bisogna così studiare la biografia prenatale dell’essere umano concepito: infatti la storia prenatale appartiene integralmente alla biografia dell’essere umano. Essa sembra talora marcare lo sviluppo psicologico dell’essere concepito.

Insomma, tre tipi di problematiche psico(pato)logiche sono presenti sin dal concepimento e nel corso dello sviluppo: problematiche ambientali, cioè legate all’ambiente del concepito; problematiche biografiche, cioè legate ala storia del concepito; e problematiche identitarie, cioè legate all’identità del concepito.

In primo luogo osserviamo che l’essere umano concepito cresce dal periodo prenatale in un ambiente psicoaffettivo e sociale che ha le sue proprie caratteristiche. L’ambiente dell’essere in gestazione, è la donna incinta che lo contiene, e la gravidanza è un “fenomeno” sia biologico che psichico, che pone le prime fondamenta dello sviluppo mentale dell’essere umano concepito. Oltre questa custodia psichica e corporea, c’è posto per altri personaggi: il genitore, certo, sia che si interessi o meno alla gestazione e che si prepari o meno ad accogliere il figlio e a diventare padre; ma anche la famiglia allargata, con i genitori, i fratelli e le sorelle dei futuri genitori ecc.

Al di là dell’ambiente psico-affettivo bisogna sottolineare anche il posto dell’ambiente sociale dell’essere in gestazione. Ciascuno reagisce col suo stile e secondo il suo livello alla presenza dell’essere umano concepito. Per esempio, l’assistente sociale o il giovane medico che fa l’anamnesi sul bambino in gestazione per sapere se è stato voluto può proporre o favorire un aborto, che ovviamente metterà fine alla vita di questo essere concepito.

Esiste insomma un’importante solidarietà tra l’essere concepito e ogni membro della comunità umana. La custodia materna è essa stessa più o meno protettrice degli avvenimenti e delle difficoltà da superare e secondo i riferimenti offerti dalla società. Dal lato della donna incinta, osserviamo nel corso della gravidanza la costruzione di uno spazio psichico di preoccupazione materna per il bambino nascituro. È la tappa della nidificazione psichica dell’essere umano concepito. L’essere concepito non deve solo impiantasi nel corpo della donna, deve anche impiantarsi nella psiche di lei.

Questo significa semplicemente che nel corso della gravidanza la donna incinta elabora una sorta di spazio psichico di preoccupazione materna per il suo nascituro. Essa comincia a rappresentarsi nel suo ruolo di madre, anticipa la relazione che avrà col suo bambino ed immagina spesso il carattere del bambino che aspetta…

Il professor Ammaniti che ha molto lavorato (in Italia) sulle rappresentazioni durante la gravidanza ha dimostrato che lo stile relazionale che emerge durante la gravidanza permette di predire il tipo di attaccamento che la madre avrà col bambino dopo la sua nascita. Per parte mia, penso che la costruzione di questo spazio psichico durante la gravidanza appartiene già allo sviluppo psicologico dell’esser umano concepito.

Comprendiamo meglio il suo ruolo e la sua importanza allorché affrontiamo certi esempi patologici come la negazione della gravidanza. La negazione della gravidanza corrisponde a una gravidanza che non è percepita dalla donna. Costei non si sa incinta, non ha coscienza di aver concepito un figlio né di portarlo in sé. Le negazioni di gravidanza esitano spesso nella morte del figlio, per esempio nelle toilettes, poiché la donna soffre per le sue contrazioni, ma crede di aver mal di pancia e che avrà la diarrea, per esempio.

Non si rende conto che sta per nascere un bambino…In tale situazione patologica, vediamo bene che questo spazio psichico prenatale non è arrivato a costruirsi correttamente, o piuttosto che esso si costruisce sul modo della negazione dell’essere concepito. Il bambino nascituro non è stato identificato dalla madre.

In generale, ogni problematica concezionale (o prenatale) è suscettibile di interessare la costruzione di questo spazio materno di gestazione psichica e può segnare le relazioni genitori-bambino dopo la nascita.

Esiste una continuità tra la problematica osservata prima e dopo la nascita, e di qui viene l’interesse di curare questi problemi della gravidanza. Seguendo un secondo asse, dobbiamo studiare la biografia concezionale e prenatale.

L’essere concepito possiede una storia già ricca che prende parte alla sua soggettivazione. Questo non vuol dire che l’essere in gestazione abbia coscienza della propria storia, ma che la storia dell’essere concepito ha già iniziato a svolgersi e contribuisce a produrre diversi effetti, in particolare intersoggettivi. Darò tra poco un esempio in dettaglio a proposito delle procreazioni artificiali…

Infine, seguendo un terzo asse, osserviamo delle problematiche concezionali che possiamo già identificare come identitarie.

L’essere concepito possiede un’identità concezionale che oltrepassa il registro biologico e s’iscrive nell’ordine psicosocioculturale.

L’essere umano è, a partire dal concepimento, “essere concepito da un uomo e una donna, in un certo momento della storia dell’umanità, in un certo luogo del mondo”.

Con l’insieme delle determinazioni psicosocioculturali che questa definizione suppone.

Per fare un esempio estremo, essere concepiti in seguito a uno stupro o un incesto costituisce una determinazione identitaria che oltrepassa largamente il registro biologico e che iscrive l’essere in gestazione nell’ordine culturale dal suo concepimento.

La donna incinta non “porta in sé” il figlio nello stesso modo se è seguito a uno stupro di un aggressore o alla tenerezza dell’uomo che ama. La sua preoccupazione materna non si elabora sulle stesse basi. Essa non costruisce le stesse rappresentazioni riguardo il figlio nascituro, a seconda dell’identità concezionale che egli possiede.

Questi tre assi (ambientale, biografico e identitario) si elaborano parallelamente. Ogni psicologia concezionale suppone che si considerino insieme. Dobbiamo farci le seguenti domande: “Cosa succede nell’ambiente psicoaffettivo dell’essere concepito, in relazione o meno al suo concepimento?” “Che significa la storia singola del concepito, e in cosa questa biografia può marcare il suo sviluppo presente o futuro?”. “Quale ruolo gioca l’identità concezionale dell’essere umano concepito, nel corso del periodo prenatale e in seguito, come partecipa alla costruzione del sentimento dell’essere concepito?”

Questi tre aspetti sono presenti nei diversi esempi che ho fatto.

Bisogna integrarli in una comprensione psicologica dello sviluppo pre- e post- natale.

Non posso trattare soprattutto i risultati dello studio psicopatologico del concepimento umano, ma vorrei dare alcune piste per comprendere l’impatto psicologico possibile delle procreazioni artificiali sul bambino. Ho appena evocato l’ambiente psicoaffettivo dell’essere umano concepito.

Bisogna sottolineare una situazione particolare. In certi casi, il concepimento del bambino corrisponde a una sorta di meccanismo di difesa che permette ai genitori di risolvere una problematica che è loro propria. Il concepimento del figlio è in diretto legame con la problematica genitoriale e il bambino concepito sembra avere per missione di risolverlo. L’essere concepito si trova allora come imprigionato nella problematica genitoriale che presiede alla sua venuta al mondo.

Questa situazione si ritrova talora nelle procreazioni artificiali, quando i genitori domandano per esempi una procreazione artificiale, quando non hanno rapporti sessuali: il concepimento “extra-sessuale” permette allora ai genitori di non farsi domande sulla loro assenza di sessualità. Il figlio ne farà sicuramente le spese.

Le pratiche di procreazione artificiale ci interrogano anche sul peso psichico del percorso prenatale del concepito. Come s’integra questa biografia particolare che rappresenta il concepimento artificiale nel corso dello sviluppo del bambino? Ecco un esempio. Dieci embrioni sono concepiti per fecondazione in vitro con dono di sperma grazie all’equipe del professor X. Tre embrioni sono trasferiti immediatamente in utero, ma non si sviluppano. Gli altri quattro che erano stati congelati sono trasferiti dopo il primo tentativo (i 3 restanti erano stati eliminati, poiché non erano di “buona qualità”). La donna resta incinta di gemelli, ma un feto muore nel corso della gravidanza.

Un bambino viene al mondo da questa fratria concezionale particolare.

Questa biografia prenatale appartiene alla storia del bambino venuto al mondo al termine di questo percorso. Essa prende strade diverse a seconda dello sviluppo ulteriore del concepito. Può essere raccontata o lui può essere eliminato dai genitori, essa può farlo sublimare o meno, in un modo o in un altro. Talora, queste biografie prenatali sembrano essere alla base delle difficoltà psicopatologiche.

Ho riportato in vari casi, non legati esclusivamente alle procreazioni artificiali, delle problematiche che si riscontrano in altre situazioni dette di “sopravvivenza”.

Il sopravvissuto appartiene ad un gruppo di pari che è stato decimato nel corso di una catastrofe naturale (come uno tsunami o un terremoto), o durante un incidente (come quello che è avvenuto nel Monte Bianco), o ancora durante una guerra o sterminio (come la Shoah o il genocidio Ruandese), ecc.

Il sopravvissuto come dice il nome, è ancora in vita quando gli altri sono morti. Ha affrontato delle circostanze in cui gli altri sono morti, ma non lui. Diversi autori hanno descritto turbe psicologiche in certi sopravvissuti. Degli autori hanno insistito sul senso di colpa dei sopravvissuti, altri sulla sua onnipotenza. In realtà, bisogna piuttosto affrontare la sopravvivenza in un approccio tridimensionale, su tre assi: la colpevolezza, l’onnipotenza e la prova di sopravvivenza. La colpevolezza corrisponde a domande che riguardano l’esperienza del figlio di sostituzione. Come costui può interrogarsi sul suo destino: “Perché son vivo?, Io vivo e gli altri sono morti.

Se io fossi morto, un altro vivrebbe al mio posto, dunque io sono responsabile della morte degli altri.”. Il sopravvissuto si accusa di aver commesso una colpa che ha provocato la morte di un suo simile. D’altra parte, il sopravvissuto prova anche un sentimento di fierezza che può trasformarsi in megalomania. Se è ancora vivo, vuol dire che ha vinto la prova della morte e che è più forte degli altri. ..

Infine, in un movimento di confronto di questi due assi contraddittori, e di ripetizione dell’esperienza di sopravvivenza, il soggetto ha tendenza ad andare incontro alla morte per provare la sua sopravvivenza. Prende dei rischi e mette alla prova il suo valore: cerca insieme di espiare la colpa di essere sopravvissuto e intende confermare che vale davvero più degli altri. Nel campo prenatale, si ritrova la sopravvivenza a diversi livelli, per esempio quando un bambino è nato dopo una serie di aborti provocati, o ancora nel quadro della fecondazione artificiale, quando numerosi embrioni sono stati fecondati e solo un piccolo numero sopravvive. La sopravvivenza può ugualmente concernere un feto in caso di morte naturale di un gemello o di feticidio praticato in corso di gravidanza multipla (“riduzione embrionaria”).

Le circostanze particolari del concepimento o della gestazione favoriscono allora diverse domande sulla sopravvivenza. Per esempio, i genitori hanno una bambina sopravvissuta a una fecondazione extracorporea con congelamento. Pensano che “essa è un essere speciale che deve imporre l’ammirazione, perché essa è riuscita a superare la prova, il rito di passaggio dal congelamento, per provare la sua capacità di vivere”. Essi conferiscono alla figlia una forza straordinaria, cosa che rischia di metterli in difficoltà a porle dei limiti. Ciò potrà presentare dei rischi di onnipotenza.

Una madre che si è decisa alla pratica della riduzione embrionaria, è persuasa che “il bambino” scomparso era anche lei una bambina, che invade costantemente i suoi sogni e la sua vita quotidiana. Quando dà da mangiare ai suoi due figli, essa pensa di nutrire la terza. Se compra dei vestiti, essa si ferma appena in tempo prima di comprarne uno per la figlia. Questa donna sembra posseduta da un forte senso di colpa, che si rifletterà forse sui due sopravvissuti confrontati con questo fantasma.

Ecco un ultimo esempio: Damien, bambino molto voluto, concepito dopo fecondazione in vitro e congelamento, è nato dopo dieci anni di prelievi e di prove, anche dopo alcuni aborti spontanei. I suoi genitori vengono a consulto perché non ne possono più. Ha crisi di collera. Si rotola per terra, non sopporta alcuna frustrazione, non ha alcun limite, è un “bambino impossibile”, spiega sua madre. I genitori s’interrogano, sono delusi: “Era un successo avere questo bambino. Che abbiamo sbagliato?” la madre spiega: “E’ sopravvissuto, era il più forte, subire tutto ciò e vivere… dopo tali prove, fu un miracolo, un vero miracolo”.

Parla di “bambino inaspettato”. “ora ci diciamo “abbiamo forzato la natura e paghiamo”!” . I genitori si dedicano totalmente al loro bambino che impone la sua legge e non tollera nessuna parola contraddittoria: altrimenti prende un tono perentorio, fa la voce grossa, o si arrabbia. Nei giochi il padre evita che lui perda per non scatenare la crisi.E Damien afferma: “sono il primo, il più forte”, “posso fare tutto, penso che so tutto”.

Questi esempi mostrano il posto che occupa la biografia periconcezionale e prenatale nello sviluppo del bambino, nel grembo delle interazioni fantasmatiche con i suoi genitori.

Vorrei finire con un ultimo appunto, più teorico, L’essere umano è dal concepimento l’”essere concepito da un uomo e una donna”. E ciò gli conferisce dall’inizio la sua identità concezionale. L’esser umano possiede dal concepimento una struttura “onto-psichica”, giacché il suo essere non si può definire fuori di una relazione con un altro che gli dona senso. L’embrione umano non è un semplice ammasso di cellule, è nel suo stesso essere legato agli altri, è strutturato onto-psichicamente in un rapporto con gli altri: si definisce attraverso gli altri, che soli possono rivelare la verità del suo essere.

Il concepito possiede una “struttura identificante intersoggettiva” poiché la sua identità concezionale si definisce in modo originale a partire dall’identità dell’uomo e della donna che gli donano la vita.

Per spiegarlo prendendo un caso limite, l’essere concepito da uno stupro trasforma soggettivamente la donna facendola “madre di un bambino originato da uno stupro”, cioè non è un qualsivoglia status materno e si riflette sulla propria identità e sulla propria soggettività di donna che diviene madre.

Nel quadro della procreazione artificiale, riprendendo l’esempio fatto per illustrare la biografia dell’essere umano concepito, osserviamo che l’essere concepito artificialmente per dono di sperma non possiede la stessa “struttura identificante intersoggettiva”.

L’esser concepito artificialmente per dono di sperma non è un vero “essere concepito da un uomo e una donna”, il suo essere non si definisce più esclusivamente in questo rapporto identitario e intersoggettivo con due membri sessualmente differenziati della comunità umana che gli dona la vita; l’essere umano concepito artificialmente per dono di sperma è “essere concepito da un uomo-donatore-di-sperma-che-non-sarà-suo–padre e da una donna-che-diviene-sua-madre attraverso il desiderio e l’amore di un uomo-congiunto-di–sua-madre-e-divenente-suo-padre, grazie all’intervento di un’equipe medica”, cosa che pone diversamente il suo flusso di vita e la costruzione del suo sentimento di identità.

La struttura onto-psichica dell’essere umano concepito è profondamente modificata; l’essere concepito deve la vita a quattro “termini” senza cui non esisterebbe: il donatore di sperma, l’uomo e la donna che l’allevano e l’equipe medica.

Ritroviamo, spingendoci all’estremo, la stessa vibrazione della struttura onto-psichica dell’essere concepito nel quadro della clonazione: l’essere umano concepito per clonazione è infatti “essere concepito da un uomo dello steso menoma, grazie all’intervento di un’equipe biomedica”, cosa che abolisce in lui la differenza e la complementarietà dei sessi.

Questi dati teorici significano che la costruzione del sentimento di identità non potrà effettuarsi su basi ordinarie. Ciò non vuol dire che il concepito artificialmente diverrà un essere anormale o che sarà condannato più di un altro alla pazzia. Ma non possiamo ignorare ormai che le procreazioni artificiali toccano l’identità stessa del concepito trasformando la stessa natura dell’uomo.