Cattolici ed Ebrei: le ragioni di una ostilità storica

Cattolici_ebreiArticolo pubblicato su Il Timone gennaio 2004

Chi si confronti con le fonti, deve arrivare a una conclusione “scandalosa”: i provvedimenti presi dal fascismo alla fine degli anni Trenta nei confronti degli ebrei coincidevano in non piccola parte con le aspettative e le richieste portate avanti sin dalla prima metà dell’Ottocento dal cattolicesimo ufficiale.

di Vittorio Messori

Cominciamo questi nostri incontri affrontando il “tormentone” per eccellenza, continuamente rilanciato e sul quale maggiore è oggi l’imbarazzo, il disagio, il rimorso di tanti cattolici, stando ai quali tutto – qui, in special modo – tutto è stato sbagliato dai nostri predecessori e per tutto bisogna sperare nel benevolo perdono dei “fratelli maggiori”. Pensiamo, ovviamente, al rapporto con gli ebrei e, soprattutto, all’atteggiamento cattolico davanti alle leggi di discriminazione verso gli israeliti che si sono succedute in molti Stati nel secolo appena terminato. E pensiamo in particolare all’Italia, visto che qui c’è stato dato di nascere e di vivere.

Ebbene, chi si confronti con le fonti, deve arrivare a una conclusione “scandalosa”: i provvedimenti presi dal fascismo alla fine degli anni Trenta nei confronti degli ebrei coincidevano in non piccola parte con le aspettative e le richieste portate avanti sin dalla prima metà dell’Ottocento dal cattolicesimo ufficiale. Tanto che (imbarazzo supremo per i cattolici d’oggi che, come io ho fatto, esaminassero le raccolte della Civiltà Cattolica dei tempo) tanto che, nei mesi dopo il varo delle leggi razziali, sulla stampa fascista fu tutto un coro di lodi per i gesuiti che da decenni avevano individuato i nodi dei cosiddetto “problema giudaico” e ne avevano proposto vigorosi rimedi.

Il fascismo, scrivevano i giornali, aveva realizzato con quei provvedimenti di legge gli auspici dei cattolici. Roberto Farinacci, il “duro”, giunse a scrivere sul suo giornale, il Regime fascista: “Confessiamolo: in questo, dobbiamo imparare dalla preveggenza e dal rigore dei gesuiti”.

Lodi sospette e pelose, tanto che il quindicinale dei figli di sant’Ignazio dovette precisare la sua posizione. In tutti questi anni ci siamo arrampicati sugli specchi, andando alla ricerca, per le misure di discriminazione antiebraiche, di un rifiuto, magari di uno sdegno dei credenti, che invece (salvo eccezioni) non ci furono.

Coloro che, nella Chiesa, non approvarono esplicitamente le decisioni fasciste tacquero e non ritennero giusto protestare, almeno per quel poco che il regime permetteva. Ci fu invece – ed è molto importante, non va mai dimenticato – la decisa condanna cattolica non di quei provvedimenti di discriminazione, ma di quanto in essi rischiava di esserci di razzista. Fu rinnovata senza esitazione la condanna e dell’antisemitismo biologico, materialista, che – come si sottolineò – è figlio della modernità atea e non può esserlo dei cristianesimo. Ci fu condanna di ogni violenza, ci fu esortazione ad astenersi da ogni brutalità. Ma non ci fu ripulsa del programma fascista verso gli ebrei, se ci si riferisce a ciò che Mussolini stesso sintetizzò negli slogan: “Separare, non perseguitare” e “Ospiti, non cittadini”.

Questo era proprio ciò che da decenni chiedeva la Civiltà Cattolica, sulla quale puntiamo l’attenzione perché, più che mai in quel periodo, era considerata portavoce ufficiosa della Santa Sede, soggetta da essa a un tale controllo che le sue bozze, prima della stampa, erano riviste dalla Segreteria di Stato. Non a caso, come dicevo, nel 1938 la stampa italiana riprese con risalto compiaciuto tre articoli dei 1890 dei quindicinale religioso, articoli sui quali anche noi ci baseremo.

Anticipavo pure che la Civiltà Cattolica reagì a quelle lodi, non per smentire quanto aveva scritto, ma solo per precisare che certe asprezze di tono erano giustificate alla fine dell’Ottocento e, cinquant’anni dopo, andavano in qualche punto attenuate: nella forma, però, non nella sostanza. Ma, soprattutto, per chiarire quanto segue: “Il nostro periodico non argomentò mai in modo da favorire, né molto meno giustificare, gli errori oggi correnti in Germania, di falsa esaltazione o persino divinizzazione della razza».

O ancora, sempre testualmente: «La moderna “teoria” germanica, o meglio hitleriana, delle razze o schiatte umane, che va sotto il nome di “razzismo”, quasi vangelo nuovo dei socialismo nazionalista, è recisamente e manifestamente ripugnante alla dottrina cattolica, anzi ai principi fondamentali del cristianesimo. I quali suppongono originaria sia l’unità che la fratellanza della schiatta umana di cui uno solo è il Signore e il Padre: Iddio. Onde le nazioni tutte vanno tra loro congiunte”.

Ecco, dunque, il nostro problema: rifiutare una buona volta le rimozioni un po’ ipocrite e accettare, anche se oggi scomoda, la verità della ostilità cattolica verso il mondo ebraico e, quindi, della sua “comprensione” se non approvazione per i provvedimenti fascisti, in quanto “separassero” e non “perseguitassero”.

Ma, ed è la seconda parte dei problema, prima di scandalizzarsi, occorre cercare di capire come è perché tanta parte della Chiesa, a cominciare da quella ufficiale, aveva accolto simili prospettive. Prima di strapparci le vesti, di vergognarci dei nostri predecessori, di chiedere scusa per loro, vediamo un poco come stessero le Cose.

Per stare, e ne ho detto le ragioni, alla Civiltà Cattolica, non ha che l’imbarazzo della scelta chi ne consulti la raccolta e cerchi la voce “ebrei” negli indici per materie. Quanto a me, mi sono concentrato su una sintesi esemplare, cioè sul saggio, che apparve anche in fascicolo a parte, e che, sulla rivista, fu diviso in tre articoli (Le cause, Gli effetti, I rimedi) pubblicati nel 1890 con il titolo Della questione giudaica in Europa. Non a caso proprio quelle pagine (stese dal padre Raffaele Ballerini, uno specialista dei tema) furono riprese con compiacimento e plauso, nel 1938, dalla stampa dei regime.

In apertura dei primo articolo, il gesuita avverte: “Stoltamente si vuoi far passare che, per il cristiano, la questione giudaica nasca da odio di religione o di stirpe.” E’ da respingere decisamente, precisa, il termine (e la realtà che sottende) di “antisemitismo”, termine non a caso forgiato proprio in quel XIX secolo e che nasce negli ambienti darwiniani, che portano al razzismo.

L’antisemitismo dei nazisti è cosa tutta moderna, viene da ambienti “democratici e progressisti”, imbevuti di scientismo. Chi segue il vangelo non può far altro che denunciarlo e combatterlo.

Non a caso, quando – nell’ultimo articolo – il padre Ballerini giungerà ai possibili “rimedi” a questa “questione”, non semitica ma “giudaica”, respingerà con decisione le soluzioni violente proposte dagli antisemiti.

Un no cattolico deciso, dunque, alla confisca dei beni degli ebrei, in base al pretesto che sarebbero il frutto di truffe, di usure, di inganni ai danni dei cristiani. Significativa l’osservazione del Padre per rifiutare una simile misura: “Non tutti gli ebrei sono ladri, arruffoni, bari, usurai, framassoni, farabutti e corruttori dei costumi. In ogni luogo se ne conta un numero che non è complice delle furfanterie degli alitri. Perché involgere questi innocenti nella pena dovuta ai rei?”

Significativa, dico, perché chiara conferma della lontananza da ogni prospettiva da razzisti: per costoro non è, come per il cattolico, questione di responsabilità personale, di innocenza o di colpevolezza che va vagliata con giustizia e carità e che varia a seconda delle persone. Per il razzista, chiunque nasca ebreo è da perseguitare, perché ciascuno di essi fa parte di una razza, appunto, che va estirpata.

Ma il gesuita della Civiltà Cattolica rifiuta anche “chi invece di gridare “morte al giudeo!” grida “fuori il giudeo!”, che viva pure ma lontano da noi”,. Niente, dunque confische o, peggio, morte, ma neanche cacciate o espulsioni, per ragioni di umanità: “Se questo rimedio si avesse universalmente da praticare in tutti i Paesi civili, in quale piaga dell’orbe si troverebbe più posto per gli otto milioni di ebrei che, sparsamente, risiedono dappertutto?”. Comunque, ricorda il nostro scrittore, “il presunto rimedio dello scacciamento sarebbe difforme dal modo di sentire e di operare della Chiesa romana”.

E qui, vengono citati i fratelli Lémann, due convertiti dal giudaismo che, alla pari dei fratelli Ratisbonne, non si fecero soltanto cristiani ma sacerdoti e dedicarono la vita ad annunciare il vangelo agli antichi correligionari. Tra l’altro, l’accoglienza a braccia aperte per questi convertiti ([‘Ottocento cattolico ne è ricco), l’accettazione di molti di loro al sacerdozio, è l’ennesima conferma che non c’è posto per alcun razzismo nella Chiesa. Per l’antisemitismo, olim iudaeus, semper judaeus, la “macchia” giudaica non è lavabile, nel lager finivano tutti coloro che non solo erano nati da ebrei ma che avevano anche solo qualche parentela con loro, qualunque fossero le loro credenze e i loro atti.

Dai convertiti, e preti, Lémann, il Ballerini prende la frase: ” I papi hanno sempre permesso con benevolenza agli ebrei il soggiorno nella Città loro. Questo popolo errabondo aveva libertà di non andarvi, ma sempre vi è andato e, per gratitudine, chiamava Roma “il paradiso degli ebrei”.”. Perché, spiegherà il giornale in un altro intervento, “quei giudei di un tempo, più assennati dei moderni, riconoscevano che le leggi di separazione erano non meno a difesa loro propria che a tutela dei cristiani, impedendo ogni mutua offesa o violazione di diritto da una parte e dall’altra”..

No, dunque, alla confisca dei beni.No all’espulsione. Ma allora, quale il rimedio proposto dalla Civiltà Cattolica e, dunque, dalla Chiesa, in quel 1890 per replicare alla “questione giudaica in Europa”? Lasciamo la risposta al padre Ballerini.

Le sue parole suonano – e sono – assai dure per le nostre orecchie di cattolici di più di un secolo dopo. Ma è con questa prospettiva che dobbiamo confron tarci senza rimozioni, ed è nostro dovere cercare di comprendere da dove queste convinzioni nascessero. Esaminando, naturalmente, se avessero un’oggettiva giustificazione.

Ecco, dunque, quanto scrive il religioso: “L’unico e più solido partito per liberare la cristianità dall’oppressione dei giudaismo è nel tornare indietro e rifare la strada che si è sbagliata. Se non si rimettono gli ebrei al posto loro, con leggi umane e cristiane sì, ma di eccezione, che tolgan loro l’eguaglianza civile a cui non hanno diritto, che anzi è perniciosa non meno ad essi che ai cristiani, non si farà nulla o si farà ben poco.

Data la loro presenza nei vari Paesi, e data la incommutabile lor natura di stranieri in ogni Paese, di nemici della gente di ogni Paese che li sopporta e di società separata sempre dalle società con le quali convive; data la morale dei Talmud che seguono e dato il domma fondamentale della lor religione che li sprona ad impadronirsi, con qualsiasi mezzo, dei bene di tutti i popoli, perché alla razza loro conferisce il possesso e l’imperio dei mondo; dato che l’esperimento di molti secoli e quelli che facciamo ora han dimostrato e dimostrano che la parità dei diritti coi cristiani, concessa loro dagli Stati, ha per effetto o l’oppressione dei cristiani per mano loro o i loro eccidii per parte dei cristiani.

Dato tutto questo, ne scende di conseguenza che il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani, è quello di regolarlo con leggi tali che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei”.

Una legislazione di “legittima difesa”, dunque, che non perseguiti ma separi (la formula, lo dicevamo, ripresa nel 1938 da Mussolini), una segregazione dai cittadini come quella praticata per gli stranieri ostili, perché, continua il Ballerini esponendo quello che era allora il pensiero cattolico preminente, approvato dalla Santa Sede stessa, “è questo ciò che, in guise più o meno perfette, si fece pel passato e questo è ciò che gli ebrei da cent’anni in qua si sono studiati di disfare. Ma questo è ciò che, tosto o tardi, per amore o per forza, si avrà da rifare. E forse gli ebrei medesimi saran costretti di supplicare che si rifaccia”.

E, qui, la Civiltà Cattolica si abbandona a una sorta di profezia che colpisce chi, come noi, sa quel che successe in effetti nel secolo successivo: “Perocchè, la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario li ha oggi sollevati, viene scavando loro sotto i piedi un abisso, pari nella profondità all’altezza cui sono assurti. Ed al primo scoppiare dei turbine che essi, con questa loro strapotenza, vengono provocando, traboccheranno in un tale precipizio che sarà senz’esempio nelle istorie loro, com’è senza esempio la moderna audacia colla quale conculcano le nazioni che follemente li hanno esaltati”.

Una prospettiva inquietante e a suo modo profetica, da accostare alle parole con le quali il Ballerini aveva aperto la prima parte dei suo saggio: “Questo secolo decimonono si chiuderà nell’Europa, lasciandola fra le strette di una questione tristissima, della quale nel successivo secolo ventesimo risentirà forse conseguenze sì calamitose che la indurranno a porvi un termine, con una risoluzione definitiva: alludiamo alla mai detta questione semitica, che più rettamente va denominata giudaica”.

Parole, queste della Civiltà Cattolica, che si rileggono con disagio, tanto si è rovesciata in questi decenni la nostra prospettiva. Non a caso quasi nessuno, nella Chiesa, ha il coraggio di rievocarle. Eppure, riprendendole nel settembre dei 1938 (le leggi razziali erano dell’agosto) il quindicinale dei gesuiti così affermava, a firma dell’autorevole padre E. Rosa: “Non negheremo che la forma e lo stile dei nostro padre Ballerini, più che la sostanza dei pensiero, possa, dopo quasi cinquant’anni, apparire di qualche acerbità, ora che la lotta, sia della massoneria come del giudaisrno, sembrerà a molti mitigata, nella forma almeno, se non nella sostanza. Ma checché sia di ciò, il difetto dello stile e della forma non attenua la forza dei ragionamento né, quindi, il valore delle conclusioni nella loro sostanza”. Insomma, un’esplicita riconferma.

Che c’era, insomma, alla base della “diffidenza” (per usare un eufemismo) della maggioranza dei cattolici, gerarchia compresa, nei confronti degli israeliti? L’ostilità, era davvero inescusabile, perché senza ragioni?

Mancando ora lo spazio, vedremo di capire, su queste pagine, il prossimo mese.

* * *

Articolo pubblicato su Il Timone – febbraio 2004

Cattolici: perchè quella paura degli ebrei?

di Vittorio Messori

Riprendo il discorso iniziato il mese scorso: davanti al nazismo ci fu, da parte della Chiesa cattolica, almeno a livello ufficiale, condanna severa dell’antisemitismo (parola per indicare un’ideologia anticristiana, non a caso sconosciuta al vocabolario sino al XIX secolo), ci fu un deciso rifiuto dei razzismo in senso biologico, ci fu l’orrore per ogni violenza e ingiustizia.

Se, dunque, la condanna per Hitler fu senz’appello, ci fu invece comprensione clericale per Mussolini e le sue leggi che, più che come razziali, furono presentate dai fascisti come discriminatorie, come misura di “legittima difesa”. Il motto “non perseguitare ma separare” fu a tal punto sostenuto, per decenni, dall’ufficiosa Civiltà Cattolica che, quando nel 1938 quelle leggi furono promulgate, sui giornali dei Regime fu tutto un fiorire di lodi per “la preveggenza e la fermezza” dei gesuiti e, con loro, della Gerarchia.

E’ un fatto oggettivo che la comunità cattolica si mobilitò – checché ne dicano i coriacei diffamatori – per salvare la vita agli ebrei quando furono minacciati di deportazione e, dunque, di morte, da parte dei tedeschi. Ma non protestò fino a quando ebbero vigore le leggi italiane di discriminazione che – escluso, non lo si ripeterà mai abbastanza, ogni sospetto di razzismo e di violenza – almeno in parte rispondevano alle sue attese.

Rimando, comunque, per completezza, all’articolo del mese precedente. Qui, come da promessa, cercheremo di capire le ragioni della prospettiva assunta da quei nostri predecessori nella fede: prima di scandalizzarsi, occorre esaminare in che modo giudicassero e decidessero, secondo esperienza e prudenza. Come dicevo, mi baserò in particolare (come sintesi significativa) sui tre articoli sulla “questione giudaica” pubblicati nel 1890 dal padre Raffaele Ballerini e sulle raccolte della Civiltà Cattolica dopo i provvedimenti fascisti dei 1938, quando il giornale ammise qualche “acerbità di linguaggio” dei confratello dei XIX secolo, ma confermò la sostanza dei suo argomentare.

lnnanzitutto, il padre Ballerini constata che, “il giudaismo da secoli ha voltato le spalle alle legge mosaica, surrogandovi il Talmud, quinta essenza di quel fariseismo che in tante guise venne fulminato dalla riprovazione di Gesù il Cristo”. In effetti questa è una questione reale: anche oggi, sarebbe bene far chiarezza, a vantaggio di quel dialogo ecumenico dove spesso i cattolici si confrontano con un interlocutore che è diverso da quello che immaginano.

Nella catastrofe del 70, con la distruzione dei Tempio e la diaspora dei sopravvissuti, scomparvero praticamente tutti i gruppi e le sette dei giudaismo. Il quale, da allora, fu contrassegnato quasi solo dal fariseismo. Furono i rabbini di quella corrente a creare i due smisurati, complessi, labirintici commenti, discussioni, raccolte di episodi e di aneddoti che formano i due Talmud, quello di Gerusalemme e quello di Babilonia. Comunque, quando il padre Ballerini scriveva (e, in parte, ancora oggi) il mondo israelitico era composto per una parte da ebrei ormai secolarizzati quanto a credenze religiose, anche se spesso legati alle loro radici da una fedeltà alle antiche tradizioni, vissute in modo “laico”.

Molti tra costoro facevano parte della massoneria o, se non partecipi delle Logge, ne condividevano la prospettiva di filantropia laica e, soprattutto nei Paesi latini, di militante anticattolicesimo. Quanto alla parte dell’ebraismo che aveva conservato una prospettiva religiosa: per molti, se non per la maggioranza, la Torah, la Legge e i Profeti, erano in secondo piano rispetto al Talmud. Per cui il loro, piuttosto che ebraismo biblico, era piuttosto rabbinismo talmudico. Non si dimentichi che alcuni Maestri erano giunti a dire che la Scrittura era “acqua” mentre il Talmud era “vino”. E, dunque, era superiore.

Ma era proprio questa situazione che preoccupava i cattolici. In effetti, il Talmud ha, per un non ebreo, aspetti inquietanti, affermando la superiorità di Israele su ogni altro popolo e annunciando – per un futuro indefinito ma certo – il trionfo mondiale dei figli circoncisi di Abramo, cui tutti gli altri finiranno per versare tributo e prestare omaggio. In quelle due enormi raccolte (che, a quanto ci risulta, non sono mai state tradotte, almeno interamente, in una lingua occidentale: e anche questo ha alimentato molti sospetti, come se ci fossero lì cose da nascondere ai “gentili”) ci sono anche espressioni molto dure contro Gesù, l’impostore, il falso messia, e contro i suoi seguaci, i “galilei”.

Non solo il padre Ballerini ma moltissimi altri cristiani (e non solo cattolici: non va dimenticato che la diffidenza per il giudaismo e il desiderio di “difendersene” univa cattolici, protestanti, ortodossi) riportano una serie impressionante di citazioni talmudiche, secondo le quali comportamenti immorali non solo sono permessi ma sono meritori se danneggiano i popoli, soprattutto cristiani, tra i quali gli ebrei sono ospiti. E’ vero, ad esempio, che mentre l’usura è vietata tra israeliti, non solo è permessa ma è raccomandata se è praticata a spese dei “gentili”. Ed è vero anche che la prospettiva talmudica molto insiste sulla pretesa ebraica di costituire una razza superiore, eletta, destinata a sottomettere le altre, a utilizzarle, se necessario a umiliarle.

Da qui, la paura, se non l’angoscia, cristiana di essere minacciati da una “quinta colonna” di nemici che, seppure in minoranza, agivano con lucidità implacabile e con arti spesso ingannevoli se non truffaldine per diventare padroni. Da qui, per dirla con la Civiltà Cattolica, la necessità di distinguere tra “tolleranza” (esplicitamente raccomandata anche dai cattolici e, in sostanza da loro praticata – seppur tra alti e bassi – nei secoli) e “stato civile”, cioè concessione della cittadinanza piena che, a partire dalla Rivoluzione Francese e poi con il liberalismo ottocentesco, aveva fatto degli ebrei cittadini alla pari di ogni altro.

Ma in realtà, si osservava, non è così, non può essere così perché proprio gli ebrei non vogliono essere alla pari degli altri. “Non sono una setta ma un popolo, disperso ma non disciolto. Sono una nazione senza terra e senza organizzazione politica propria che, tra le altre nazioni, non cerca una patria ma un rifugio, sfruttando e cercando di spogliare (in attesa di opprimere) i popoli che le concedono ospitale soggiorno. E questo sfruttamento, questa ricerca di potere economico, culturale, politico a spese dei non circoncisi sono tanto più pericolosi in quanto sono considerati un cardine della loro morale, sono raccomandati dal talmudismo che seguono”.

Questa era la diagnosi dei non ebrei. Ad appoggio e conferma di simili timori, tutta una serie di pubblicazioni, di giornali, di leghe, di interventi parlamentari – in Europa come nelle Americhe – portava dati e cifre che colpivano l’opinione pubblica e la rendevano inquieta. Era un fatto, ad esempio, che nell’impero Austro-Ungarico, dov’erano particolarmente numerosi (un milione e mezzo, sui 40 milioni di abitanti della Duplice Monarchia) i senatori ebrei, eletti per censo, rappresentavano oltre un terzo dell’assemblea, in grado di dominarla grazie alla loro compattezza “di stirpe”.

Una percentuale sorprendente; ma ancor più lo era quella della Francia dove, verso le fine dell’Ottocento, gli ebrei erano ancora pochi, circa 80.000, ed erano quasi tutti di immigrazione recente, provenendo dalla Germania, dalla Russia, dalla Polonia. I re di Francia, in effetti, più volte li avevano banditi, a differenza dei Papa che, ad Avignone, non li aveva mai cacciati. Ma l’immigrazione cresceva di giorno in giorno e avrebbe portato presto gli israeliti a raggiungere, in Francia, il mezzo milione.

Comunque, quando ancora erano 80.000, tra senatori e deputati superavano i 20. Da qui il commento della Civiltà Cattolica: “Se i cristiani vi fossero rappresentati con simile percentuale, il Parlamento francese dovrebbe contare non meno di 40.000 membri. L’ltalia, che conta 30 milioni di abitanti, invece di mezzo ebreo a rappresentare, in proporzione, i nostri 50.000 giudei ne conta al Parlamento oltre una dozzina e una regione come il Veneto è rappresentata da deputati e senatori tutti israeliti, tranne uno”. Era in corso poi la scalata per il controllo e l’indirizzo dell’alta cultura, attraverso le cattedre universitarie. Un dato sorprendente è che nell’Italia dei 1885, sullo scarno complesso della popolazione universitaria, ben un quarto degli iscritti agli atenei era costituito da figli di ebrei.

Ma al di là della scalata politica, in grado di condizionare l’attività dei governi, preoccupava ed indignava la ricchezza, ogni giorno crescente. Si portavano, anche qui, molte cifre: metà dei banchieri di Parigi, piazza finanziaria allora decisiva per l’economia europea, era ebraica e ancor più avveniva a Londra, ad Amsterdam, a New York.

Anche la proprietà immobiliare vedeva una preminenza che in alcuni Paesi diveniva schiacciante: un quarto dei territorio ungherese e addirittura l’ottanta per cento di quello della Galizia apparteneva ad israeliti. Cifre di questo tipo erano quasi infinite ed erano motivo non solo di paura ma anche si sdegno, in quanto sia l’elite che il popolo erano convinti che tanta ricchezza, ogni giorno crescente, non fosse dovuta ad una capacità “pulita” ma all’abilità di chi era maestro in truffe, in raggiri e, soprattutto, in usura che strangolava i cristiani.

I quali non dimenticavano che, appena la Rivoluzione aveva permesso loro di muoversi con libertà, gli ebrei avevano messo insieme di colpo grandi ricchezze comprando a prezzo spesso vile i beni sequestrati alla Chiesa. A proposito dei quali il padre Ballerini faceva un confronto. Ricordava, cioè, che quando, a partire dal 1789, quei beni furono “nazionalizzati” senza alcun indennizzo e venduti, il loro valore fu stimato in quattro miliardi di franchi.

Poiché i preti e i religiosi erano allora, in Francia, 130.000, a ciascuno di quegli ecclesiastici toccava un capitale di 30.000 franchi, cioè una rendita annuale di 1500 franchi. Rendita modesta, soprattutto se si teneva conto che su quei beni non vivevano soltanto i religiosi ma anche una gran folla di laici e che la Chiesa con essi faceva grandi elemosine, manteneva una serie imponente di opere sociali, dalle scuole agli ospedali, aveva costruito, costruiva e curava la maggior parte dei patrimonio artistico della Nazione. Eppure, quella ricchezza fu giudicata inaccettabile, scandalosa e fu venduta ai migliori offerenti: tra i quali, appunto, molti israeliti.

Ebbene, cent’anni dopo la Grande Révolution – seguiamo sempre la Civiltà Cattolica – lo Stato stesso, repubblicano e filosemita, calcolava che la sola famiglia dei banchieri Rotschild possedesse 4 miliardi, cioè l’equivalente di tutta la ricchezza della Chiesa dell’Ancien Régime e che agli 80.000 ebrei, in maggioranza di origine straniera, facessero, capo ben 90 miliardi, non certo frutto di libere elemosine bensì accumulati (l’opinione pubblica ne era sicura) con mezzi disonesti, come sembravano dimostrare anche gli scandali finanziari, tra cui quello dei canale di Panama – in Italia, quello della Banca Romana e della speculazione edilizia a Roma – che avevano rovinato i risparmiatori.

Va detto che i non pochi ebrei passati al cristianesimo e che spesso, nel cattolicesimo, erano divenuti sacerdoti assai attivi e stimati (i fratelli Ratisbonne e i fratelli Lémann in Francia, Edgardo Mortara in Italia, e tanti altri) confermavano ciò di cui i battezzati erano convinti.

Confermavano, cioè, che – approfittando della eguaglianza concessa dal liberalismo e poggiando sulla solidarietà che li univa in tutto il mondo – i loro ex-correligionari erano protesi alla conquista dei mondo ed erano animati da un desiderio di rivalsa contro il cristianesimo. Confermavano, poi, che c’erano stretti legami tra massoneria e comunità israelitiche: queste, anzi, non fornivano solo la “truppa” ma, soprattutto, le menti direttive, spesso celate e in ogni caso potentissime, dei movimento di quei Liberi Muratori che erano allora impegnati in una lotta mortale contro la Chiesa cattolica.

Ernesto Nathan (ebreo inglese e, secondo la voce comune, figlio naturale di Mazzini) era in Italia il Gran Maestro della Massoneria e quando, all’inizio dei ventesimo secolo, fu per sei anni sindaco di Roma fece davvero una politica provocatoria nei confronti dei cattolici, confermandoli nel legame strettissimo tra Loggia e Sinagoga. Impressionava, poi, la presenza ebraica in un altro nemico implacabile della fede, il socialismo. Ed è noto come la presenza ebraica sarà rilevante anche nella Nomenklatura che portò Lenin al potere nel 1917.

Insomma, è in questo clima che i cattolici rifiutavano per gli israeliti (lo abbiamo visto il mese scorso), la confisca dei beni o l’espulsione ma chiedevano – parole testuali di padre Ballerini – di “accordare il soggiorno degli ebrei coi diritto dei cristiani, regolandolo con leggi tali che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei”. E ricordavano che “le leggi di separazione di un tempo erano non meno a difesa dei giudei che a tutela dei cristiani, impedendo ogni mutua offesa o violazione di diritto da una parte e dall’altra”.

Non, dunque, cittadini a pieno titolo bensì ospiti verso i quali esercitare con scrupolo la carità e la giustizia cristiane (su questo la Civiltà Cattolica insiste a ogni passo) ma al contempo il realismo, dunque la prudenza, di chi è consapevole che quegli ospiti vorrebbero, e potrebbero, trasformarsi in padroni.

Se questo non fosse avvenuto, abbiamo visto quali terribili conseguenze erano preannunciate per il XX secolo: e va detto che, purtroppo, quei vecchi cattolici furono buoni profeti perché il “terribile abisso” preconizzato si spalancò davvero e andò al di là perfino dei loro timori.